Proposta di ristrutturazione del settore di Neuropsichiatria infantile

Proposta di ristrutturazione del settore di Neuropsichiatria infantile[1]

Ottobre 1987

di Leonardo Angelini e Daniela Lorenzoni [2]

 

I CONTENUTI

1)   Quando l’Amministrazione nel febbraio scorso ci ha affidato  la responsabilità del Settore di Neuropsichia­tria Infantile la nostra prima preoccupazione è stata quella di tentare di  fare un’analisi della situazione che andavamo a dirigere. Un primo frutto di questa analisi è  stato quel  “Progetto di  ristrutturazione del Settore” uscito a Pasqua e che molti di voi hanno letto. Questo progetto  rappresentava solamente una  prima occasione per ordinare le  idee: farà un’analisi  della domanda, per esempio, per tentare di cogliere i muta­menti intervenuti in questo quindicennio; fare una rapida riflessione sulle “risorse professionali disponi­bili” e quindi sul tipo di risposta che il settore nel frattempo si era attrezzato a dare; delineare infine una prima risposta di ristrutturazione che, nelle nostre intenzioni avrebbe dovuto essere rivista e ridefinita in tempi lunghi convinti che un servizio, non possa andare avanti se non si definisce una dialettica fra responsabili a tutti i livelli intorno a progetti chiari, raggiungibili, aderenti a quello che l’utenza chiede e a quello che concretamente si è in termini tecnici ed umani.

2) La scadenza delle Conferenze di organizzazione ci ha costretti a rivedere alla luce dell’urgenza determinata dal taglio drastico dei tempi di riflessione, quelle che erano idee e ipotesi da rimeditare in tempi lunghi. La situazione è diventata ancora più gravida di esigen­ze di rapidi cambiamenti allorché in maggio/giugno è apparso chiaro che per l’Amministrazione Provinciale non era più possibile finanziare buona parte degli inserimenti degli adolescenti handicappati nei Centri di Formazione Professionale a causa di un drastico taglio dei finanziamenti C.E.E. “giustificato” dal fatto che la nostra provincia è mediamente più ricca di molte altre province italiane.

3)      E qui  vorremmo aprire  una breve parentesi  circa  la  natura di una tale “giustificazione”. A nostro avviso la scelta C.E.E. è altamente opinabile nel senso che un criterio di distribuzione dei fondi che tenga conto solo del dato della ricchezza media di una provincia non tiene conto di un fatto, che è noto a chiunque conosca la situazione dello stato sociale in Italia -: e cioè che nel nostro territorio nazionale lo stato sociale si manifesta concretamente in alcune zone come Welfare e cioè sotto forma di servizi erogati all’utenza (è il caso di Reggio Emilia); in altre zone come stato assistenziale che distribuisce sussidi e prebende.

Ora un criterio di scelta che punisca i più ricchi rischia di punire (è sempre il caso di Reggio Emilia) chi più decisamente si è mosso nel senso del Welfare e di “togliere la terra sotto i piedi” alle vere riforme. Chiusa questa parentesi (che però per noi è importante dato che praticamente gran parte delle attività del nostro Settore sono legate alla sopravvivenza stessa del Welfare) torniamo alle nostre urgenze.

4)       Il taglio dei finanziamenti  C.E.E. e  le  conseguenti esigenze di articolare la nostra risposta sul piano del sistema educativo agli adolescenti handicappati rimasti scoperti ha creato nei due mesi scorsi un equivoco di fondo e cioè che quello che era un punto di un piano annuale degli impegni, articolato in altri dodici o tredici punti, non solo è stato visto come il piano annuale tout-court (non tenendo presente che in quel piano vi erano alcune proposte che riguardavano neuropsichiatri infantili , psicologi, logopediste, fisioterapiste, tiflologi, formazione, rapporto con gli amministrativi ecc.), ma da taluni ed in certe circostanze come se quella fosse la proposta di ristrutturazione. Allora, a rischio di sembrare impopolari, noi ci tenia­mo a specificare che quella era solo un punto di un piano annuale degli impegni e che la figura dell’educatore, che pure è importante (la nostra Amministrazione lo sa bene tanto è vero che ha aperto una scuola per educatori che costituisce un esperimento molto grosso e contrastato dagli universitari proprio perché legato al territorio), questa figura ripetiamo, importante, non va vista onnipotentemente come il toccasana di ogni ferita, pena il rischio di solidificare in tutti (gli operatori, scuola, famiglie) attese che poi non possono essere mantenute, progetti inattuabili seguiti poi (come spesso è accaduto negli anni scorsi) da cadute e sbandamenti che erano il frutto delle precedenti pretese di centralità e di esaustività delle risposte che tali figure potevano dare ai bisogni. La stessa cosa, è ovvio la si può dire nei confronti di tutte le altre figure professionali operanti nel Settore, nel senso che questo è un “peccato” che prima o poi ha preso tutte le figure professionali, ma nel caso degli educatori il problema era spesso più acutizzato dalla novità di questa figura, a metà strada fra sanità ed educazione, che più facilmente poteva dar adito ad equivoci da parte di tutti.

Noi siamo convinti che la scuola degli educatori professionali può aiutarci a dare una risposta a tali quesiti, così come siamo disposti a consegnare alla scuola tutto il bagaglio della nostra esperienza e delle no­stre conoscenze.

In questo quadro perciò va dimensionata la scelta fatta di spostamento di alcuni educatori per un certo numero di ore (non più di quindici settimanali) nella fascia 14-18 anni.

5) Diventava dunque indispensabile da un lato ridefinire in termini più puntuali e più organici l’ipotesi di ristrutturazione e dall’altro iniziare a prendere decisioni urgenti che non fossero almeno nella sostanza contraddittorie col progetto stesso pur rendendoci conto che comunque qualsiasi proposta di ristrutturazione re sta pur sempre un progetto da verificare nella discussione e soprattutto nella prassi.

6)   Ora la prima cosa che occorre fare quando si fa un progetto di ristrutturazione è una analisi della doman­da . Rimandiamo al documento di aprile per una disamina più dettagliata su questo puntò.

Ciò che ci preme ribadire qui sono le seguenti cose :

a) innanzitutto in questo quindicennio che va dalla nascita del nostro servizio ad oggi la realtà reggiana — e similmente quella del suo hinterland — è profondamente mutata: rapido passaggio da una società industriale sempre più terziarizzata, conseguente aumento dei livelli di scolarizzazione delle nuove coppie e quindi delle attese nei confronti dei servizi del Welfare, trasformazioni nella composizione del nucleo familiare e spinta verso una famiglia più ristretta con conseguenti problemi sul piano del l’esperienza della genitorialità, modificazioni dell’ambiente urbano che vanno nel senso di una concentrazione e di una ridistribuzione della popolazione, nonché nella ridefinizione dello stesso ambiente rurale come ambiente rurale urbanizzato, creazione di nuovi quartieri, arrivo di manodopera non qualificata che si concentra nella categoria degli “operai industriali” e  fra i disoccupati e le casalinghe.

b) in secondo luogo e, conseguentemente, tutto ciò deter­mina l’emergere sempre più pesante di nuove domande che sono rivolte al nostro settore e che sono sostanzialmente :

1)       la domanda di risoluzione di problemi psicologici del bambino e dei suoi genitori;

2)       la domanda di risoluzione dei problemi di apprendimento che si affiancano alle tradizionali domande di risoluzione dei problemi inerenti i problemi psicologici più pesanti dell’infanzia (psicosi infantile) e gli handicap.

e) inoltre è profondamente mutato il tipo di risposta che le scuole, soprattutto nella fascia dell’obbligo, ma in termini sempre più netti e qualitativamente alti anche le strutture pre-scolari del Comune capo luogo, stanno dando alla domanda di integrazione e di risposta sul piano pedagogico didattico alle esigenze dei bambini handicappati.

