Il passaggio alla paternità: un approccio clinico

di Despina Naziri e Thalia Dragonas

(Titolo originale : « NAZIRI D.; DRAGONAS T., Le passage à la paternité : une approche clinique, in : La Psychiatrie de l’enfant, 1994, vol. 37, no 2, pp. 601-629traduz. di L. Angelini)

Introduzione

Il passaggio alla paternità è stato considerato come una “crisi” (Benedek, 1959; Revault d’Allones, 1991) che comporta degli importanti riassetti nello psichismo dell’uomo così come nella relazione con la propria partner. Questa crisi, che si manifesta all’inizio (o anche prima) della gravidanza, e fino ai primi mesi (almeno) della vita del neonato, assume delle dimensioni considerevoli soprattutto quando il neonato è il primogenito. Inoltre questa esperienza, che costituisce un punto nodale del ciclo vitale, è fortemente intrisa di influenze sociali e culturali e trae le sue origini e la sua specificità nella costituzione psichica di ciascun uomo.

Abbiamo tentato, in questa prospettiva, di studiare il fenomeno del passaggio alla paternità in una società in transizione, la Grecia. Abbiamo adottato una metodologia clinica che, attraverso l’analisi del linguaggio di giovani uomini che per la prima volta diventano padri, mira a chiarificare la dinamica psicosociale, così come la dimensione longitudinale, del fenomeno.

Tuttavia il campo degli studi sulla paternità è così vasto e diversificato da far si che ogni autore debba collocarsi scientificamente, debba cioè render nota la propria prospettiva teorica e metodologica, nonché gli strumenti di analisi e i criteri della loro applicazione. Un tale sforzo di chiarezza è, di fatto, indispensabile in un campo  in cui le esigenze scientifiche rischiano di essere sminuite o perse di vista se non si bada ai pericoli  di confusione fra nozioni e livelli di analisi, nonché di slittamento di senso esistente fra termini identici, utilizzati però secondo logiche differenti. Più specificatamente due trappole incombono sul ricercatore. Innanzitutto la trappola dello slittamento di senso che conduce a confusioni o imprecisioni spesso difficili da controllare o da localizzare: l’esempio dell’intercambiabilità fra “ruolo” e “funzione” genitoriale è un caso classico (F.Hurstel, 1987, 1989). In secondo luogo la trappola della abusiva estrapolazione che conduce l’autore a sollecitare dei dati empirici ed ad utilizzarli per rinforzare delle ipotesi  che appartengono ad un registro teorico diverso dal proprio, nel nostro caso quello della psicoanalisi: l’ultimo lavoro di Elisabeth Badinter (ed in special modo le sue analisi della paternità) ci sembra essere un caso che illustra bene questo pericolo.

Nonostante l’abbondare della letteratura sulla paternità conviene sottolineare la relativa carenza di studi clinici su questo argomento. Rari sono infatti i lavori che rispondono alle esigenze specifiche della psicologia clinica. Per tentare contemporaneamente di colmare queste carenze e di arricchire il campo degli studi, ci è sembrato opportuno di porre le basi per una analisi delle incidenze psicologiche derivanti dalle trasformazioni sociali sia del ruolo sia della funzione paterna. Più pragmaticamente noi cercheremo di individuare  i differenti “quadri” della paternità a partire dall’ascolto di giovani uomini che stanno per diventare padri per la prima volta, e che vivono in contesti sociali differenti (urbani o provinciali), entrambi coinvolti in uno stesso processo di transizione.

(Despina Naziri)

Il quadro teorico della ricerca

Una nuova ricerca sulla paternità deve innanzitutto collocarsi con sufficiente precisione all’interno dell’insieme sovrabbondante dei lavori esistenti. Lavori che possono essere classificati in questo modo:

a)Gl studi storico-sociologici che esaminano l’evoluzione della rappresentazione sociale, del ruolo, dello statuto economico e giuridico del padre nei paesi occidentali (Delumeau et Roche, 1990; Parke et Tinsley, 1984).

b)Gli studi empirici, essenzialmente anglosassoni, che, attraverso l’impianto di dispositivi metodologici sofisticati (osservazioni, scale, questionari, tests), volgono la loro attenzione al tipo di  partecipazione dell’uomo nelle varie transazioni con la donna ed il bambino, in special modo nel quadro del cambiamento sociale dei ruoli fra i due sessi (Berman, Pedersen 1987; Lewis and O’Brien 1987; Lewis, 1986, McKee and O’Brien, 1982; Beail, Mc Guire,1982). I dati di questi studi che hanno a volte un carattere quantitativo (vale a dite esclusivamente descrittivo), sono spesso interpretati in una prospettiva di sviluppo (Lamb, 1981, 1986),  sebbene le più recenti ricerche tendano a privilegiare anche gli approcci psicodinamici e sistemici (Cath et al., 1989).

c) Gli studi di orientamento psicoanalitico che, analizzando sia il materiale clinico, sia quello di stampo antropologico, mitologico o letterario, tentano di rispondere ad una serie di problemi essenziali: cos’è il padre? quando compare il padre? come il padre agisce nel definire l’identità sessuale del figlio? in che cosa consiste la funzione paterna? che spazio dare alla femminilità dell’uomo (cioè del “nuovo padre”)? Qual’è il significato della couvade e della patologia paterna? (Badinter, 1992; Revault d’Allonnes 1991; Corneau, 1989; Nauri, 1985; Delaisi de Parseval, 1981; This, 1980; Ross, 1979)?

