Rignano: tra il sospetto e l’accertamento della verità. La difficile prova.

di Margherita Papa

E’ di qualche giorno fa la notizia del proscioglimento di tutti gli imputati per il sospetto abuso sessuale  nell’asilo di Rignano Flaminio. I giudici sono arrivati dopo sei anni,  con la solita lentezza dei processi italiani,  ad una sentenza di assoluzione.

Nei casi di sospetto abuso sessuale su minori è estremamente importante la raccolta delle prove e delle testimonianze dei bambini coinvolti.

Da quello che si è saputo delle indagini e delle prove portate in giudizio, uno degli elementi fondamentali per l’assoluzione sembra essere stato proprio il tipo di raccolta delle testimonianze dei bambini.

I genitori in allarme hanno interrogato i figli con  domande invasive, suggestive, con modi che sicuramente avrebbero inquinato il campo se ci fosse stato qualche indizio importante. Si è creato un allarme ed un contagio tra le varie famiglie che ha portato addirittura a ipotizzare una rete di pedofili che in tutta Italia (altri casi di indagini su asili sono in corso) cerca la complicità delle maestre per abusare dei bambini.

La sentenza è chiara e non intendo metterla in discussione, ma prenderla come spunto di riflessione per ragionare sul tema dell’abuso sessuale dei minori. Su questo argomento si discute ancora con molta ideologia, un po’ come una volta succedeva intorno alla violenza sessuale sulle donne.

Si prendono posizioni e avvengono scontri agguerriti, che travalicano il campo delle indagini condotte con metodo scientifico.

Se si cerca sulla rete internet si trovano siti schierati in una vera e propria guerra tra chi crede di denunciare la pedofilia e sostenere le vittime di abusi e chi crede di denunciare i falsi abusi e di sostenere le vittime di false denunce. Leggendoli ho avuto l’impressione che in entrambi gli schieramenti ci sia un uso strumentale delle informazioni scientifiche.

Questa lotta ideologica non aiuta purtroppo a scoprire  gli abusi e a volte, come nel caso di Rignano, certe informazioni volte a denunciare gli abusanti, i pedofili, sembrano invece creare un clima inquinato di sospetti e paure, che inducono testimonianze scorrette e quindi non utilizzabili.

Nel senso comune non riesce a passare una informazione che invece è ormai nota nell’ambito di chi studia questi fenomeni: in un’altissima percentuale gli abusi sessuali sono intrafamiliari, gli abusanti sono cioè persone della famiglia ristretta o allargata o che frequentano in modo trasparente la cerchia familiare.

Raramente coinvolgono larghi gruppi di bambini, perché uno degli strumenti principali dell’abusante è la manipolazione psicologica della vittima, che è molto più facile verso una sola persona, o al massimo due. Per lo stesso motivo spesso le vittime, quando non sono dello stesso nucleo familiare, vengono selezionate  in base al loro isolamento sociale, in gruppi familiari poveri,  emarginati o stranieri.

Invece i siti che parlano di abuso per denunciarlo si occupano prevalentemente di pedofilia, quando questa situazione esistenziale è solo uno dei fattori che induce l’abuso sessuale.

Un altro fattore che è noto alla comunità scientifica è che il rapporto tra abusi denunciati e condannati durante l’infanzia ed abusi che vengono rivelati solo da adulti è  sproporzionato: solo una minima parte degli abusi vengono scoperti durante l’infanzia.

Il professor Alberto Pellai, ricercatore presso l´Istituto di Igiene e Medicina preventiva dell’Università degli Studi di Milano,  studia gli abusi sessuali e su questa epidemia silenziosa ha scritto un libro, Un´ombra sul cuore ( Franco Angeli 2004), che rende conto di una ricerca svolta in 46 istituti superiori di Milano:  il 14,6 per cento dei ragazzi e delle ragazze ha dichiarato di aver subito durante l´infanzia un qualche abuso sessuale. Il 12,3 per cento ha subito abusi lievi; il 2,3 gravi. Il dato è sorprendente se paragonato alle cifre ufficiali italiane, mentre è in linea con  i dati degli abusi denunciati o stimati nei paesi europei, per non parlare degli Stati Uniti.

Molti psicoterapeuti, soprattutto di pazienti borderline e/o tossicodipendenti, oppure con gravi disturbi del comportamento alimentare, si sentono raccontare storie di abusi nell’infanzia, storie di abusi mai rivelati, mai scoperti, oppure mai creduti. Una  ricerca condotta dal prof. Cancrini all’interno della Comunità Saman  evidenziava che circa un terzo delle donne che stavano facendo un percorso terapeutico di recupero dalla tossicodipendenza  era stato abusato nell’infanzia (comunicazione personale).

In tutto il mondo occidentale ed anche in Italia  sono  usati protocolli di indagine e di verifica delle testimonianze che possono e devono essere rispettati appena c’è il sospetto di un abuso sessuale su minori (Carta di Noto, Protocollo di Venezia, Linee guida SINPIA).

