Mamme, papà e bebé: un’esperienza di lavoro nei Servizi della ASL 10 di Firenze

di Cristina Pratesi

(Relazione presentata durante un convegno organizzato nel 2007 a Mirandola nell’ambito del progetto “Mamme oltre il blù”. Il testo integrale è consultabile alla pagina: http://www.sociale.provincia.modena.it/page.asp?IDData=3482&IDCategoria=60&IDSezione=2732&Data=31%2F05%2F2007 )

 

Ringrazio gli organizzatori di questa mattinata per avermi invitato e mi auguro che questo incontro di oggi possa favorire uno scambio reciproco, arricchirci vicendevolmente…“fecondarci la mente”, direi, visto il tema…

Vorrei iniziare con una riflessione dal punto di vista psicologico rispetto alla gravidanza, per poi finire presentando alcuni flashes tratti dal mio lavoro nel Servizio Pubblico con le mamme ma anche con i papà.

Innanzitutto mi sembra importante sottolineare che aspettare un bambino, che sia desiderato o no, “programmato” o meno, costituisce un momento cruciale nella vita di una donna e rappresenta un’esperienza unica che coinvolge intensamente il suo corpo e la sua mente.

Troppo spesso la parte “psichica” della gravidanza, viene trascurata, passa in secondo piano, come se la fisicità, la concretezza organica dell’essere incinta occupasse tutta la scena e convogliasse, accentrasse su di sé l’attenzione di tutti.

Quindi si tende a parlare molto di esami medici, di accertamenti vari, di mutamenti fisici, oppure di nausea, di vomito, di mal di schiena, ci si occupa di prevenzione delle smagliature, delle ragadi al seno, fino ad arrivare – in quei luoghi come erano i vecchi “corsi di preparazione al parto” -–ad apprendere tecniche di respirazione, di rilassamento muscolare per facilitare il momento del parto, permettendo alla donna di modulare il dolore fisico delle contrazioni.

Tutto questo è senza dubbio importantissimo, ma – visto che siamo composti da corpo e mente – cosa accade nella psiche mentre il processo biologico che dà origine alla vita di questa nuova creatura si instaura ed evolve?

Ebbene, all’inizio di esso corrisponde simultaneamente l’avvio di un altro processo – tutto mentale, in gran parte inconsapevole, inconscio – che porta di nuovo alla ribalta psichica della donna le fasi precedenti del suo sviluppo psicologico, rimette in moto i suoi investimenti libidici, fa riemergere le sue identificazioni primitive ed edipiche con la propria madre, in uno scenario in cui si rievocano emozioni che hanno a che fare con la nascita e con tutto il ciclo vitale.

La gravidanza si denota perciò come un momento di crisi psicologica che mobilita ansie e conflitti irrisolti e latenti, che son stati accantonati nel corso della crescita, dell’infanzia, ma contemporaneamente si apre alla maturazione, all’evoluzione, originando una nuova identità femminile: quella di madre.

Non nasce quindi solo un bambino, nasce anche una madre.

Tutto questo avviene soprattutto quando si tratta della prima gravidanza; ma comunque ogni gravidanza induce trasformazioni ed ha il suo proprio significato specifico, collegato all’esperienza emozionale infantile della donna in stato interessante, ed in ogni caso offre alla futura madre un’occasione unica di integrazione e quindi potenzialmente di crescita psicologica.

Gravidanza e maternità interiore

Questa concomitanza del processo generativo biologico con quello psichico, mentale, fa sì che la gravidanza si connoti allora come un grande evento psicosomatico (talvolta addirittura assimilabile a quelle che Gaddini chiama “fantasie nel corpo”) in cui si costituisce quella che la psicoanalista francese Monique Bydlowski definisce <esperienza interiore della maternità> o “maternità interiore”.

Ossia: quel processo di sviluppo dell’identità femminile e di elaborazione di rappresentazioni mentali, che in realtà inizia a costruirsi nella mente della donna già dalla fase del “progetto-bambino”, prima ancora del concepimento (Ferrara Mori).

La gravidanza è caratterizzata da un funzionamento psichico particolare che Monique Bydlowski ha definito con il felice termine di “trasparenza psichica”.