Secondo questa prima classificazione della letteratura, il nostro studio è più vicino al terzo tipo di approccio, quello psicoanalitico. A noi sembra, infatti, che la psicoanalisi possegga le possibilità di risposta più adatte alle domande che il percorso della nostra ricerca ha fatto sorgere in noi. Tuttavia il campo degli studi psicoanalitici è, esso stesso, così ricco e pieno di contrasti da giustificare la ricerca, in esso , delle varie tendenze che lo compongono. Secondo noi una distinzione può essere fatta, ad esempio, fra i lavori in lingua inglese e quelli in lingua francese.

Gli autori anglosassoni , soprattutto a partire dagli anni ’50, hanno cominciato a interessarsi ai processi psicoaffettivi che caratterizzano il passaggio alla paternità e che sono all’origine dei fenomeni psicosomatici e dei disturbi di comportamento (passaggio all’atto, turbe sessuali, etc.), così come delle manifestazioni psicotiche dei futuri (e nuovi) padri. Le loro analisi dei conflitti intrapsichici si addensano soprattutto in tre polarità (Zayas, 1987): a) l’intensificarsi dei bisogni di dipendenza dell’uomo (Zilboorg, 1931; Liebenberg, 1969); b) l’emergere di una rivalità inconscia con il bambino, a volte percepito come fratello rivale (Herzog, 1982); c) la riattivazione dei conflitti edipici (Curtis, 1955; Jarvis, 1962). Peraltro, specialmente sulla scia di T.Benedek, altri autori, riconsiderando il concentrarsi della letteratura psicoanalitica sul rapporto madre-bambino (Cath et al., 1989) considerano l’accesso alla genitorialità come una tappa critica nello sviluppo psicosessuale di ciascun individuo. Questi autori cercano, di conseguenza, di mettere a fuoco il ruolo pre-edipico del padre (Abelin, 1975), il contributo paterno nelle fasi post-edipiche, così come la formazione dell’identità paterna nei preadolescenti (Ross, 1979).

In Francia lo sviluppo, da parte di J.Lacan, nel 1956, del concetto di “funzione del ‘Nome del Padre'” ha prodotto la nascita, successivamente, di una grande mole di lavori psicoanalitici centrati intorno alla “funzione paterna”. All’interno di questi lavori una parte degli autori ha privilegiato un approccio molto teorico alla funzione paterna, secondo tre i livelli, simbolico, immaginario e fantasmatico, in base ai quali la funzione paterna si riassume nell’interdetto, nella filiazione, e nella trasmissione (Le Père, 1989; Figures e fonctions du père, 1992; Dor, 1989). Altri autori, pur intrisi di concetti lacaniani, hanno privilegiato maggiormente la dimensione clinica della funzione paterna e definito un approccio più concreto al padre durante i momenti de parto e della gravidanza (This, 1980) o nella relazione con il bambino (Naouri, 1985). Al di fuori della tradizione più strettamente lacaniana, qualche contributo importante  ha contribuito ad allargare il dibattito sulla paternità  includendovi alcuni elementi nuovi che provengono essenzialmente dalla ricerca clinica (Revault d’Allones, 1991; Herzog, Lebovici, 1989; Chiland, 1983; Delaisi de Parseval, 1981), la nozione di spazio paterno all’interno della dinamica relazionale della coppia, enucleata da C. Revault d’Allones (1991), illustra bene questa tendenza innovatrice.

Nel dibattito psicoanalitico, in maniera implicita o esplicita, riemerge sempre una domanda fondamentale: come si diventa padre,  diventar padre è simile a diventare madre? Questo problema, nella nostra ricerca, ha assunto un’importanza molto particolare per due ragioni. Innanzitutto esso riecheggia un’emergenza sociale sempre più montante che parla con insistenza di “nuovo padre”, lo scopre e si sbizzarrisce a comprenderlo con le sue nuove attitudini moderne di fronte alla donna ed al bambino. In secondo luogo esso costituisce uno dei punti nodali della problematica sviluppata durante la ricerca.