Se l’abuso sessuale avviene prevalentemente in famiglia o con adulti che manipolano fortemente il minore con minacce, attivazione di sensi di colpa e di vergogna, è normale che la rivelazione dell’abuso spesso non sia immediata, né semplice da ricostruire. Le vittime, quando l’abuso non avviene con violenza, possono anche sentirsi “scelte” dall’abusante, speciali ai loro occhi. Così come spesso possono pensare che sia colpa loro quanto gli sta succedendo o che comunque a loro verrebbe data la colpa se gli altri familiari sapessero.

I protocolli indicano che è necessario che vi sia una costellazione di indizi: segni fisici e comportamentali, una testimonianza da parte del minore, sintomi e aspetti di personalità della vittima compatibili con quelli di una vittima di abuso.

Purtroppo sono rari i casi in cui vi sono segni fisici eclatanti: ferite, escoriazioni, gravidanze. Sono in genere i casi che più facilmente arrivano alla condanna.

Per quello che riguarda la testimonianza, quando la vittima sia ritenuta in grado di riferire quanto è avvenuto, per età e per livello intellettivo, esistono ormai indicazioni su come raccoglierla ed anche su come analizzarne il contenuto (Mazzoni G.La testimonianza nei casi di abuso sessuale sui minori. Giuffrè 2000).

Ma quando non ci sono segni fisici e la vittima di abuso non è pronta a testimoniare emergono le differenze: per alcuni autori è importante valutare i segni psicologici di abuso (Malacrea M. Bambini abusati. Linee guida nel dibattito internazionale. Cortina 2002).

Alcuni psicologi  sostengono che i segni psicologici di stress post traumatico non sono specifici, che anche una psicopatologia o una situazione di conflitto genitoriale o altre situazioni traumatiche possono produrre gli stessi sintomi psicologici che vengono provocati da un abuso.

Altri psicologi invece  rintracciano in alcuni temi psicologici, che emergono soprattutto da test proiettivi, la presenza di una costellazione emotiva tipica dell’abuso sessuale, riferito però soprattutto all’abuso intrafamiliare. La discussione diventa complicata perchè riguarda la possibilità di ammettere come prova una costellazione di emozioni, ma soprattutto di interpretazioni delle emozioni dei bambini, compatibile con quella di una vittima di abuso sessuale.

Attualmente i protocolli citati precedentemente escludono addirittura in modo esplicito il concetto di compatibilità.

Peccato che anche le stime del Censis ci dicano che attualmente per un caso di abuso sessuale denunciato ce ne possono essere 20-40 ancora sommersi.

E’  importante garantire il diritto di un adulto a essere tempestivamente assolto (se non è colpevole) in una indagine che ovviamente ha delle ripercussioni gravissime sulla sua vita, per il discredito sociale che ne deriva.

Ma è altrettanto importante garantire il diritto di un bambino ad essere ascoltato e creduto quando denuncia un abuso o quando ci sono rilevati  sospetti di un abuso del quale può essere vittima, per le conseguenze terribili che potrebbe avere un abuso non scoperto o addirittura non creduto.

Sarebbe importante che ci fosse ad esempio in ogni presidio delle ASL uno psicologo formato specificatamente per la psicodiagnosi dell’abuso, cosa che purtroppo non accade così frequentemente. Qualche anno fa lavoravo in un Consultorio Familiare. Dopo che avevo seguito un caso particolarmente impegnativo di sospetto abuso sessuale ho frequentato un corso presso il Centro del Bambino Maltrattato di Milano, per essere preparata in questi casi. L’Azienda non solo non me lo pagava, ma non me lo aveva neanche richiesto.

Non so quale sia attualmente la mappa dei servizi che si occupano di tutela dell’Infanzia, certamente molto è stato fatto anche grazie all’opera di associazioni e coordinamenti come il CISMAI, ma credo che sarebbe importante continuare a promuovere una formazione specifica sui protocolli di raccolta delle testimonianze, sui segni fisici e psicologici dell’abuso.

Si dovrebbe ipotizzare un gruppo di operatori, pediatri, psicologi, assistenti sociali, neuropsichiatri infantili, specializzato ad intervenire subito in caso di sospetto, per via immediata con una autorizzazione di indagine da parte della Procura della Repubblica, ed in collaborazione ovviamente con gli ispettori di polizia, che con metodi condivisi e accertati dalla comunità internazionale,  raccogliesse velocemente i segni fisici,psicologici e l’eventuale testimonianza. Quello che invece accade attualmente è che tra i primi segnali e la raccolta delle prove, l’incidente probatorio, passano a volte non solo giorni, ma mesi, nei quali ovviamente i bambini vengono sentiti più volte ed in modo inopportuno, suggestivo, colpevolizzante, da più figure.

Ma l’impressione è appunto quella che ancora intorno a questi temi si faccia fatica a prendere una posizione pubblica e a spendere energie e fondi, perchè sono temi che troppo facilmente possono essere trasformati in occasioni di crociate pro o contro, con atteggiamenti militanti ed estremisti, a volte anche all’interno della stessa comunità scientifica.