Ad esempio ci risulta che ormai nel nostro distretto scolastico il 70% degli insegnanti di sostegno abbia conseguito un diploma triennale che abilita al sostegno. Ci risulta che il Comune capoluogo abbia in organico educatrici di sostegno supportate da una pedagogista che le segue e le sta formando. Ci risulta infine che da quest’anno anche nelle scuole medie inferiori cominciando dai corsi, organizzati dalla stèssa scuola per formare insegnanti di sostegno più preparate e qualificate .

d) infine è profondamente mutato in questi quindici anni il quadro  di  insieme delle risposte  che  gli  altri settori del  Materno-Infantile e  le altre ‘ istituzioni danno ai vari problemi dell’infanzia,

d1) innanzitutto non vi è più la doppia istituzione sanitaria che definiva statutariamente l’esistenza di un solco fra ospedali e territorio (anche se pare che Donat Cattin abbia idee restauratrici in proposito).

Ciò non vuoi certo dire che il solco non esiste più ma che vi sono le premesse in termini istitu­zionali per una integrazione che, ih ogni caso, spetta anche a noi territoriali promuovere. Anche nei confronti dei pediatri operanti nel territorio è opportuno prendere un atteggiamento  che parta dalla constatazione che queste figure ormai vanno mutando il loro modo di affrontare i problemi di rapporto con i pazienti e non solo in base ai mutamenti strutturali in base ai quali nasce la figura del nuovo pediatra di base, ma proprio per una nuova sensibilità nei confronti dei problemi “di frontiera” che sorgono fra pediatra e N.P.I.. Non è un caso che aumentano sempre più le segnalazioni che ci giungono dai pediatri, segno di un filtro che diviene sempre più efficace che si rivela molto utile soprattutto in considerazione dell’immagine che tali figure assumono di fronte alla famiglia.

d2) in secondo luogo gli Enti Locali, tendono sempre più a rivolgerci delle richieste tecniche sul piano della progettualità e della gestione poiché anch’es si sono presi dai mille problemi nati dagli stessi mutamenti di cui abbiamo parlato prima: immigrazione, nomadi, nuove domande che vengono dalle famiglie e, poiché noi siamo un Settore di un Servizio da loro espresso, in certo qual modo assieme ad essi dobbiamo operare (come per esempio abbiamo fatto, insieme alla scuola, per il progetto di Educazione e Territorio del quartiere n. 4 di Canalina a partire dall’anno scorso) per risolvere insieme i problemi, ognuno nell’ambito delle proprie responsabilità e dei propri limiti.

d3) lo stesso tipo di ragionamento vale per la scuola e le istituzioni pre-scolari e non è un caso che stia per partire un progetto di analisi delle modifica­zioni delle domande che le famiglie pongono sul piano delle problematiche d’ordine psicologico ed educativo nel rapporto con i propri figli in età pre-scolare. Il lavoro di ricerca che su quel piano stiamo mettendo a punto con la dr.ssa Chiara Sara­ceno per noi è una tappa importante che ci permet­terà di comprendere, insieme ai nostri col leghi pedagogisti, con maggiore precisione e soprattutto insieme agli altri Servizi e non in concorrenza o peggio, in contrapposizione ad essi la natura del cambiamento per articolare sempre meglio le nostre risposte.

d4)” infine la nascita di strutture semi-residenziali e residenziali di tipo professionale da parte del Simap, impone un riavvicinamento a questa istituzione. Anche questa  istituzione sta rivedendo le  proprie risposte, a fronte di una domanda sotto certi aspetti nuova e cercando di dare una risposta più profes­sionale ai bisogni che, però, pone grossi problemi per ciò che riguarda gli adulti handicappati, come vedremo meglio tra un pò.

Questi, in sintesi, i mutamenti più rilevanti intervenuti in questo quindicennio. Esporremo ora i punti salienti del progetto di ristrutturazione della nostra risposta terapeutica e riabilitativa.

7)   In primo luogo la prevenzione. Nel documento di  aprile abbiamo già detto come l’aumento crescente di  problemi psicologici e scolastici imponga che, a fianco al l’intervento individuale ed ambulatoriale di tipo psicoterapeutico e riabilitativo, vi sia anche il nostro concorso insieme agli altri settori o servizi  consultori, pediatria, medicina di base,  uffici scuole  comunali, circoscrizioni, scuole di ogni ordine e grado,  servizi di assistenza pubblica, assessorato alla gioventù, ecc. per una risposta sul piano della prevenzione. Qui ci preme ribadire, a scanso di  equivoci, che  il nostro compito come N.P.I. rispetto a questa  casistica è solo di concorso nell’analisi e nella definizione dei progetti che poi andranno avanti, ma che spetta poi es­senzialmente a  chi è  preposto a  svolgere compiti  di natura educativa o assistenziale seguire  concretamente i progetti e accollarsene le spese, fermo restando che, da parte nostra, ci deve sempre essere la disponibilità a esprimere una consulenza e/o un intervento specialistico solo là dove ve ne sia il bisogno sul piano psicoterapeutico, e degli apprendimenti.

Ma prevenzione, a nostro avviso, deve significare anche intervento sulla organicità individuando i fattori di rischio e discutendo con i Servizi a ciò preposti come cercare di minimizzare le probabilità di nascita di bambini con vari tipi di deficit.

Pertanto è necessario un rapporto con il Laboratorio di genetica nel tentativo di  minimizzare alcune cause  di rischio: pensiamo, ad esempio, alla Sindrome di  Down che, a nostro avviso, è in preoccupante aumento percentuale e soprattutto più diffusa nelle giovani  coppie. Questo potrebbe essere un terreno di  intervento più organico anche sul piano della prevenzione primaria. Risolto l’annoso contenzioso con la pediatria sul l’osservazione del  bambino piccolo va ora definito un criterio in base al quale ad una osservazione fatta dal pediatra di tipo necessariamente orizzontale possa seguire una osservazione longitudinale svolta dai tecni­ci della N.P.I. e guidata dal N.P.I. che  approfondisca il problema, lo verifichi e  poi lo rimandi per quanto di competenza al pediatra tenendo presente  che  tale tragitto può prendere molte figure, ma che è impensabile un rapporto con la pediatria su questo piano che non preveda una dialettica fra la figura del N.P.I. ed il pediatra, dove la funzione del N.P.I. è quella di rias­sumere le osservazioni degli altri tecnici cointeressati e renderle organiche affinchè l’eventuale piano di intervento precoce così come le eventuali dimissioni siano frutto di una riflessione comune ma anche di una decisione chiara e qualificata.