Questo problema centrale ha suscitato delle risposte molto controverse che derivano, secondo noi, dallo scarto fra i vari punti di vista sul problema del diventare padre e, più precisamente, dalla diversa importanza che i vari autori attribuiscono ai diversi vettori della genitorialità. Emergono in proposito due scuole di pensiero.

a) La prima privilegia la cesura che c’è fra diventare madre e diventare padre (Revault d’Allones, 1991). I fautori di questo approccio insistono sulla differenza biologica fra l’uomo e la donna, e conseguentemente sull’alterità delle modalità relazionali fra madre e bambino, da una parte, e padre e bambino, dall’altra: d’altra parte così come la madre costituisce sempre un qualcosa che c’è (un étant), allo stesso modo il padre non può che darsi da fare per essere (etre). L’attenzione si sposta allora sulla funzione immaginaria e simbolica del padre nella relazione genitori-bambino. Come dice A. Naouri (1985), la maternità è un “dato”, la paternità e un “dovuto”.

b) La seconda scuola di pensiero, ponendo l’accento sul’importanza prevalente degli elementi pregenitali (la bisessualità biologica e la dipendenza, sia per l’uomo che per la donna, dalla figura materna), sostiene che vi è una identità di funzionamento psichico fra uomo e donna, fra padre e madre (Benedek, 1959; Cath et al., 1989). Alcuni di questi autori criticano “l’inflazione parossistica del ruolo biologico della madre durante il parto e soprattutto l’importanza accordata all’utero”, così come “la sopravvalutazione della funzione simbolica del padre” (Delaisi de Parseval, 1981, p.284). Relativizzando  i pregiudizi ideologici propri della nostra società giudaico-cristiana, questi autori richiamano la nostra attenzione sull’importanza di altri vettori biologici, come il latte e lo sperma, che sono fortemente valorizzati in altre culture. Valorizzata, così, comparativamente la differenza biologica, l’interesse maggiore si concentra allora sulla capacità di fantasmatizzazione di entrambi i genitori all’inizio del processo di attaccamento paterno e materno. La capacità di diventare madre e di diventare padre dipende, per essi, non tanto dalla fisiologia, quanto dall’insieme delle prime relazioni dell’uomo e della donna con la madre e dalla mobilizzazione della femminilità in ciascun sesso (Badinter, 1992).

Sebbene all’inizio non avessimo avuto come obiettivo quello di prendere posizione su questa disputa, la raccolta e l’analisi dei dati ci hanno progressivamente indotto al approfondire questo complesso problema della specificità maschile della funzione paterna. Questo modo di procedere ha così finito con l’influenzare l’elaborazione della nostra problematica che mira ad individuare i differenti fattori che intervengono nel processo del divenire padri. Focalizzando la nostra attenzione sugli elementi che costituiscono  la personalità del giovane padre e la sua relazione con l’oggetto, siamo state tentate di svelare le sue maniere specifiche di dare consistenza e di articolare  le diverse componenti della funzione paterna. Noi abbiamo dunque essenzialmente cercato di circoscrivere il processo del diventar padre cercando di individuare la funzione paterna a partire dai vissuti e dall’esperienza dell’uomo nel momento in cui diventa padre, nonchè dal sistema di rappresentazione connesso al ruolo paterno. Tuttavia questo modo di procedere nella comprensione della funzione paterna è un fattore che mal si concilia con la  metodologia clinica che noi abbiamo scelto; in effetti questa metodologia, anche se permette l’accesso ad un materiale ricco e polivalente, finisce col limitare, in base alla natura dei suoi stessi dati, le possibilità di teorizzazione. Cerchiamo di circoscrivere ora in questo modo l’area della nostra ricerca.

Il contesto psicosociale della ricerca

Una serie di studi sociopsicologici su diversi aspetti della società greca (Dragonas, 1987, 1992; Naziri, 1990; Moussourou, 1985; Kataki, 1984; Doumanis, 1983; Potamianou, 1982) ha rivelato la presenza di riassetti strutturali, poiché l’istituzione del matrimonio, così come l’ingresso nel ruolo di genitore si sono trasformati, da oggetto di negoziazione collettiva, in oggetto di scelta personale.

(Thalia Dragonas)

Nel quadro tradizionale  (e in maniera più accentuata in provincia) la responsabilità verso il gruppo  sembrava più importante di quella verso l’individuo; la relazione coniugale era la meno investita, mentre la relazione madre-figlio era la più importante, ciascuno dei due partner della coppia genitoriale tendeva a porre le proprie risorse nel proprio spazio sociale, l’ideologia, le regole di comportamento si formavano lentamente e secondo le norme di un milieu sociale meno complesso di quello attuale. La prescrizione sociale intorno al ruolo paterno presupponeva una importante differenziazione di funzioni e di attività fra quelle assegnate al padre e quelle della madre.

Al contrario il quadro attuale è contraddistinto da sue proprie contraddizioni e da una tendenza alla complessità: gli individui hanno perso gli appoggi tradizionali che alimentavano il loro sentimento di appartenenza sociale e le possibilità di espansione personale. Pertanto gli stessi fattori che garantiscono questo funzionamento psicosociale diventano, attualmente, fonte di conflitti personali e relazionali rilevanti. In questo modo i giovani uomini vengono a trovarsi di fronte ad una prospettiva che è, allo stesso tempo, stimolante ed irta di difficoltà: essi  ritengono in grado di assumere su di sè la scelta del matrimonio e della creazione di una famiglia secondo i propri bisogni personali di autorealizzazione ed esponendosi in pieno alle scommesse proprie di una relazione diadica e triadica funzionale; in altri termini essi sono sospinti ad autonomizzarsi dalle loro famiglie d’origine, ad acquisire una autonomia personale e nello stesso tempo a far parte di un nuovo reticolo di relazioni interdipendenti. In questo modo essi vengono a trovarsi coinvolti in un continuo processo di destrutturazione e di ristrutturazione della loro identità maschile e paterna.

La nostra ricerca si pone così in questo contesto sociale greco di cui ci preme sottolineare la particolarità. Al fine di valutare l’influenza di fattori socioculturali propri della Grecia contemporanea sul processo del diventar padre noi abbiamo individuato due distinte popolazioni contemporanee, la prima appartenente al quadro urbano (Atene), la seconda a quello provinciale (Rodi). D’altro canto la nostra ricerca si basa su alcuni di quei concetti psicoanalitici sulla paternità che abbiamo esposto nel paragrafo precedente, che ci sono sembrati i più adeguati a tentare il raggiungimento dei seguenti obiettivi:

– articolare le rappresentazioni, proprie del soggetto, con le esperienze ch’egli fa prima, durante e dopo la nascita del bambino;

– individuare la struttura della personalità di ciascun soggetto, tenendo conto di diversi elementi: le identificazioni con le proprie immagini genitoriali; i meccanismi di difesa, così come appaiono soprattutto attraverso il linguaggio, le proiezioni effettuate sul bambino, l’immagine femminile così come appare nella relazione con la propria partner, il tipo di affettività espressa, il tipo di pratiche adottate. Questo modo di procedere mira soprattutto ad individuare gli elementi comuni e non, dei soggetti intervistati durante la ricerca;

– studiare le modalità di transazione della coppia a livello delle pratiche, delle attitudini e degli affetti, nel momento in cui lo spazio di coppia deve cedere il passo allo spazio paterno.

Tenendo conto di questi obiettivi e delle particolarità del contesto psicosociale in cui si situa la ricerca, abbiamo elaborato un corpus di ipotesi in termini dinamici e relazionali al fine di mettere a fuoco le dimensioni psicodinamiche e longitudinali del fenomeno:

– Se la condizione preliminare per effettuare il passaggio alla paternità consiste nella possibilità che l’uomo ha di esercitare la funzione paterna a livello simbolico, il vissuto della paternità resta in questo modo legata alla modalità  con la quale l’uomo rivendica, modifica e occupa lo spazio paterno a livello delle relazioni fra partners, sia prima che dopo la nascita del bambino;

– La gestione di questo spazio paterno presuppone la sistemazione efficace dei conflitti che contrassegnano le relazioni fra partners e che derivano da influenze sociali spesso contraddittorie, così come dal desiderio della donna di concedere questo spazio. Nel quadro della società greca contemporanea la gestione dello spazio coniugale, prima, e di quello paterno, dopo, dipende fortemente dal processo di autonomizzazione dei giovani genitori dall’influsso delle rispettive famiglie d’origine.

– Il processo dinamico che caratterizza la gestione dello spazio paterno  si definisce in base alle problematiche personali di ciascun uomo, così come in base al suo sistema rappresentazionale. Il grado di coesione di questo sistema da una parte determina la funzione ed il vissuto della paternità, dall’altra riflette le contraddizioni e la confusione che dilacerano spesso i ruoli maschili e femminili nel quadro sociale e culturale contemporaneo.

– La modo in cui l’uomo vivrà la gravidanza della propria partner e la nascita del proprio figlio costituisce un punto nodale nel processo di trasformazione mentale in cui è coinvolto (cioè le identificazioni con le proprie immagini genitoriali, le sue relazione con la partner, etc.). L’uomo, nel momento in cui è impegnato ad assolvere la propria funzione paterna, può o impigrirsi in schemi prestabiliti culturalmente o individualmente, oppure dare un nuovo senso alla sua vita personale e relazionale.

Per confermare queste ipotesi abbiamo approntato un dispositivo metodologico di tipo clinico. Abbiamo incontrato 25 uomini greci (dell’età media di 30 anni) che erano in attesa del loro primo figlio e che si distinguevano per il luogo di residenza. Abbiamo effettuato con loro degli incontri semidirettivi in tre momenti distinti: durante l’ultimo trimestre della gravidanza della loro partner, fra i due e i quattro mesi dopo il parto, e fra i sei e i sette mesi dopo la nascita del bambino. Ciascun incontro è avvenuto sulla base di una griglia di domande che toccava un gran numero di temi (a titolo di esempio: il processo decisionale che ha condotto la coppia ad avere un figlio, il figlio fantasmatizzato, la scelta del partner, le relazioni con la famiglia d’origine, la scelta del nome, lo svolgimento del parto, la cura del neonato, le decisioni inerenti la sua educazione, etc.). Nello stesso tempo abbiamo sollecitato l’intervistato ad esprimersi sui propri sentimenti, sulle proprie credenze, sulle proprie attività, sulle proprie riflessioni sull’evento. Cosicché in ciascun incontro molti di questi temi venivano trattati in maniera non sistematica, altri invece sistematicamente reiterati (ad esempio: cosa significa per voi diventare padre?). Gli incontri  sono stati trascritti integralmente ed analizzati trasversalmente e longitudinalmente secondo il metodo di analisi del contenuto del linguaggio (C.Revault d’Allonnes, 1989; M.C. D’Unrug, 1974).

La realizzazione delle interviste da parte di due ricercatrici diverse offre la possibilità di mettere a fuoco meglio la dinamica transferale attraverso la comparazione ed il processo dialogico. Peraltro la dimensione longitudinale della ricerca crea delle condizioni specifiche all’instaurarsi di quel gioco transizionale fra ricercatore e soggetto intervistato che arricchisce la problematica della ricerca clinica.

Per meglio illustrare la tematica che stiamo per esporre parleremo di due casi.

Presentazione di due casi

Primo caso : Klimis

I tre incontri sono avvenuti a casa di Klimis a Rodi. Al primo incontro sua moglie si era discretamente eclissata in un posto vicino, nel secondo eravamo ancora soli poiché lei era ancora ricoverata in maternità, nel terzo suo figlio, che all’epoca aveva circa otto mesi, cercava in tutti i modi di attirare la nostra attenzione. Il tempo che avevamo a disposizione durante ciascun incontro era determinato dal lavoro di Klimis nel settore turistico, e perciò in stretta connessione con il ritmo di vita di Rodi, denso durante l’estate, e lento in inverno. Ad ogni incontro Klimis mi faceva un’impressione diversa: a volte era disteso e disposto a rivelarmi i suoi sentimenti, altre volte invece più controllato e tendente a porre dei limiti al nostro colloquio.

Klimis ha 33 anni ed è il figlio più giovane della sua famiglia. Suo fratello e sua sorella, anch’essi sposati, abitano non lontano dalla nuova casa di Klimis, così come del resto i suoi genitori. Egli condivide con suo fratello la direzione di un negozio. Sua moglie, di 5 o 6 anni più giovane di lui, è originaria del suo stesso paese e, prima della gravidanza, gestiva anch’essa un piccolo negozio, legato al turismo. Fin dai primi contatti mi era sembrata calma e felice: un sorriso caldo e generoso era il segno di questa sua disposizione mentale. La prima domanda che fu posta a Klimis, come a tutti gli altri soggetti intervistati, fu: “che significa per voi star per diventare padri?”. Klimis rispose: “Certo questo sarà un avvenimento importante. Succederà senz’altro qualcosa di nuovo. E’ certo che noi facciamo parte di una grande famiglia ed io sento parlare mio fratello e mia sorella. Sicuramente non è la stessa cosa essere padre o sentirne parlare”.

Appare subito evidente come egli sia alla ricerca di un punto di riferimento all’interno del suo ceppo d’origine ed una posizione dentro la rete di relazioni di parentela, al fine di dare un senso personale alla propria paternità. Mano a mano che il corpo di sua moglie si trasforma si sente lui stesso “responsabile”, e quando lei gli dice che questa trasformazione “le piace” egli “si sente sollevato”. In questo modo Klimis rivendica fin dall’inizio una parte di responsabilità ed una propria posizione nello spazio paterno: “E’ normale, certo, che lei, lei si preoccupi di più, ma io non sono in grado di dire in percentuale quanto…in linea di massima… potrei dire 60%, contro 40%, in favore di Maria. Nello stesso tempo sente il bisogno di conservare per sè una immagine di appartenente al sesso forte che deve rassicurare la donna in quanto “un po’ vulnerabile” e “in generale sensibile…ed ora ancora più sensibile perché incinta”.

Il funzionamento del suo sistema difensivo è centrato sulla dissimulazione delle eventuali rotture interne e sull’isolamento degli affetti, con la sola eccezione di qualche momento di esaltazione, come, per esempio, nel momento della nascita. Così, prima del parto,  allorché lo si invita a immaginare il proprio figlio egli ha difficoltà a staccarsi  dall’immagine frammentaria dell’ecografia; non può che proiettare il bambino all’interno della propria stirpe, ma senza differenziarlo: “poiché nella nostra famiglia ci sono molti bambini penso che sarà simile a loro”. Avendo saputo in anticipo il sesso del nascituro (si trattava di un maschio) aggiunge, sullo stesso versante: “Lo educherò in modo…perché il modo con cui mi hanno educato i miei genitori credo fosse positivo, per cui ne farò uno sportivo, questo è indiscutibile…certo se lo vorrà e lo diverrà.. (Io gli domando: “Perché uno sportivo?”)…”è tipico della famiglia”.

Senza essere sollecitato egli associa spontaneamente l’educazione del proprio bambino alla propria, ma cita appena i suoi genitori ed i propri sentimenti nei loro confronti. I suoi genitori non appaiono differenziati l’uno rispetto all’altro nei loro comportamenti nei suoi confronti, sono semplicemente “buoni, ragionevoli ed affettuosi…forse un po’ severi”; secondo lui la loro severità era giustificata dalla presenza dei pericoli tipici del contesto turistico dell’isola. In questo modo alcune esperienze negative vengono apparentemente sottaciute grazie alla riattivazione dei suoi meccanismi difensivi. Il solo momento di rottura di questa censura si manifesta quando Klimis parla di un importante conflitto che nacque fra lui e suo padre a proposito di una sua scelta professionale che, però, gli permise di diventare adulto: “Come si dice, ho lasciato perdere tutto e sono entrato nel turismo. Ben inteso ero già sufficentemente adulto perché l’opinione di mio padre non contasse più nulla per me. Avevo già 23 anni”.

Klimis oscilla essenzialmente fra il dato dell’importanza vitale, per lui, dell’integrazione nel “gruppo dei familiari e dei congiunti” ed il suo bisogno di definire da solo la propria individualità. La sua ambivalenza fra accettazione o rifiuto del modello paterno (cioè di suo padre) traspare ancora nelle contraddizioni riscontrabili nel suo linguaggio a proposito della gestione del proprio potere paterno nei confronti del proprio figlio.

Per di più, questa ambivalenza resta abbastanza inconscia poiché il campo cosciente è occupato da una struttura simbolica che dà senso all’esperienza di passaggio alla paternità che si cristallizza sulla scelta del nome del bambino. Finiscono col dare al bambino il nome della nonna paterna poiché “è il solo nome che non c’è in famiglia”, qualora invece avessero dato al bambino un nome di propria scelta ciò avrebbe significato che domani il bambino “si sarebbe sentito al 100% indipendente”. In ogni modo la moglie è pienamente d’accordo con lui poiché “proviene dallo stesso paese”. Quindi, secondo questo modello di rappresentazione, il nome dà senso e delimita le relazioni interne alla famiglia, e conseguentemente un nome “straniero” taglia fuori il soggetto dall’alveo della sua stirpe e lo rende completamente indipendente. E questa indipendenza sembra densa di minacce poiché rinvia ad un ambito di conflitti che riguardano le immagini genitoriali di Klimis, conflitti insufficientemente risolti finora in lui. Questo schema bipolare di “dipendenza-indipendenza” riappare a livello fantasmatico come elemento strutturale, in Klimis, nel concepire l’immagine della donna: “le donne vogliono essere indipendenti”. Il suo legame erotico con Maria, secondo lui, è molto diverso da quelli avuti in precedenza con le turiste, le quali “pensano in maniera del tutto diversa. Innanzitutto esse non cedono mai”. E’ possibile perciò pensare che questa relazione di coppia, che si presenta come contrassegnata da una vita in comune armoniosa e soddisfacente per entrambi, corrisponda a uno schema tradizionale di differenziazione dei sessi  che permette a Klimis di esercitare un importante controllo all’interno della coppia.

La negoziazione dello spazio paterno, nell’approssimarsi del momento della preparazione al parto, si presenta favorevolmente per Klimis: sua moglie sembra disposta a cedergli una parte dello spazio e lui ha delle motivazioni personali molto forti in questa occasione, poiché ha la possibilità di autoconfermarsi, di provare del piacere, di identificarsi inconsciamente col sesso femminile. La sola rottura che avviene in questo sistema, e che traspare all’ultimo momento prima del parto, è l’emergere di un sentimento bizzarro in base al quale l’uomo, diversamente che la sua donna, non sarebbe in grado di provare l’istinto paterno prima della nascita del bambino perché “per essere franchi, è come una madre che ha adottato un bambino di fronte ad una madre che na ha avuto uno proprio. E’ come una sorta di falso affetto materno”.

Subito dopo questo profondo dubbio cede il passo all’esaltazione provata al momento straordinario della nascita di suo figlio. Presente nella sala-parto, descrive così i propri sentimenti: “allora è venuta fuori la testa del bambino, l’ho vista…e allora ho sentito, non so, qualche cosa come un sudore freddo alle mani, e, nello stesso tempo, angoscia, emozione fortissima…ho preso Maria fra le mie braccia ed abbiamo pianto un pò, diciamo per due minuti”. Immediatamente dopo aver preso il bambino fra le sue braccia lui si sentiva benissimo poiché il bambino “era bello, molto bello, vivo, tutto rosa…cioè bene in salute…Non era segnato dalla violenza del parto. Era fantastico”.

E’ evidente che il vissuto del parto è prima di tutto contrassegnato  da una fortissima spinta al riavvicinamento affettivo di Klimis con sua moglie e con il neonato. Si può, pertanto, presupporre che questa esperienza rinvii Klimis ad un processo di identificazione con sua moglie all’interno del quale egli si sente implicato  poiché sente di “non esser mancato in nulla” e di “di aver condiviso tutto, tranne il dolore”. Questo processo, all’interno del quale riemergono  degli elementi di antagonismo con la moglie, è riscontrabile anche nella sua presenza molto attiva all’interno del contesto, femminile per eccellenza, della maternità.

Otto mesi più tardi questa euforia cede il passo ad un sentimento di obbligo, derivante dall’educazione del bambino. Egli tenta allora di gestire la frustrazione originata dalla quotidianità, che fa a pugni col suo desiderio di occupare lo spazio paterno, così come era da lui precedentemente stato fantasmatizzato. Klimis e sua moglie sembrano aver raggiunto un accordo per tenere un ritmo quotidiano in cui Maria resta tutto il giorno a casa col bambino, mentre Klimis si fa vedere con regolarità; in questo modo tutti e tre finiscono con l’uscir di casa solo raramente. Questo ritmo, a prima vista, corrisponde al bisogno di Klimis di seguire, anche se da lontano, le attività di sua moglie e di suo figlio. Ma il riavvicinamento affettivo fra la madre ed il bambino, che questo ritmo inevitabilmente comporta, riattiva in Klimis un sentimento di gelosia e di concorrenzialità.

L’allattamento diventa  un punto nodale che rivela l’ambivalenza di Klimis, e che egli tenta di gestire sia con la razionalizzazione (tentando di ricondurre le differenze sessuali sul piano dell’influenza dei fattori biologici), sia rifuggendo, o meglio reprimendo ogni prospettiva di conflitto con sua moglie: “Ebbene, finora noi non abbiamo alcun problema, spero che non ne abbiamo mai, non dovrebbe essere più possibile, se non ne abbiamo avuto fino al settimo mese, è possibile averne in seguito? Non  credo.” Egli cerca così di instaurare un rapporto particolare con suo figlio, e prende così a seguire molto da vicino  le fasi del suo sviluppo, tanto da considerare i suoi primi sorrisi come il segnale dell’inizio di un rapporto più stretto con lui.

Sembra che, in Klimis, il vissuto positivo del passaggio alla paternità permetta la ristrutturazione di un sistema rappresentazionale caratterizzato dalla integrazione di elementi della tradizione con nuovi modelli che esaltano una relazione funzionale della coppia. Ma questo processo rimane incompiuto, ma contiene diverse contraddizioni che si riferiscono soprattutto allo spazio coniugale, e conseguentemente allo spazio paterno; l’articolazione fra i differenti livelli (l’individuo, la coppia, la famiglia, il quadro socioculturale) necessitano di una elaborazione personale che è difficile attuare.

Il sistema rappresentazionale di Klimis, malgrado le sue falle, e pur correlato ai suoi meccanismi di difesa ed alle attitudini di sua moglie, apparentemente gli offre la possibilità di assumere una funzione ed un ruolo paterni. Tuttavia i conflitti soggiacenti con le immagini paterne sembrano colpire soprattutto  le relazioni coniugali, che, a loro volta, si basano su un equilibrio difficile da mantenere a causa di contraddizioni più grandi: da una parte l’identificazione con la propria moglie, la spartizione dello spazio coniugale, il riavvicinamento affettivo e, da un’altra parte la scotomizzazione del conflitto, il controllo, la rivendicazione… Dalla gestione di queste contraddizioni dovrebbe dipendere anche la maniera con cui Klimis finirà col vivere la propria paternità. Tuttavia egli sembra avere adempiuto ad un compito importante, vale a dire egli ha negoziato l’accesso a questa nuova esperienza in condizioni per lui favorevoli.

Secondo caso: Stelios

Stelios ha 30 anni. Figlio di un insegnante, ha vissuto in provincia finchè, iscrittosi all’Università, è andato a vivere ad Atene. E’ laureato in economia e lavora presso una società di assicurazioni. Sua moglie, Katerina, un pò più giovane di lui, è anch’essa laureata in economia. Vivono ad Atene, così come le loro rispettive famiglie.

Fin dalle fasi iniziali dei nostri incontri Stelios entra direttamente in tema. Cercando di dare un senso personale al fatto che presto diventerà padre, egli parla dei suoi sentimenti che oscillano, da una parte, fra gioia e felicità, dall’altra fra un senso di minaccia e di angoscia suscitate dalla responsabilità verso il bambino. La ricerca di questo senso personale ed esistenziale dell’evento passa attraverso una domanda che si riferisce alle identificazioni con le immagini genitoriali ed col bambino, ed in alcun modo alla sua relazione con la moglie: “E’ l’avvenimento più importante che finora mi sia capitato…penso alla mia infanzia, a ciò che i miei genitori hanno provato veramente…questo mi riempie di gioia…ci sono degli obblighi e ciò mi angoscia, mi angoscia fortemente…”.

Da una parte la paternità è idealizzata, dall’altra viene associata a un sentimento di minaccia esistenziale alimentata, a suo avviso, da una società contemporanea vissuta come “completamente corrotta”. Questa rappresentazione sembra corrispondere ad un bisogno narcisistico più profondo il cui significato è dubbio: Stelios si autoinveste di un ruolo di salvatore del suo bambino e, nello stesso tempo, egli ha bisogno che il suo bambino lo preservi dall’usura del tempo e dalle prove alle quali sarà sottoposto nel proseguo della sua esistenza.

La paternità idealizzata è associata al processo di idealizzazione della sua infanzia che viene disegnata  come uno spazio illusorio libero da ogni angoscia: “La mia infanzia era veramente molto allegra…non posso descrivervi i miei sentimenti in attesa di questo evento…”. In questo spazio il padre ed il fratello maggiore occupano la posizione principale e costituiscono dei modelli; specialmente il padre risulta caratterizzato come assolutamente privo di durezza. Secondo la sua famiglia, Stelios “somiglia in maniera stupefacente” ad uno zio paterno morto che aveva il suo stesso nome. Questa identificazione gli  piace e sembra avere un significato molto profondo per lui. Il solo elemento che stona con questo quadro idilliaco della sua infanzia è il comportamento angosciato della madre: “mamma era sempre angosciata”, suo marito non riusciva a tranquillizzarla.

Katerina è la sua prima storia seria, e Stelios dice che prima “lui non aveva mai manifestato entusiasmo”. Lui l’ha scelta perché sente che “fra di loro ci sono interessi comuni, delle problematiche comuni, una comune ideologia”, e scarta ogni dimensione erotica da questa scelta. Per associazione egli arriva ad evocare “la triste esperienza” della morte della madre di lei, esperienza che sembra essere stata all’origine della sua decisione di sposarsi con Katerina. Così sembra aver assunto un ruolo paterno e protettore nei suoi confronti, andandosi a cacciare nuovamente in una problematica centrata sull’abbandono e sulla compensazione della perdita.

Lungo tutto il suo discorso traspariva una sua rivendicazione nei confronti della gravidanza di sua moglie: egli “si è fatto carico di tutte le faccende domestiche”, “ha letto veramente di tutto sulla gravidanza”,; sembra così ignorare i sentimenti personali di sua moglie (“lei si sente come tutte le future mamme”), minimizza le trasformazioni corporali connesse con la gravidanza (“per me non c’è niente di particolare”) e vive generalmente la gravidanza con entusiasmo senza implicarvi realmente la moglie. Manifesta così il desiderio non solo di assistere al parto, ma anche di essere nei panni di sua moglie: “vorrei sentire ciò che sente una madre…non potrei sopportare di essere assente in quel momento”.

Tuttavia nel secondo incontro, con nostra grande sorpresa, Stelios ci mette al corrente che non è stato presente al parto. Senza dare alcuna spiegazione su questo ritiro, ci lascia capire che ha vissuto il parto con un certo senso di frustrazione, in rapporto ai suoi propositi iniziali. Si rivela così ambivalente rispetto al sesso del bambino, che è un maschio. Ma questa ambivalenza è largamente  compensata dalla sua straordinaria capacità di comunicazione e di comunione affettiva con il bambino. Non ne ha mai abbastanza della sua partecipazione alle cure del bambino, e pensa: “Io credo che sia come se lui comprendesse, come se sentisse che sta per fare il bagnetto … ride, agita le mani, i  piedi, io vedo queste cose e credo che, attraverso questi gesti, il bambino arricchisca la sua esperienza”.

Pertanto la sua relazione col bambino si iscrive sempre nel registro della rivendicazione e dell’invidia che in lui nascono in base al legame particolare  che unisce madre e bambino: “Io gli do tutto…Nei primi giorni di allattamento, quando c’era qualche problema e occorreva dargli dell’altro latte, io ero partecipe, direi in maniera molto attiva, gli preparavo il latte, e glielo davo io, anche”. