Il corpo delle donne: La trasmissione degli stereotipi attraverso i mezzi di comunicazione di massa

di Silvia Galdi, Mara Cadinu, Luciano Arcuri

DPSS Università degli Studi di Padova

Gli stereotipi sono delle rappresentazioni mentali estremamente generali e semplificate relative alle principali caratteristiche che accomunano i membri di un determinato gruppo. Uno stereotipo riguardante una categoria sociale, etnica o razziale, di genere sessuale, di età, rappresenta sicuramente uno strumento cognitivo potente e sempre disponibile, che l’individuo può utilizzare in qualsiasi momento impegnando poche risorse cognitive e senza esercitare una particolare attività di controllo.

 

 

Relativamente al grado di coscienza delle persone di fronte agli stereotipi culturali è importante sottolineare che la loro ampia diffusione avviene non solo attraverso le tradizionali agenzie di socializzazione (quali la famiglia, la scuola, il gruppo dei pari e così via), ma anche grazie alle immagini e i messaggi trasmessi dai media.

Numerosi studi correlazionali hanno documentato le conseguenze derivanti da un’eccessiva fruizione del mezzo televisivo. Ad esempio, la quantità di tempo trascorso davanti alla televisione correla con giudizi più tradizionalisti dei ruoli maschili e femminili (McGhee e Freuh, 1980; Morgan, 1987; Signorielli, 1989). Allo stesso modo, Gerbner, Gross, Morgan e Signorielli (1993) hanno trovato che i forti fruitori di televisione sono convinti che le donne, rispetto agli uomini, hanno limitate capacità e interessi. Questi ricercatori hanno anche evidenziato che tali individui esprimano visioni più stereotipiche rispetto alle professioni che ritengono adatte alle donne.

Da sempre la bellezza è considerata un valore. Tutti i popoli e le culture hanno individuato specifiche modalità di cura, ornamento e abbellimento del corpo. Pressoché ovunque, queste prescrizioni culturali hanno riguardato prevalentemente le donne. Da un punto di vista evolutivo, la bellezza rappresenta un forte segnale relativo alla capacità riproduttiva di una donna, in particolare il rapporto vita-fianchi. Anche le caratteristiche facciali, quali ad esempio la qualità della pelle del volto, la luminosità, la definizione dei dettagli, sono indici vantaggiosi da un punto di vista evolutivo e quindi da sempre considerati di grande importanza nella valutazione di una donna quale potenziale compagna (Fink e Neave, 2005). Nessuna meraviglia, dunque, se anche la nostra società pone molta attenzione all’estetica, alla bellezza, alla cura del corpo femminile.

Quando però il corpo delle donne viene considerato quale unica caratteristica in grado di rappresentarle e la bellezza quale unica qualità richiesta, allora non stiamo più parlando unicamente di un valore da preservare ma è necessario chiamare in causa altri fattori e cercare di chiarire l’oggetto della discussione. In un articolo apparso sul Financial Times nel Luglio 2007, Adrian Michaels, corrispondente a Milano del prestigioso quotidiano londinese, denunciava la presenza ossessiva e persistente di corpi femminili nella pubblicità e nella televisione italiani. L’articolo, dall’eloquente titolo “Naked Ambition” (Nuda Ambizione), parla di corpi femminili inutilmente scoperti, utilizzati per intrattenere un pubblico a casa, vendere prodotti, promuovere campagne pubblicitarie di ogni genere. Il corpo, quale strumento per raggiungere un obiettivo di carattere economico oppure più semplicemente per esclusivo piacere personale.

Queste considerazioni stanno alla base della “Teoria dell’Oggettivazione”, introdotta da Barbara Fredrickson e Tomi-Ann Roberts (1997). Le due studiose spiegano come si possa parlare di oggettivazione sessuale nei casi in cui il corpo di una donna, parti del suo corpo o funzioni sessuali siano separati dal resto della sua persona, ovvero trattati come se fossero in grado di rappresentarla. La parte per il tutto, in cui la parte, ovvero il corpo, è sostituito all’intera persona, impoverendo in questo modo la donna della propria personalità e specificità di essere umano.

Una prospettiva di questo tipo è utilizzata anche nei programmi televisivi e nella pubblicità: chi non ricorda, ad esempio, la pubblicità di una nota bevanda alcolica in cui a Charlize Theron restava aggrappato un lembo del vestito ad una sedia a sdraio e l’inquadratura proposta dalla telecamera seguiva da una prospettiva strettamente posteriore l’evolversi dell’inconveniente?

Le società occidentali pongono molta importanza alla bellezza fisica e al suo ruolo quale mezzo per ottenere importanti risultati. L’aspetto fisico di una donna ed in particolare il modo in cui gli altri lo valutano, può determinare il successo o meno legato ad esperienze lavorative e interpersonali. Alcune ricerche hanno mostrato come vi sia un legame tra aspetto fisico e successo nell’arco di vita: giovani donne giudicate fisicamente attraenti hanno maggiori possibilità di ottenere lavori di alto status, di accedere ad alti gradi di istruzione, godono di maggiore popolarità, hanno maggiori opportunità di relazioni amorose. La bellezza fisica, dunque, può trasformarsi in potere per le donne e la società incoraggia questo legame.

Non sorprende allora che molte donne semplicemente siano portate ad anticipare l’esito di questi rapporti, ponendo grande attenzione e cura al proprio corpo, preoccupandosi a volte in maniera ossessiva del proprio aspetto fisico, di apparire cioè come la società richiede loro.

Le donne imparano a valutare se stesse prima e meglio degli altri, adottando su di sé la prospettiva di un potenziale osservatore: si guardano e si giudicano come gli altri le guarderebbero e giudicherebbero. Nel documentario “Il corpo delle donne” http://www.youtube.com/watch?v=EBcLjf4tD4E

Lorella Zanardo descrive in maniera efficace questo passaggio, evidenziando come le donne abbiano creato i propri modelli di bellezza in base a schemi prettamente maschili, trovandosi nella posizione di non sapere più cosa piace realmente a se stesse. Nella pubblicità, continua la Zanardo, si assiste al curioso costume per cui si usano riferimenti ed allusioni sessuali per attrarre un pubblico maschile, per vendere prodotti rivolti ad un pubblico femminile. Le donne diventano giudici di se stesse e lo fanno adottando la prospettiva di un potenziale osservatore. In questo caso, il processo di oggettivazione coinvolge una sola persona: vittima e agente sono la stessa persona. E’ ciò che nella letteratura scientifica viene definita auto oggettivazione (self objectification), ovvero il processo per cui le donne assumono su di sé la prospettiva di chi le osserva, guardando e giudicando se stesse come oggetti che devono essere apprezzati principalmente da altri.

La costante preoccupazione che molte donne rivelano per il proprio aspetto fisico può essere così meglio inquadrata come una strategia per gestire le pressioni ricevute dall’ambiente esterno, piuttosto che un sinonimo di semplice vanità quale tratto di personalità proprio del regno femminile. Tale strategia è stata sviluppata dalle donne per cercare di anticipare il modo in cui saranno giudicate e dunque trattate dagli altri; giudizi che, come abbiamo visto, hanno delle chiare ed importanti implicazioni per la qualità della loro vita.

Altri studi, questa volta sperimentali, evidenziano che l’esposizione a messaggi televisivi stereotipici può avere effetti negativi sulle donne. Ad esempio, in uno studio condotto da Davies, partecipanti maschi e femmine erano sottoposti ad un difficile test di matematica. Nella condizione di “minaccia” ai partecipanti veniva fatto vedere uno spot pubblicitario in cui la protagonista incarnava uno stereotipico modello femminile; nella condizione di “controllo” ai partecipanti veniva fatto vedere uno spot pubblicitario in cui comparivano esclusivamente dei prodotti commerciali. I risultati ottenuti hanno messo in luce che mentre i maschi producevano delle prestazioni assolutamente simili nelle due condizioni, al contrario le donne non solo subivano un deciso calo di prestazione nella condizione di “minaccia” (Davies et al., 2002, studi 1 e 2), ma addirittura esprimevano minore interesse e aspirazione ad intraprendere in futuro professioni di carattere scientifico (Davies et al., 2002, studio 3).