Infine un grosso problema sul quale abbiamo sorvolato negli anni scorsi è quello del superamento delle bar­riere architettoniche. Ci risulta che il Comune di Reggio Emilia stia mettendo a punto dei progetti di analisi e di intervento su questo piano. La nostra partecipazione a tali progetti deve essere la più attenta e qualificata. Lo stesso movimento va messo in piedi nei comuni del l’hinterland laddove il nostro intervento deve essere ancora più centrale, proprio per non aggravare lo squilibrio territoriale già esistente.

8) Complementarietà con gli altri servizi e le altre istituzioni, maggiore professionalità nelle risposte, maggiore capacità di cogliere il senso delle trasformazioni intervenute nella società reggiana e di adattare l’assetto del Settore di N.P.I. a tali trasformazioni: queste le direttrici secondo le quali occorre definire il lavoro di prevenzione, queste anche le direttrici per la risposta sul piano della cura . Su questo  piano ci preme partire innanzitutto dall’area degli adolescenti. E’ su quest’area infatti che si gioca buona parte della credibilità della nostra risposta ai bisogni del territorio.

Vediamo innanzitutto il problema dei casi in cui gli aspetti psichiatrici sono in primo piano e soprattutto quelli in cui i deficit sul piano intellettivo non siano così gravi da vanificare un intervento psicoterapeutico. I problemi che sorgono su questo piano sono costituiti dalla mancanza di un chiaro rapporto con il Simap. Ciò che occorre, a nostro avviso, è innanzitutto l’approntamento di un luogo per i momenti di acuzie che, in base all’esperienza, non può essere sempre il Diagnosi e Cura. Si propone perciò di adire ad una convenzione con un istituto operante a Reggio Emilia affinché vi sia la possibilità di avere una struttura ad hoc ogni volta che ve ne sia bisogno.

Per quanto riguarda quei casi in cui su una grave cerebropatia si è innestata una psicosi d’impianto che comporti un lavoro essenzialmente sul piano educativo e riabilitativo, cioè per ciò che riguarda tutti i casi che attualmente sono nei Centri Appoggio (più quei casi gravi che per le più varie ragioni non è stato possibi­le inserire nei Centri Appoggio), vi è un orientamento da parte del Simap a non intervenire su questo tipo di casistica se non in termini di consulenza per gli aspetti psichiatrici dei vari casi, allorché questi superano i diciotto anni. Ciò rappresenta un orientamento  nuovo per questo servizio: infatti  in passato questi  casi erano ricoverati in ospedale psichiatrico e  tutt’ora, ci pare, esistono dei gruppi di pazienti  insufficienti mentali gravi con psicosi d’impianto seguiti in O.P. Ora si può discutere o meno della legittimità di un orientamento di tal fatta.  Noi non intendiamo farlo  ed anzi comprendiamo  le esigenze  del Simap  di dare  una risposta più professionale a tale ordini di problemi. Allora però va detto con forza che qualcuno deve  farsi carico di questo tipo di casistica altrimenti i risul­tati sono pessimi. Il nostro settore finisce con l’es­sere risucchiato sempre più su una tematica adulta  che non è attrezzato ad affrontare e non risponde in manie­ra adeguata alla propria utenza.

Ci pare che la proposta controfirmata da tutti i Servizi interessati, di un affidamento al Servizio Sociale della gestione di questi gravi adulti handicappati sia la migliore soluzione.

Va detto però anche che, finche il Servizio Sociale non avrà un proprio organico in grado di dare una risposta sul piano di un’assistenza qualificata a questi pazienti e finché si daranno in gestione ai privati tali problematiche nulla di garantito avremo sul piano tecnico. La proposta di recuperare una parte degli oltre 115 posti di infermiere psichiatrico che nei prossimi anni si libereranno per assumere personale tecnico che segua i 5 o 6 Centri Appoggio per adulti handicappati gravi che dovranno nascere nel prossimo decennio ci pare la risposta più corretta a questo pesantissimo bisogno che implica, proprio per la sua pesantezza, molta più attenzione da parte di tutti.

Noi pensiamo che una soluzione di questo tipo può essere il punto di partenza per: 1) risolvere il problema dei gravi adulti da Centri di Appoggio chiunque li segua, sia esso il Servizio Sociale, sia esso il Simap o, meglio, come abbiamo detto nel documento sui gravi dell’aprile scorso. Il Servizio Sociale con la consulenza del Simap, e le prestazioni necessaria da parte della medicina di base; 2) favorire anche per gli altri casi gravi un passaggio più tranquillo al Simap quando diventano adulti. Infatti qualora il Simap non sia d’accordo sulla nostra proposta di un rapporto terapeutico e riabilitativo e ritenga che il paziente abbia bisogno solo di un rapporto assistenziale ed educativo sarà in grado di trovare col Servizio Sociale un luogo di vita per questi pazienti.

9)   Per ciò che riguarda le idee anche rispetto ai gravi maturi e per un inquadramento di tutto il problema in termini anche quantitativi rimandiamo al documento sui gravi firmato da tutti in aprile. Ripetiamo però che spetta ad altri Servizi risolvere il problema dei gravi adulti, che solo per questavia si può consentire anche il mantenimento  invariato il numero dei Centri  Appoggio per  adolescenti  gravi handicappati, che altrimenti sono destinati a “scoppiare” per la permanenza in essi  di pazienti che  non dovrebbero stare lì. Ma questa considerazione di carattere puramente  quantitativo, sia pur importante,  non basta certo  a risolvere da sola  la grande mole dei problemi che nei Centri Appoggio sono presenti. Decisivo a noi  sembra in proposito  il criterio della maggiore professionalità delle risposte nostre ai problemi posti dai gravi  e la complementarietà con  altri settori dal nostro Servizio nonché con gli altri EE.LL.

Non è corretto che compiti di natura assistenziale quali i trasporti, ricadano sugli educatori operanti nei Centri Appoggio. Non è ammissibile che alle giuste richieste delle famiglie di allungare i tempi di degenza giornaliera nei Centri Appoggio debba corrispondere un impegno sempre da parte dei nostri educatori. Non è corretto nei confronti dei pazienti che ad una malattia dell’educatore corrisponda un rimanere a casa del ragazzo. Non è serio affrontare i problemi dell’invalidità in maniera episodica e senza un raccordo credibile e tempestivo con la commissione invalidità. Ciò vale come critica e autocritica rispetto a questi problemi soprattutto per quanto riguarda il raccordo con le assistenti sociali dell’infanzia. Ed in proposito permetteteci di aggiungere da ultimo che la soluzione trovata il mese scorso di una rotazione fra gli ultimi educatori che sono entrati nei Centri appoggio che non supera le 10/12 ore rischia di non tener presente le esigenze di continuità di rapporto con il grave (intesa come rapporto stabile ed individualizzato).

A nostro avviso è preferibile un rapporto per più ore alla settimana (pensiamo ad un numero di ore che oscilli fra le 15 e le 20) che garantisca stabilità e individualizzazione, con tutte le garanzie invece perché vi sia un riciclaggio ogni 2/3 anni (ovviamente scaglionato nel tempo per non creare pericolose discon­tinuità) del personale coinvolto nei Centri Appoggio. Perciò complementarietà con il Settore sociale Infanzia e con gli EE.LL. che provvedano a coprire le esigenze dei trasporti, e le richieste di tempo lungo delle famiglie; e inoltre maggiore adeguatezza degli organici per coprire le malattie,  riciclaggio del personale  ed ingresso degli educatori sulla base di un rapporto  più stabile ed individualizzato col ragazzo, e con garanzie di un ulteriore riciclaggio ogni 2/3 anni. Aggiornamento e  supervisione su queste  problematiche (come vedremo meglio dopo) viste come prioritari.

10)  Per quanto riguarda gli adolescenti handicappati medio­gravi   la nostra proposta è quella di arrivare alla costituzione di  due  cooperative  polivalenti  protette. Tali cooperative,  come dicevamo ancora nel  dicembre 1985, dovrebbero essere un  luogo in cui raggiungere  i seguenti obiettivi: a) rispetto dell’identità culturale del ragazzo; b)  continuazione di un iter formativo abilitante al lavoro;  e) concreta produzione di merci e conseguente possibile guadagno; d) inserimento. In concreto finora abbiamo, fatto le seguenti cose:

–      ridefinito i criteri con cui presentate i ragazzi nei Centri di formazione professionale;

–      organizzato da quest’anno, un progetto formativo legato più concretamente allo sbocco produttivo delle cooperative (insieme all’Enaip);

–      aumentato fortemente le ore in stage in strutture normali da parte di questi ragazzi, grazie allo spostamento su queste problematiche di 14 educatori a 15 ore circa la settimana; reperito i luoghi in cui far sorgere le cooperative (Casaloffia e Sesso) grazie alla disponibilità finan­ziaria e tecnica (geometra ecc..) del Comune di Reggio Emilia;

–      raggruppato già i genitori (è nostra intenzione coinvolgere anche i genitori dei ragazzi e bambini non coinvolti direttamente nel problema) per discutere insieme ad essi il progetto;

–      risolto il problema dell’inserimento con la progettazione di strutture ricreative e sportive che dovrebbero permettere un interscambio dei ragazzi con la gente (laghetto per la pesca, spaccio); d’altro canto è appurato, dopo aver visto esperienze come lo Strade!lo  che, nella misura in  cui in un luogo si svolge un lavoro vero (e non fittizio). e nella misura in cui una struttura dai una risposta professionale  ad una popolazione omogenea e non promiscua l’atmosfera che ne vien fuori è di per sé autentica e formativa. Su questo piano  intendiamo andare  avanti  coinvolgendo almeno 6/7 educatori per struttura.

–      E impensabile però che uno sforzo di questo genere, che richiede anche competenze di ordine amministrativo sia affrontato solo da tecnici quali gli educatori, gli psicologi i neuropsichiatri infantili.

E  da prevedersi  un  impegno  da  parte  degli  uffici amministrativi almeno  finché  la cooperativa  non  abbia compiuto i passi più importanti sul piano dell’autono-mizzazione amministrativa.

Ciò di cui c’è bisogno è un funzionario che sia in  grado di fare le  ordinazioni, tenere i  contatti con la  lega, sfruttare le  leggi  regionali,  nazionali  ecc..  per  i finanziamenti, attrezzare i lavoratori ecc.. Nei rapporti con l’Enaip vi è  un salto di qualità, si  è instaurato un clima di  maggiore reciproca stima,  grazie anche al coordinamento dell’Amministrazione Provinciale. Ma anche su questo punto occorre essere chiari: noi abbiamo fatto la nostra parte garantendo gli stage per i ragazzi medio gravi inseriti nel progetto “Orientamento e stage”, l’Enaip deve fare la sua garantendo l’apertura dei laboratori e definendo anno per anno per tempo i suoi impegni poiché per tempo i ragazzi vengano da noi presentati nell’apposita Commissione Provinciale. Anche per questi ragazzi ci sari un futuro prossimo in cui diventeranno adulti. Poiché sarebbe impensabile che coloro che entrano nelle Cooperative ne escano dopo un anno o due si impone anche qui la partecipazione del Servizio Sociale adulti con un suo organico affinché non appena la popolazione ospitata nelle Cooperative comincia a diventare adulta si possa cogestire insieme, N.P.I. e  Enaip, queste strutture.

11) Per ciò che riguarda i medio-lievi e lievi è già stato istituito un posto (a metà tempo) di una educatrice che svolge un importante lavoro di reperimento di luoghi posti di lavoro in un rapporto preciso con l’equipe territoriale che ha già dato i suoi primi importantissimi frutti: 7 ragazzi inseriti in 4/5 mesi ed un ottava in via di inserimento, contro un precedente saldo miserrimo.

Ora deve essere chiaro che tale istituzione che è preziosa non solo per lievi e medio-lievi, ma anche per gli altri ragazzi (anche perché comincerà a funzionare per il reperimento dei posti in stage) va estesa e soli­dificata e non può essere utilizzata da altri per fini che non siano quelli per i quali è stata istituita.

In ogni  caso  l’intervento di  quest’educatrice  è  un momento “secondo11 rispetto all’inserimento dei ragazzi nei Corsi di Formazione Professionale con o senza appoggio.

Date le nuove indicazioni regionali e dato, d’altra parte, il nostro nuovo e massiccio impegno nei progetti speciali per medio-gravi spetta agli enti preposti alla formazione fornire il personale di sostegno, quando è necessario, per i medio-lievi.

Poiché a volte capita che l’Enaip, Simonini ecc.. accolgono ragazzi da noi non seguiti  occorre trovare una”soluzione che tuteli i ragazzi da noi segnalati e che sia l’equivalente di ciò che accade per la fascia dell’obbligo su questo piano.

Ritornando al problema degli handicap adulti su queste fasce va previsto un servizio, che potrebbe sempre far capo al Servizio Sociale adulti che segua gli inserimenti lavorativi dei lievi e fornisca per i medio—lievi il necessario ulteriore sostegno finché lo si ritiene opportuno.

In prospettiva va previsto un aumento del tasso di residenzialità, per tutti gli adulti handicappati mano a mano che nelle famiglie vien meno l’aiuto dei parenti più prossimi: queste cose occorre cominciare a discuterle perché fino a 15 anni fa questi problemi non si vedevano perché c’erano le istituzioni totali che coprivano il bisogno.

12) Per quanto attiene gli adolescenti con problemi psicologici, visto che ci sono tre gruppi di lavoro che seguono tali adolescenti: la N.P.I., i consultori ed il Simap (almeno per certi aspetti più gravi e senzaltro nel momento del passaggio e del ricovero dei casi acuti) proponiamo la formazione di un gruppo di lavoro su questo tema che, per la sua specificità da un punto di vista terapeutico, implica la definizione di un assetto territoriale e non, molto più articolato e condiviso dai vari servizi di quanto sia avvenuto finora, Occorre tener presente soprattutto l’esigenza di intimità e di anonimato dell’adolescente che ha di questi  bisogni ed in secondo luogo  e  parallelamente  le  particolari esigenze formative di  chi segue questo  genere di  casi­stica .

Perciò ci pare più che mai opportuno in questo caso definire meglio cosa e come fare, come dividerci i compiti, come diventare complementari ecc… Anche la risposta rivolta ai genitori di adolescenti che da una posizione solare si trovano più o meno repentinamente marginalizzati ed in crisi rispetto ai ragazzi merita una più attenta disamina, così come quella rivolta agli educatori.

Infine una importanza crescente assume il problema dell’orientamento alla fine dell’obbligo. Molti ragazzi da noi  seguiti, a fianco a problemi di break-down evolutivo ed anzi  intrecciati  con  essi, presentano problematiche di insuccesso scolastico dovute anche spesso ad un cattivo orientamento o al fatto che la famiglia non ha seguito le proposte di orientamento della scuola media.

Un  più  efficace  orientamento  può  essere  un  grosso elemento di prevenzione  nell’adolescente: ecco un  altro terreno su cui mobilitarsi  in termini complementari  con Amministrazione Provinciale,   Ufficio   Scuola  Comunale.    Distretto Scolastico, ecc…

13) Veniamo ora ai problemi che riguardano i bambini e i ragazzi fra O e i 14 anni.

Su questo piano, come abbiamo detto analizzando la natura della domanda di servizi e di prestazioni, si assiste ormai da un decennio ad un aumento costante delle richieste sul piano dei problemi psicologici e dell’apprendimento.

D’altro canto l’aumento degli insegnanti di sostegno che danno una risposta sempre più qualificata sul piano del sostegno educativo e didattico per i bambini handicappati spinge ad una risposta, da parte nostra, sempre più professionale anche su questo genere di casistica.

Per quanto riguarda i problemi psicologici va detto innanzitutto che la domanda di consulenza o di psicoterapia si esprime prevalentemente come domanda di aiuto a partire spesso da un sintomo o da un insieme di sintomi in base al quale lo psicoterapeuta definisce un rapporto il cui presupposto di base è la trasformazione del sintomo in problema.

Questa impostazione metodologica implica la presa in carico del problema del bambino, ma anche la problematizzazione (se possibile) del contesto in cui il bambino vive (famiglia-educatori). I problemi che sorgono sul piano della consulenza e della psicoterapia sono molteplici.

In questa sede ci preme di affrontare quelli che hanno più diretta attinenza con i problemi organizzativi. Innanzitutto vi è il problema della metodologia in base alla quale una domanda che può essere indotta (dalla scuola, dal medico di famiglia eco..) si trasforma o meno in domanda autenticamente sentita dalla famiglia: ciò è stato ottenuto mediante dei meccanismi che permettano di appurare l’autenticità della richiesta e di evitare di svolgere un ruolo di controllo sociale. In secondo luogo vi è i 1 problema della definizione del paziente che è intrecciato col primo e che permette, in una situazione in cui la domanda – non dimentichiamolo – è sempre espressa dal contesto in quanto che il soggetto è un bambino, di affrontare i problemi a partire dal  rapporto con chi sente di avere bisogno.

Ciò implica, ad esempio, la possibilità di discutere  dei problemi di un genitore o di un educatore, o di gruppi di genitori o di educatori anche senza un’osservazione diretta del bambino nella misura in cui si appura che, in ogni caso vi è un problema di rapporto con un bambino o un gruppo di bambini da parte di quell’adulto in quella situazione.

Infine vi è il problema della giustapposizione del lavoro degli psicoterapeuti operanti nella N.P.I. e quelli operanti nei consultori e nel Simap.

Per quanto riguarda il rapporto con il consultorio è noto che il modello fino qui applicato a Reggio Emilia non è lo stesso in tutti i luoghi della Regione e neanche della stessa provincia di Reggio Emilia.

Vi sono infatti delle situazioni in cui gli psicoterapeuti svolgono un lavoro più ampio (corrispondente al lavoro di N.P.I. più quello dei consultori) in un territorio (probabilmente) più ristretto.  Il nostro modello ha  il vantaggio di garantire una più precisa  specializzazione, ma una pratica di  scarso confronto ha fatto  sedimentare una mappa in cui sono disegnati strani confini, a volte contesi, con territori  che si sovrappongono  pericolosamente, a volte rifiutati con territori che tutti vorreb­bero abbandonare.

A nostro avviso i confini vanno così definiti; – i problemi psicologici della sessualità e della  coppia definiscono  un  quadro  preciso  di  competenze  che  si inscrive in un quadro altrettanto preciso di rapporti con altre figure professionali: il ginecologo, l’ostetrica, ecc. .

– i problemi psicologici dell’infanzia e della genitorialità definiscono un altro quadro, di competenze che ha come punto di riferimento la pediatria, la riabilitazione, e quindi l’handicap, la scuola ecc..

Per quanto riguarda il rapporto con il Simap abbiamo  già detto prima. Per cui per quanto attiene la psicotera­pia, alla fine emergono grosso modo tre ambiti di lavoro: il Simap cui spetta di dare una risposta agli adulti gravi e medio- gravi (psicosi – borderline); il settore di N.P.I. cui spetta di dare una risposta ai bambini (psicosi – borderline – nevrosi); il consultorio cui spetta dare una risposta ai problemi della sessualità e della coppia.

Rimane da definire, come dicevamo prima il discorso sull’adolescenza che prende trasversalmente tutti i servizi (e che fra l’altro non si esaurisce nella risposta psicoterapeutica) .

A partire da questi confini poi ogni settore o servizio si sta “specializzando” più o meno celermente per cui da noi vi è una serie di specializzazioni (handicap, psicosi, neurosi, gruppalità) nel consultorio se ne delineano altre, nel Simap altre ancora (si pensi per esempio alla terapia della famiglia).

Una maggiore complementarietà  su questo  piano è  ancora lungi dal definirsi ma è  urgente in quanto che su molti casi una cointeressenza è essenziale per definire un buon setting.

Definire, in via transitoria, dei protocolli di intesa e un terreno di lavoro  comune sull’adolescenza può  essere un buon inizio.

14) Le problematiche inerenti gli apprendimenti in età pre-scolare e scolare sono ugualmente importanti in una società che vede aumentare i tassi di scolarizzazione in maniera galoppante per venire incontro alle nuove esigenze del mercato del lavoro.

Su questo piano si misurano  spesso adulti e bambini  nel definire se stessi nel proprio essere sociale e privato. Qui il problema principale è quello che riguarda la dia­gnosi differenziale in età precoce (0—6, ma anche 6 -8) poiché non è sempre facile comprendere l’origine del problema in queste fasce di età e conseguentemente si rischia di mettere in piedi degli interventi inefficaci o, peggio, dannosi per il bambino. Per questo motivo riteniamo doveroso l’intervento del N.P.I. su questa fascia di età (0 — 8) almeno nella fase diagnostica. Anche su questo  piano  inoltre  occorre distinguere  fra problemi del bambino e problemi degli adulti che ne  sono responsabili sul piano educativo (famiglia – scuola). Le nostre  competenze più  tradizionali e  più rodate  su questo piano sono sugli organici.

Oggi però è impellente un adattamento del nostro intervento sui problemi, che prendono i non organici e su quelli che si impiantano su quello che chiamano il “danno cerebrale minimo11.

Anche l’intervento sugli organici però, per i motivi già più volte ricordati, tende a mutare nella misura in cui pre- scuola e scuola si danno un apparato tecnico più qualificato.

Un intervento più professionale perciò è all’ordine del giorno sia sugli organici che sui non organici e comprende tutte le figure professionali neuropsichiatri, psicologi, fisioterapiste, logopediste, educatori. Una puntualizzazione merita  il ragionamento sulle metodiche e sui luoghi di trattamento riabilitativo poiché su questo piano spesso altri  servizi non hanno ricevuto  le necessarie informazioni per poter valutare con esaustività quello che da quindici anni andiamo facendo. Le metodiche sono essenzialmente riassumibili nell’indicazione di un trattamento riabilitativo che abbia caratteristiche dell’autenticità e quindi, trattandosi di bam­bini, che siamo strettamente intrecciate con il mondo degli interessi del bambino: il gioco, l’esplorazione, la sete di conoscenza e la spinta di crescere. In ciò vi è una differenza sostanziale con  la riabilitazione  intesa come recupero puro  e semplice di  performance (come  può essere il recupero della capacità di emettere certi suoni nelle disfonie). Qui si tratta di un essere in  formazione che ha bisogno di una relazione  ben strutturata con  il riabi1itatore che non può mettere tra parentesi tutto  il resto per concentrarsi sull’organo, pena la demotivazione da parte del bambino e la trasformazione della riabilitazione in un penoso esercizio che lancia messaggi molto pericolosi sul piano del l’autostima, delle possibilità di crescita e di recupero ecc.. I livelli di produttività qui vanno misurati non in termini di ore spese per paziente ma in termini di efficacia sia in relazione al bambino che alla famiglia.

Per quanto riguarda i luoghi in cui avviene la riabilitazione va detto in generale che la disponibilità reale da parte dei contesti educativi in cui il bambino è inserito, nonché il vissuto che le famiglie hanno dei problemi organici e non organici che siano del bambino stesso, insieme, come è ovvio, alla natura delle diagnosi influiscono nel determinare il luogo in cui si sviluppa il. programma di riabilitazione.

Più in particolare va detto che tali luoghi possono esser tre: la casa, la sezione o la classe, l’ambulatorio.

Ciò che determina la scelta del luogo è da una parte l’insieme degli obiettivi che ci si propone di raggiungere attraverso il trattamento fase per fase, dall’altra la definizione del setting riabi1itativo e cioè le condizioni in base alle quali si può instaurare una proficua alleanza di lavoro fra riabi1itatore e bambino. In ogni caso ci sembra che indicativamente:

a) il domicilio possa essere un luogo privilegiato per il momento della diagnosi precoce e della osservazione mirata di bambini piccolissimi, il”luogo in cui opera­re nel caso la famiglia non sia disponibile ad una scolarizzazione precoce di bambini molto piccoli, nei momenti di convalescenza, ed infine nei casi in cui il bambino o il ragazzo siano allettati;

b) la sezione o la classe può andare bene, accertata la disponibilità della famiglia all’inserimento, nel caso di bambini in età prescolare, ed accertata la disponibilità del contesto ad accogliere il bambino, qualora l’intervento riabilitativo (che non va confuso con il sostegno) necessita di svilupparsi nell’ambiente scolastico per le particolari interconnessioni che vi sono in quel determinato momento, fra piano riabilitativo e piano educativo;

e) l’ambulatorio sembra più indicato qualora il programma riabilitativo necessiti di svilupparsi in un luogo che non esponga il bambino con le sue parti più deficita­rie all’attenzione del gruppo – sezione o del gruppo-classe pena l’insorgere di problematiche sul piano del 1 ‘autostima, ed in secondo luogo quando non vi è disponibilità da parte del contesto scolare. 15) Infine una serie di problemi non di poco conto che è opportuno ricordare:

a) l’ampliamento della convenzione sugli obiettori con il Ministero della Difesa: anche qui vi è un’operatrice a metà tempo che sta concretamente lavorando con il Settore Sociale Infanzia su questo piano e l’ampliamento della convenzione è urgente. Si pensi che il Comune di Reggio Emilia ha una convenzione per 33 obiet­tori. L’U.S.L. con 10 che sono quasi sempre utilizzati in ospedale. Qualora, come ha fatto il Comune di Reggio Emilia, la convenzione sia seguita con puntiglio e con applicazione da un apposito ufficio che garantisca l’obiettore e, nello stesso tempo, sia legato al servizio territoriale ciò può essere oltre che una fonte di risparmio notevole, oltre che la risoluzione di molti problemi, anche un’opera meritoria per chi la esercita e chi organizza.

b) il problema del rapporto con gli uffici amministrativi del servizio che necessita senz’altro di una messa a punto che persegua obiettivi di maggiore efficienza ed efficacia, soprattutto nella misura in cui si comincia a gestire più direttamente strutture semi-residenziali.

e) l’esigenza di muoversi per tempo sulle scadenze di ordine finanziario: non si può chiedere a neuropsichiatri e psicologi di rincorrere leggi che erogano soldi, conoscere le scorciatoie burocratiche ecc..

E’ necessario avere una più efficace antenna su tutti questi problemi affinché poi i responsabili tecnici siano posti, per tempo, nelle condizioni di fare le loro relazioni, i loro progetti ecc.. Anche gli iter successivi devono essere seguiti con più solerzia; è passato certo i 1 tempo in cui i tecnici andavano a Bologna a se­guire di persona le de libere, e ciò è un bene, ma qualcuno che lo faccia al posto loro ci deve pur essere altrimenti altri arrivano prima di noi, mettono cappello sui fondi e noi rimaniamo qui a discutere, a far approvare inutili delibere che poi non vanno avanti perché non coperte finanziariamente.

L’ASSETTO ORGANIZZATIVO

16) Complementarietà, professionalità e capacità di lettura dei cambiamenti intervenuti in questo quindicennio sono i principi che ci hanno guidato nel definire i contenuti del progetto di ristrutturazione del settore di N.P.I.. Nel definire ora il modello organizzativo che dovrà informare e giustapporre il lavoro dei vari tecnici che lo compongono ovviamente partiremo da questi principi. Ad essi però se ne aggiungeranno degli altri che sul piano dell’individuazione dei compiti e delle funzioni di ciascuno sono altrettanto importanti.

In primo luogo il rapporto fra accentramento e decentramento.

Il modello di settore che proponiamo ai col leghi, al Sindacato ed all’Amministrazione dovrà partire dalla più snella, funzionale e chiara struttura di decisione che implica dei livelli di accentramento delle responsabilità che sono già impliciti nelle due delibere del febbraio scorso e che vanno ulteriormente specificati definendo delle strutture di decisione e di responsabilità che comprendono le aree di problemi già individuate (pre­scuola, scuola elementare e media, adolescenti, adolescenti gravi, formazione), ma anche delle aree professionali (problemi psicologici, problemi dell’apprendimento, neurologia, fisiatria) che permettano il raggiungimento in tempi ragionevoli di una risposta più qualificata e professionale, appunto, a tutti i livelli.

A fianco a questo accentramento che unifichi le forze e ci permetta di avere un assetto tecnico sempre più adeguato alla natura della domanda, vi dovrà essere, nel nostro settore, un’altrettanto marcata tendenza al decentramento che permetta una aderenza, la più precisa possibile, al territorio.

17) Il secondo principio che dovrà informare le attività del settore di N.P.I. è quello della chiarezza dei limi­ti e delle responsabilità a tutti i livelli: dalla responsabilità diretta sul caso alla responsabilità del settore ed al rapporto fra essa e la responsabilità del Servizio. Come dicevamo nel documento di aprile è chiaro che la territorialità implica una responsabilità più diffusa ed una tendenza a “non vedere” la gerarchizzazione, che pure è componente essenziale del funzionamento di una qualsiasi istituzione.

Però questo retaggio di  un passato ha i  suoi  aspetti positivi che vanno salvaguardati riconoscendo e valorizzando la professionalità di ciascuno, ma anche i suoi aspetti negativi consistenti nel non definire i limiti delle proprie responsabilità e quindi nell’oscillare fra momenti di decisionalità assunti “d’imperio” da chiunque provocando confusione, e momenti di assenza di decisioni, di rimando perenne di decisioni in base ad un ragionamento democraticistico che parte dall’errato presupposto che siamo tutti uguali.

L’equipe, dicevamo in aprile, non è un parlamentino, ma un gruppo operativo e l’operatività non può essere garantita in una istituzione dell’insieme delle decisioni dei singoli, ma da chi nelle varie sedi esprime compiti di direzione.

18) Il terzo ed ultimo principio che informa il modello organizzativo si lega strettamente ai due precedenti denti e consiste nel definire con precisione, in tutte le sedi qual è la struttura che garantisca l’operatività, e cioè la valorizzazione delle competenze dei singoli in una dimensione di gruppo che sia il prodotto di una giustapposizione delle esigenze dell’utenza da una parte e dal principio del 1’interprofessionalità dall’altro. Definiti così i principi che informano il modello veniamo ora a precisarlo partendo  dai livelli di  responsabilità dei  singoli,   ed   infine   i   profili   delle   varie professionalità.

19) La responsabilità  di tipo clinico  e la  responsabilità di   coordinamento dei  capo-équipe sono  state  definite dalle due delibere di febbraio.

A questo livello, e dopo l’esperienza di questi mesi, si ritiene necessario un maggiore coordinamento fra queste due funzioni di dirigenza.

In primo luogo va definita  una sede di confronto fra  il responsabile clinico ed i 1 responsabile del coordinamento dei vari settori di intervento che, come abbiamo già accennato e come vedremo meglio fra un pò, non possono consistere solo nelle aree istituzionali, ma vanno estese anche ad aree professionali.

In secondo luogo deve essere chiaro che in questa sede si definiscono gli indirizzi tecnici di fondo del settore, le strategie di intervento, la scelta degli strumenti di valutazione e di verifica, l’approvazione dei piani di lavoro annuali e l’ordine del giorno del coordinamento. In questo luogo altresì si definiscono i rapporti col Responsabile del servizio e con l’Amministrazione ed i piani di formazione annuale.

20) Per quanto riguarda il Coordinamento si propone di estenderlo ai N.P.I. anche se inquadrati in ruolo di assistente, nella misura in cui è prevista una loro responsabilità personale rispetto alle aree professionali .

Ci sembra doveroso a questo punto, prima di entrare nel merito della composizione e delle funzioni del Coordinamento fare una precisazione sulle aree.

–      le aree istituzionali sono quelle indicate nella delibera di febbraio. A questo proposito si propone la lo­ro riduzione a due solamente (pre-scuola e scuola dell’obbligo da un lato, adolescenti dall’altro).

–      le aree Professionali che si propone di affiancare per il momento a quelle istituzionali sono le seguenti: Psicopatologia, Neuropsicologia  e  disturbi  dell’apprendimento; Fisiatria; Neurologia.

Queste aree, individuate in armonia con la natura prevalente della domanda, Soggettiva  attuale  suddivisione della disciplina di N.P.I. e soprattutto  con indicazione proveniente da documenti regionali, assumono nel nostro progetto un duplice ruolo: da un lato quello di luogo (o situazione) in cui si confrontano, si qualifi­cano e si organizzano gruppi professionali omogenei, dall’altro quello di strutture in grado i i esprimere al loro interno il massimo di qualificazione possibile, tale comunque da poter espletare compiti di 2″ livello (per l’U.S.L. n. 9 e, se necessario  e con modalità da concordare, per le U.S.S.L. periferiche che ne facessero richiesta).

Ogni area sia istituzionale che professionale deve avere un responsabile (N.P.I. o psicologo). Ritornando al Coordinamento, si possono configurare al suo interno almeno due gruppi: a) il gruppo dei capo-équipe, ridotto numericamente in rapporto alla diminuzione delle équipes territoriali, e che svolge compiti preve1antemente orga­nizzativi, che consistono:

–      nel contribuire alla definizione dei contenuti e delle modalità di rapporto con altri soggetti (Consultori, Simap, Scuole. Pediatri ecc);

–      nel partecipare alla formulazione del piano annuale di Settore;

–      nel partecipare alla definizione di strategie di intervento complessive, scelta degli  strumenti di valuta­zione e di verifica, rapporti col Responsabile di Servizio e l’Amministrazione.

b) il gruppo dei responsabili d’area professionale, svolge compiti prevalentemente tecnici, che consistono:

–      nel contribuire alla definizione degli indirizzi del Settore;

–      nel fornire consulenza tecnica agli altri operatori, nonché ad altri Servizi e alle istituzioni;

– nel contribuire a definire i piani di aggiornamento annuali.

Per quanto riguarda i responsabili delle aree istituzionali riteniamo sia utile una più approfondita verifica rispetto alla loro collocazione nell’ambito del gruppo “più tecnico” o in quello “più organizzativo”. In ogni caso il Coordinamento va concepito come un organismo dinamico che può variare la sua composizione a se­conda dell’ordine del giorno definito da chi svolge compiti di responsabilità del settore. E’ prevedibile infatti che a momenti o situazioni in cui dominino problemi settoriali e specifici (prettamente organizzativi, pret­tamente tecnici) debbano affiancarsi momenti nei quali è necessario un confronto più ampio tra le varie figure di responsabile.

21) I compiti individuati dei membri del Coordinamento sono le responsabilità rispetto

a)       alle singole équipe;

b)       alle aree istituzionali;

e) alle specifiche aree professionali.

22) L’equipe è il luogo in cui:

a) si definiscono gli obiettivi di carattere preventivo,

secondo le indicazioni e le priorità definite dai responsabili di Settore;

b) si formulano i piani di intervento distrettuale per la cura, nei limiti degli obiettivi stabiliti dalla Direzione ;

e) si discute il piano annuale degli impegni e si defi­niscono gli eventuali scarti dalle indicazioni di massima fornite dalla Direzione. Scarti che vanno do­cumentati ed argomentati;

d)       si formula il piano ferie ed i 1 piano orario settima­nale dei singoli componenti;

e)       si decodificano i bisogni di formazione del lavoro dei singoli e si formulano alla Direzione le richie­ste specifiche;

f)       si verificano i piani di intervento distrettuale. Si propone la riduzione del numero delle équipes terri­toriali e la loro centralizzazione in armonia con le indicazioni alla riduzione del numero dei distretti formulate dal Servizio nel suo complesso. Ribadiamo tuttavia che non va persa di vista nel nostro settore la necessità di decentramento a livello di operatività e la necessità di aderenza (la maggiore possibile) al territorio.

23) Si propone altresì la formazione e la formalizzazione di gruppi  operativi che  comprendono a  seconda dei casi le varie professionalità  direttamente operanti nelle situazioni specifiche, siano esse individuali (singolo caso) oppure collettive (Centri Appoggio, Cooperativa polivalente protetta), fermo restando che tali gruppi devono essere sempre guidati da un operatore dirigente (neuropsichiatra infantile o psicolo­go) che valida i programmi operativi e ne  assume la responsabi1 ita complessiva. Compiti dei gruppi operativi sono:

–      la formulazione di programmi operativi per i singoli casi;

–      la verifica periodica dell’andamento dei piani e dei programmi;

–      i necessari contatti con le istituzioni, i singoli casi .

24) Infine i compiti del singolo professionista, il quale:

– è responsabile dei piani di lavoro individuali definiti nel gruppo operativo e perciò – esegue i piani di lavoro individuali di concerto con gli altri professionisti del gruppo operativo di cui fa parte su quello specifico caso.

Il singolo professionista inoltre:

–      indica periodicamente i propri orari settimanali;

–      indica i periodi di ferie;

–       svolge il proprio lavoro in ambulatorio, nelle istituzioni o con visite domiciliari a seconda del caso seguito;

–       avanza richiesta di aggiornamento  facoltativo  di interesse specifico individuale;

–       compila la cartella dei casi presi in carico.

25)     I rapporti con il Si sono importanti in quanto che permettono di avere un insieme di dati incrociati che possono guidare anno per anno il piano annuale degli impegni.

Ai responsabili di area la sistematizzazione dei dati che provengono dalle équipes. Al singolo operatore infine l’invio tempestivo dei dati richiesti. Ugualmente occorre fare nei confronti di qualsiasi ricerca che sia promossa dai responsabili di settore, sia che essi si avvalgano di collaboratori interni che esterni.

26) La formazione si compone di due elementi:

a)         l’aggiornamento;

b)         la supervisione.

Per ciò che concerne le priorità, e tenendo presente la grossa esigenza degli adolescenti handicappati, spetta ai  responsabili di settore definirle sentito il parere dei responsabili di settore definirle sentito il parere dei responsabili delle aree professio­nali, i quali a loro volta si baseranno sulle indica­zioni che provengono dai singoli professionisti. Per ciò che concerne in particolare la supervisione occorre tener presente che sia che questa si riferi­sca alle componenti relazionali del rapporto, sia che sia inerente alle componenti più tecniche va definita con oculatezza in modo che il supervisore non sia visto come colui che svolge anche compiti di controllo. Diverso è il caso della consulenza che va ricercata nell’ambito delle aree professionali che si propone istituire e che solo da queste può essere demandata a qualche consulente esterno sentito il parere del responsabile clinico del settore.

27)  Il piano di lavoro annuale va definito dai responsa­bili di settore, sentite le indicazioni del coordina­mento, entro giugno-luglio. In tale piano saranno compresi:

–      la distribuzione delle risorse tecniche nel territorio e nelle istituzioni;

–      le priorità, professionalità per professionalità, mediante la fissazione di un orario settimanale – tipo in cui saranno indicate:

–      x ore settimanali per gli organici;

–      y ore settimanali per i non organici;

–      w ore settimanali per la prevenzione e l’organizza­zione .

–      le priorità rispetto alla prevenzione;

–      il piano spese (con la distinzione fra fondi già ottenuti e fondi da richiedere) da compilare con gli uffici amministrativi.

Tale piano va consegnato in équipe che lo discuterà e farà i necessari aggiustamenti al proprio territorio. In base a queste indicazioni ogni operatore compilerà entro i primi di settembre un piano individuale rappresentato da un’orario settimanale individuale che, se si discosta da quello “tipo” va giustificato. I piani individuali saranno valutati nel coordinamento e validati dai responsabili di settore.

28)             Si propone anche il coinvolgimento dei genitori dei bambini handicappati intorno ai progetti che li ri­guardano onde poter presentare loro i limiti e le possibilità del nostro intervento, sentire, i loro suggerimenti e valutarli adeguatamente.

29)             E veniamo ora alla definizione dei profili delle va­rie professionalità:

Neuropsichiatra infantile

–      Partecipa e promuove programmi di prevenzione sul piano della salute fisica e psichica del bambino e dell’adolescente;

–      esprime consulenza nei confronti dei pediatri, delle istituzioni sanitarie ed educative della prima infanzia e nei confronti dei col leghi nell’area professionale di propria competenza;

–      esprime, su richiesta, consulenza ai servizi ospedalieri che si occupano di bambini; nonché alle istituzioni scolastiche;

–      interviene a livello diagnostico e terapeutico sia sul piano dell’organicità che della non organicità.

Psicologo

–      partecipa e promuove programmi di prevenzione sul piano della salute psichica del bambino;

–      fa psicodiagnosi in termini longitudinali del bambino e del suo contesto familiare e sociale;

–      esprime, su richiesta, consulenza sul piano dei problemi psicologici del bambino organico, e non, alle isti­tuzioni scolastiche, ai colleghi, alla famiglia;

–      interviene a livello psicoterapeutico;

–      conduce gruppi di formazione rivolti agli operatori che si occupano dell’età evolutiva.

Logopedista

–      partecipa a programmi di prevenzione, rivolta a genitori   ed educatori, sul piano della dislessia, disorto­grafia, discalculia, ritardo globale e specifico del linguaggio;

–      interviene a livello di terapia logopedica in collaborazione con neuropsichiatra infantile, psicologo, fi­sioterapista ed educatori professionali;

–      esprime consulenza agli operatori scolastici sul piano, in generale, dei problemi dell’apprendimento;

— partecipa alla diagnosi dei problemi di linguaggio e di apprendimento mediante osservazione longitudinale gui­data.

Fisioterapista

–      svolge attività fisioterapica su problemi dì natura mo­toria inerenti la neuropsichiatria infantile;

–      svolge attività consulenziale rivolta ad operatori sco­lastici ogni volta che è possibile decentrare le competenze;

–      partecipa alla diagnosi dei problemi motori mediante osservazione longitudinale guidata.

–      Educatore professionale

–      a) quando operi sulla fascia O – 14:

–      interviene a livello riabilitativo a sostegno di bambini handicappati in età pre—scolare e scolare ad integrazione di ogni altro intervento riabilitativo ed educativo;

–      partecipa alla definizione della diagnosi dei bamb­ni handicappati insieme ai neuropsichiatri infanti­li, psicologo, logopedista e fisioterapista mediante osservazione longitudinale guidata.

–      b) quando operi sulla fascia 14 – 18:

–      prosegue il trattamento riabilitativo di sostegno nel momento della formazione post- obbligo e dell’inserimento lavorativo;

–      prosegue il trattamento riabilitativo di sostegno per medio- gravi e gravi nelle istituzioni in via di approntamento o già approntate (Cooperative poliva­lenti – Centri Appoggio);

–      partecipa all’aggiornamento della diagnosi ed alla definizione del piano riabilitativo insieme alle altre figure.

–      30)  Infine una nota per ciò che riguarda ortottiste e tiflologi. E’ opportuno un riconoscimento più pieno di questa professionalità. Occorre che abbiano tempo affinchè svolgano i compiti loro assegnati sulla ca­sistica sulla quale sono professionalmente preparati anche perché, soprattutto per i ciechi, la scuola non è in grado di favorire da sola l’inserimento del bambino cieco.

 


[1]Da:“Materiale tecnico di introduzione alle conferenze di organizzazione dello SMIEE (Servizio Maternità Infanzia Età Evolutiva), a cura dell’USL N.9 di Reggio Emilia, 1987, pp. 45-94.

[2] Psicologo – psicoterapeuta, il primo NPI e pediatra la seconda. All’epoca erano rispettivamente: Coordinatore delle attività riabilitative territoriali e Responsabile Attività Tecnico Sanitaria I e II Livello di NPI