In sostanza, qualunque sia lo stadio di sviluppo della donna incinta, secondo quest’autrice, durante la gravidanza “si ha uno stato relazionale particolare, come uno stato di invocazione latente all’aiuto, una situazione di richiamo… Lo stato di coscienza sembra modificato, la soglia di permeabilità all’inconscio come al preconscio diminuisce, vecchie reminiscenze e fantasmi regressivi affluiscono dall’inconscio alla coscienza senza incontrare la barriera della rimozione”.

Proprio per questo “abbassamento” delle resistenze abituali nei confronti dell’inconscio, la gravidanza diviene un momento in cui si può facilmente instaurare un’alleanza terapeutica, che favorisce la rivelazione di ricordi che invece solitamente sono rimossi.

Questi ricordi, comunicati e condivisi col terapeuta, perderanno la loro carica emozionale disturbante che altrimenti potrebbe costituire una fonte di grande disagio se non addirittura di patologia.

Detto in altre parole, si potrà dissolvere l’effetto patogeno dei fantasmi rimossi che potrebbero altrimenti venir agiti dalla madre nell’interazione precoce durante il primo anno di vita, permettendole una maggiore disponibilità verso il suo bebé, poiché “riparando quello che lei è stata, si restaura il bambino che porta”(Bydlowski).

Quindi – vi rendete conto – che stiamo parlando di un momento di grande potenzialità, di un grande cambiamento psichico.

All’inizio, per la mamma nei primissimi mesi della gestazione, il bimbo non è ancora “riconoscibile” come un nuovo essere, perché ancora non le è possibile percepirlo.

E’ il corpo della donna che cambia ed è attraverso queste modificazioni fisiche che la futura mamma realizza che qualcosa sta accadendo, qualcosa che non dipende da lei, dalla sua volontà o dal suo comportamento (Soulé). Il bambino viene vissuto dalla madre come una parte di sé, confuso con il Sè.

E’ con la percezione dei movimenti fetali (quickening) che la relazione col “bambino dentro” cambia: il bambino adesso comincia ad essere vissuto dalla madre come “un altro dentro di sé”.

L’unità narcisistica dei primi mesi lascia il passo ad una relazione più propriamente oggettuale, “questa parte di sé che comincia a muoversi indipendentemente viene riconosciuta come il bambino che sta per nascere, comincia ad essere percepita come se fosse un altro oggetto e questo prepara lentamente la donna al parto e alla separazione anatomica.”(Bibring)

Riassumendo:

si può considerare la gravidanza divisa in due grandi fasi:

1) una fase relativa all’esperienza di fusione (primi mesi)

2) una fase relativa all’esperienza di differenziazione madre-feto (dal 5°/6° mese in poi circa)

Nei primi mesi il bambino – si è detto – è confuso con aspetti del proprio sé, caricato di proiezioni di proprie parti infantili, non riconosciuto come il figlio atteso, ma assimilato nell’inconscio della gestante ad es. come il bambino che si è desiderato dal proprio padre durante la fase edipica.

Questo corrisponde alla necessità di familiarizzare con l’idea di sé come donna gravida e dimostra quanto la donna sia alle prese con una riattualizzazione concreta dell’identificazione con l’immagine materna e con i conflitti e le ambivalenze che ciò comporta.

E’ quindi a partire dal 6° mese di gestazione, che la maggior parte delle donne sembra divenire capace di stabilire un rapporto più realistico con il bambino.

Il raggiungimento di questa capacità sembra prepari la donna alla cesura del parto, preannunciato non solo come momento di perdita di una parte, sentita proprio come <parte > di sé, ma anche – come si è detto – momento evolutivo, che comporta la nascita del bambino e la nascita di sé come madre (Langer).

Un Osservatorio della maternità interiore

Per osservare, comprendere e studiare quest’“atmosfera materna” che si instaura nel periodo della gravidanza e quegli eventi mentali che contribuiscono a formarla e che determinano trasformazioni nei processi di organizzazione del Sé, un gruppo di psicoanalisti e di psicoterapeuti ad orientamento psicoanalitico – di cui molti lavorano o hanno lavorato nel Servizio Pubblico – ha dato vita fino dal 2001 a Firenze, ad un “Osservatorio della maternità interiore”.

Il gruppo, ispirato, condotto e coordinato da Gina Ferrara Mori, è composto da membri di tre associazioni: l’Associazione Fiorentina di Psicoterapia Psicoanalitica (AFPP), il Centro Studi Martha Harris – Associazione Martha Harris di Psicoterapia Psicoanalitica per l’Infanzia e l’adolescenza (CSMH-AMHPPIA) e il Centro Psicoanalitico di Firenze (CPF), componente della Società Psicoanalitica Italiana (SPI). I partecipanti sono: Luigia Cresti Scacciati, Isabella Lapi, Arianna Luperini, Marco Mastella, Fiorella Monti, Laura Mori, Cristina Pratesi, Linda Root Fortini, Gabriella Smorto, Maria Rosa Ceragioli. Prima della sua prematura scomparsa, ne faceva parte anche Daniela Martignano.

Attraverso la metodologia della “pre-infant observation” – mutuata come estensione dalla tecnica osservativa partecipe, con la successiva discussione in gruppo del materiale osservato, così com’è stata proposta da Esther Bick – il gruppo ha cercato di ripercorrere ed esplorare tutte le tappe che costituiscono il processo della maternità interiore.

E’ uno “work – in – progress” che ci ha anche condotto a raccogliere testimonianze di ciò che accade in tutte quelle stanze in cui si snoda normalmente il percorso della donna incinta, come ad esempio quelle sanitarie (ginecologo, ostetrica ecc) e quelle delle metodologie esplorative (ecografia, amniocentesi, ecc)

In questi anni, sono state oggetto del nostro lavoro di analisi, di studio e di discussione, oltre alle vere e proprie pre-infant observation (osservazioni partecipi che sono state effettuate durante tutta la gravidanza, dall’annuncio al parto, fino a qualche settimana dopo la nascita), anche gli incontri preliminari all’Infant Observation (che si effettuano nell’ultimo periodo della gravidanza), le gravidanze “nate” nelle stanze di terapia, gli incontri dei corsi di preparazione alla nascita, l’osservazione durante gli esami ecografici, i colloqui per le interruzioni volontarie di gravidanza, ecc.

In ognuna di queste situazioni ci siamo trovati a riflettere sulla relazione della madre con il suo “bambino dentro” e sulla formazione dell’identità materna.

Abbiamo inoltre cercato apporti anche dalle diverse forme artistiche (pittura, scultura, letteratura, poesia, cinema ecc) per vedere come è stata rappresentata la gravidanza, e quanto e come gli artisti abbiano saputo cogliere l’intima essenza della maternità interiore nelle loro opere.

Il gruppo ha infine esteso il proprio campo di studio all’infertilità, alla procreazione medicalmente assistita, alle consulenze genetiche e alla depressione post partum.

Inoltre si sta occupando della formazione per gli operatori dei Servizi per la Maternità, per promuovere una sensibilizzazione all’ascolto e trasmettere l’importanza di un senso etico dell’intervento, che stabilisca nelle consultazioni, negli accertamenti, nelle visite mediche e in tutti i trattamenti a cui possono esser sottoposte le donne in stato interessante, un clima nuovo, attento e rispettoso, non impersonale, freddo, “meccanico”, distaccato e distanziante.

Anche l’esperienza del nostro Osservatorio (di cui fanno parte, come si è detto, diversi operatori del SSN) ha fatto sì che venisse recepita dalla Regione Toscana la necessità di formare il personale ad un’attenzione, un ascolto ed una comprensione del bisogno “psicologico” delle mamme e dei papà

E’ stato perciò organizzato, in collaborazione con l’Università di Firenze, l’A.O.Meyer, l’A.O.Careggi e l’ASL 10 di Firenze, un Corso di aggiornamento per ostetriche, assistenti sanitarie, pediatri, psicologi e psichiatri su “Preparazione alla nascita e assistenza al disagio psichico in gravidanza e nel puerperio” con l’obiettivo di fornire agli operatori quegli strumenti utili

1) a favorire nelle donne e nelle coppie il benessere psicofisico in gravidanza e una preparazione adeguata ai futuri compiti genitoriali;

2) a facilitare l’accesso precoce ai Servizi in caso di sofferenza psichica e di necessità di intervento, ma anche nei casi ben più diffusi (come il baby blue) che – pur non connotandosi come franca psicopatologia – provocano disagio alla madre e al bambino e possono interferire pesantemente sullo sviluppo del normale attaccamento e di una sana genitorialità;

3) per inserire nei piani di assistenza interventi per la diagnosi e la presa in carico immediata, già dalle fasi iniziali dei disturbi.

A livello zonale, nella ASL 10, hanno preso l’avvio anche gruppi di formazione per ostetriche, utilizzando il metodo Balint, e altri progetti che prevedono la discussione in gruppo di casi e il counseling.

Mamme e papà

Vorrei adesso presentarvi del materiale, alcune vignette tratte da situazioni che mi son trovata a vedere nell’ambito del mio lavoro nei gruppi di mamme in gravidanza e nel puerperio.

Sono situazioni per la maggior parte “normali”, di persone (mamme ma anche papà) che hanno partecipato tutte ai gruppi di preparazione alla nascita, ed hanno usufruito tutte di un successivo intervento psicologico: dei colloqui di sostegno e qualcuno anche di una psicoterapia.

Ho volutamente scelto situazioni di persone che hanno frequentato tutte il corso di preparazione alla nascita, perché è uno dei luoghi in cui si può toccare con mano l’atmosfera della maternità interiore, ed in cui è possibile affacciarsi sul mondo interno proprio grazie a quel fenomeno della trasparenza psichica che ho citato prima.

 I gruppi di preparazione alla nascita sono previsti, nella quasi totalità dei contesti, solo per l’ultimo periodo della gravidanza. Si portano dietro l’eredità dei vecchi “corsi di preparazione al parto”, in cui spesso la figura dello Psicologo veniva intesa – o comunque presentata – come “insegnante” (non a caso si chiamavano “corsi”!) delle varie tecniche di rilassamento e/o come un “esperto” a cui poter far domande e da incontrare al massimo una volta al mese.

Attualmente stanno cominciando a fiorire esperienze molto più vicine ai bisogni delle donne in stato interessante, come ad esempio i “gruppi delle piccole pance”, aperti a gravide già nei primi mesi della gestazione.

Il gruppo, condotto da uno psicologo – psicoterapeuta esperto, funziona da contenitore, facilita il processo di separazione emozionale dalla propria madre e di identificazione con una capacità procreativa, generativa materna.

Permette la condivisione di un’esperienza e la creazione di un’intimità fra donne, che aiuta a prendere contatto con il proprio corpo e le sue trasformazioni, e induce ad avvicinarsi alla propria vita fantasmatica.

Quindi offre alla gestante la possibilità di fare l’esperienza di uno spazio e di un tempo, in cui possono esser comunicate – e quindi possono “venire alla luce” – le ansie, le paure, l’ambivalenza, che ogni futura mamma prova, che sono normalmente presenti in ogni gravidanza, proprio perché, come si è detto, ogni gravidanza è un periodo di conflitti inevitabili che cambiano in funzione della storia personale e delle circostanze del momento (Birksted Breen)

Partecipare al corso permette inoltre alle donne in stato interessante e anche ai futuri papà di avvicinarsi a figure, come quella dello psicologo, altrimenti percepite come “minacciose”, perché ritenute – a torto – titolari di uno spazio riservato alla malattia mentale.

Non a caso, spesso noi psicologi siamo assimilati ai colleghi psichiatri sotto la comune qualifica di “strizzacervelli”! Il nome stesso rimanda a pratiche violente, dolorose, sgradevoli e sgradite…

Conoscere lo psicologo durante il corso facilita invece enormemente l’apertura alla possibilità di un eventuale colloquio.

Va inoltre tenuto presente che durante la gravidanza possono evidenziarsi quegli aspetti di sé interni, talvolta misconosciuti, negati e collocati dalla donna fuori dal sé. Ciò accade ad esempio rispetto ai sentimenti di aggressività/odio rispetto alle figure genitoriali interne. La donna se ne difende con meccanismi di scissione e proiezione: scissione tra persone buone e persone cattive, che vengono sentite come una minaccia per sè e per il bambino. Medici, ostetriche, ecografisti, il personale sanitario tutto, sembrano diventare allora, nella percezione della donna, l’incarnazione di questi aspetti negativi, persecutori, facendo da ricettacolo a questi sentimenti (Birksted-Breen). Lo psicologo, inizialmente, può anch’esso venire considerato in modo negativo.

La trasparenza psichica, nelle vignette che vi presento, manifesta il suo effetto anche ad esempio rispetto ai sogni raccontati, permettendo in alcuni casi alle gestanti stesse di accedere con relativa facilità ai significati reconditi.

Per quanto riguarda i padri, che non vivono su di sé l’aspetto fisico della gravidanza, ma senza ombra di dubbio ne vivono uno psicologico: lascio che parlino i flashes.

1) Anna è laureata ed è sposata con un sanitario che lavora in un ospedale di un’altra città; ha cercato la gravidanza per molto tempo ed ha 39 anni quando rimane finalmente incinta.

Frequenta con regolarità il corso di preparazione alla nascita, e durante gli incontri riesce ad esplicitare il suo timore di malformazioni del feto, ma tutto procede bene e a termine partorisce una bambina bella e sana, E.

Dopo due giorni dal rientro a casa, telefona disperata alle ostetriche del Servizio, che ben conosceva dal corso e con cui aveva instaurato un rapporto di grande fiducia: E. piange in continuazione, non c’è modo di calmarla, nemmeno attaccandola al seno, perché si interrompe il tempo della poppata per poi riprendere il pianto con rinnovato vigore.

Ogni tanto si addormenta ma il sonno non dura mai a lungo.

A. non ha l’appoggio di nessun familiare, nemmeno del marito che talvolta è assente anche la notte e che comunque non sembra capace di capire il suo profondo malessere.

Non ce la fa più, si sente sola, incapace, sfinita. Si sente una pessima mamma.

E’ spaventata dall’idea di poter arrivare a compiere qualche atto violento contro la figlia, per far cessare questo pianto che non riesce a tollerare.

2) Kay ha 28 anni, è inglese, ha sposato un italiano e vive in Italia in coabitazione con la suocera che è vedova ed ha solo quel figlio.

Ha frequentato il corso di preparazione alla nascita e da tre mesi ha partorito un bambino, J.

Ha chiesto di poter parlare con la psicologa che conosce dal corso perché non sopporta la suocera, che vive come intrusiva, controllante sia rispetto alla sua vita coniugale sia rispetto al rapporto col bambino.

Secondo lei, la suocera la critica in continuazione, e lei “sente” che sta tentando di portarle via l’affetto di J.

Questo sta diventando un tarlo per lei, che non riesce a pensare ad altro: tutto le sembra congiuri contro di lei, non riesce più a dormire la notte e resta sveglia pronta a captare il minimo rumore perché teme che la suocera si alzi da letto e le prenda il bimbo.

E’ arrivata a star fuori casa il più a lungo possibile per non trovarsi a tu per tu con lei.

Si sente incompresa dal marito che è sempre fuori per lavoro e che minimizza le sue difficoltà.

3) Betty ha 35 anni. Seguita da tempo dal Servizio di Salute Mentale Adulti per un disturbo bipolare, ha deciso d’accordo con i genitori ed il compagno di sospendere le cure per avere un bambino.

Durante tutta la gravidanza sta benissimo, in un compenso psichico perfetto.

Partorisce regolarmente una bambina ma al ritorno a casa comincia a sviluppare l’idea delirante che sua figlia sia così bella perché benedetta dal Signore. A riprova di ciò mostra un neo con una vaga forma di croce che la bambina ha sul pancino. Lei ne è felicissima.

Nessuno dei familiari dà importanza a questi discorsi, fintanto che – dopo circa una settimana dal parto – B. comincia a piangere, confidando all’ostetrica – che è andata da lei per una visita domiciliare – che la sua bimba è così bella che tutte le donne gliela invidieranno e le faranno del male.

Così sta iniziando a pensare che l’unico modo di proteggere sé stessa e la figlia dal dolore e dalla cattiveria altrui potrebbe essere uccidersi assieme per andare in Paradiso.

4) Claudia racconta alla psicologa, durante un incontro del corso, di aver sognato di aver partorito un figlio maschio, era felice, lo teneva in braccio e lo cullava. Sa però in realtà di aspettare una bambina. Confessa di non aver mai detto a nessuno, nemmeno al marito, che avrebbe invece preferito un maschio. Questo la fa sentire molto in colpa, soprattutto perché una volta saputo il sesso del nascituro aveva pensato di abortire. Da allora vive con molta ansia il rapporto col marito perché teme che lui capisca la verità; dice di sentirsi costretta ad essere sfuggente e poco affettuosa con lui, ma si rende conto che questo suo comportamento li fa soffrire entrambi.

5) Jennifer ha 21 anni e viene dall’Asia. Sposata con un italiano di poco più grande di lei, vive con lui da sola in una casa isolata in campagna e non ha un mezzo proprio per spostarsi.

E’ bellissima e fa la scultrice, fondendo da sola il piombo per le sue creazioni artistiche.

Al corso di preparazione alla nascita viene accompagnata sempre da marito che però poi si allontana.

Partorisce una bambina e per i primi tempi riceve l’aiuto di una cognata che la va a trovare, ma non c’è tra loro un buon rapporto, così ben presto si trova di nuovo sola.

L’ostetrica che effettua la prima visita a domicilio la trova smunta e molto dimagrita, non dorme la notte perché approfitta del sonno della figlia per lavorare alle sue opere.

6) Diana racconta alla psicologa durante il corso di preparazione alla nascita di fare brutti sogni ricorrenti in cui, per diversi motivi, non può accudire la sua bambina. Dice di aver paura che la bambina non senta la sua presenza, teme di non riuscire a comunicarle che “lei ci sarà”. La signora racconta poi di aver perso la madre quando era molto piccola e che teme che la sua bambina soffra per la sua assenza, così come lei da piccina ha sentito la mancanza della sua mamma.

7) Elena racconta al corso di preparazione alla nascita, nell’incontro con la psicologa, di aver sognato la figlia bionda, capelli lunghi a buccolotti, quando invece lei e tutta la sua famiglia hanno occhi e capelli scuri, ricciuti. Nel sogno è rimasta colpita da questa differenza tra loro. Riesce a verbalizzare il timore che l’accompagna dall’inizio della gravidanza, che i bambini possano essere scambiati in Ospedale.

8) Francesca accenna brevemente ed in modo distaccato, quasi incidentale, durante un incontro con la psicologa al corso di preparazione al parto, alla perdita di uno dei suoi due figli piccoli, qualche anno prima, a causa di un carcinoma. In seguito ha avuto un’altra gravidanza e ora, a breve distanza da quell’ultimo nato – pur soffrendo di diabete – si è ritrovata nuovamente incinta.

Racconta di fare molti sogni nonostante dorma poco, perché ancora molto coinvolta dall’accudimento dell’ultimo figlio. Sono sogni per lei indecifrabili, brutti, in cui partorisce esserini strani. Ne ricorda uno in particolare “Avevo appena partorito e una donna, presumibilmente un’ostetrica, mi porge il bambino. Ma il bambino ha già la faccia da grande – come se avesse sui sei anni – ed ha i lineamenti Down. Mi guarda intensamente. Sono terrorizzata e mi sveglio.” Aggiunge che nelle precedenti tre gravidanze non ha mai fatto sogni di questo tipo e non ha mai visualizzato i bambini. Appare piuttosto indifferente durante il racconto e non sembra in grado di fare collegamenti tra questi suoi sogni, il lutto precedente e l’attuale gravidanza.

E’ sempre estremamente indaffarata, di corsa, ma con una modalità eccessivamente efficiente, “sopra le righe”. Anche durante gli incontri del corso risponde al cellulare e fa conversazione, disturbando le altre partecipanti.

I futuri papà

1) Gianni ha già due figli di 14 e di 8 anni da un primo matrimonio, conclusosi con un divorzio. Adesso è compagno di una giovanissima donna, che ha 20 anni meno di lui. In un incontro del corso aperto anche ai futuri papà, si presenta molto sicuro di sé, si definisce già esperto e dà simpatici consigli a tutti i presenti. Tende a diventare unico protagonista dell’incontro, con ironia e allegria, ma togliendo di fatto la possibilità di parola alla moglie. Chiede “per la par condicio” di poter raccontare anche lui un sogno alla psicologa:

“Sono in una valle stretta tra due alte pareti rocciose. So di essere in Afghanistan o in Pakistan. In alto, in cima alle rocce, c’è vegetazione, in basso la terra è arida. Mi addentro nella gola e ad un certo punto vedo che è chiusa da un’altra parete a picco, che però, a metà altezza da terra, ha una specie di grossa protuberanza, di sporgenza rotondeggiante. So che è il rifugio di Osama Bin Laden.”

Il sogno lo ha stupito ma non preoccupato. Non riesce a collegarlo con la gravidanza della compagna e la futura nascita del nuovo bebè.

2) Iacopo è molto giovane ed emozionato all’idea di diventare papà ed esprime – nel gruppo aperto ai padri – la sua gioia. Si chiede se sarà all’altezza, se saprà sostenere la moglie, se sarà un buon padre, così come lo è stato suo padre con lui.

3) Leonardo, molto più grande di età, cerca di volgere in scherzo e battuta tutti gli interventi, ma appare molto teso e in ansia per l’arrivo di questo bebè che – dice – è stato desiderato più che altro dalla sua compagna. Lui stava benissimo com’era, non ne sentiva proprio il bisogno.

4) Massimo chiede chi dei padri presenti accompagnerà la moglie in sala parto: lui non tollera la vista del sangue, quindi non andrà perchè sa che sverrebbe senz’altro.

5) Niccolò parla dell’arrivo del bambino in casa e delle regole che dovrà dargli da subito per non farlo abituare male: poppate ad orari precisi, niente lettone, non prenderlo in collo se piange, abituarlo a stare buono anche da solo e a stare nel box, senza andare in giro per casa a distruggere tutto. La moglie gli è accanto con fare dimesso e sottomesso. Qualche mamma nota che sembra stia parlando di un cucciolo di animale selvatico, da addestrare.

Conclusioni  

Sappiamo tutti molto bene quanto sia importante – in ogni situazione che implica un percorso sanitario – la qualità delle relazioni che si instaurano, il tipo di risposta che si riceve quando siamo “utenti”, “pazienti” di un Servizio.

Credo che ognuno di noi abbia presente qualche racconto in cui un paziente è stato trattato male, bruscamente o con sufficienza … anche senza arrivare alla “mala sanità”, magari restando solo nell’ambito di una “mala educazione”!

Allora, ci possiamo rendere conto dell’importanza che ha e del peso che può avere a maggior ragione tutto il dispositivo sanitario che accompagna la donna – ma anche il suo compagno, il futuro papà – durante i 9 mesi dell’attesa, durante il parto e dopo il parto, in tutte le prime fasi di vita del bebè.

Soprattutto: il clima che la donna in stato interessante sentirà attorno a sè, si potrà riflettere sulla relazione madre-bambino, sul rapporto di coppia, sul crearsi di questa nuova famiglia: se ci pensiamo un attimo, è una responsabilità enorme!

Pensiamo ad esempio al momento delle ecografie, dell’amniocentesi, della villocentesi, al momento in cui il sanitario deve “restituire” alla futura mamma e al futuro papà i risultati di questi accertamenti.

Al giorno d’oggi, nell’era delle biotecnologie, gli esami ecografici sono ormai di routine e permettono alla donna di ricevere un’esperienza sensoriale del suo bambino, mediante la vista, precedente a quella del sentirlo muovere dentro di sé. Le implicazioni psicologiche che comporta il vedere il bebè attraverso l’ecografia però sono molte e complesse: l’immagine ecografica è frammentata, parziale e molto diversa da quella di un bambino reale, tanto da attivare più facilmente ansie e paure (cfr. il senso di ‘inquietante estraneità’ descritto da M. Soulé). E’ necessaria quindi la presenza di un ecografista che con grande sensibilità accompagni la donna incinta alla scoperta del suo bambino, per non ridurre ad un atto puramente ‘tecnico’ quello che invece potrebbe diventare una sorta di ‘organizzatore psichico della genitorialità’.

Se pensiamo quindi al “clima” in quel periodo che dicevamo in precedenza, possiamo renderci conto di quanto bisogno abbia la donna di una figura di riferimento e di sostegno vicino a sé, di quanto spontaneamente ricerchi la presenza della propria madre o di un’altra figura femminile che la sostituisca (come una sorella, una cognata, un’amica), del proprio compagno, del ginecologo, dell’ostetrica.

Ciò è legato a quel complesso movimento identificatorio che la donna incinta si trova ad affrontare per acquisire la sua nuova identità materna: cioè la capacità di effettuare una doppia identificazione, da un lato con il bambino che porta in grembo, dall’altro con la propria madre.(Bydlowski; Ferrara Mori)

Aiutare a formare un assetto affettivo e mentale che permetta di avviare il processo di riorganizzazione del Sé, di contenere gli squilibri emotivi, di attivare proprie risorse per affrontare e gestire la nuova realtà mi sembra sia il compito che possono svolgere gli operatori sanitari che si trovano ad accompagnare le mamme in questo periodo, “una sorta di intervento metaforizzato con l’immagine di <culla termica> che gli stessi operatori possono offrire … analoga a quella che viene offerta al neonato che ha bisogno di ancora un po’ di tempo per affrontare l’ambiente extrauterino…una culla termica per trasformarsi da future madri che sentono, vedono, parlano, sognano, soffrono a madri che <pensano>” (Ferrara Mori – Mori).

Grazie dell’attenzione.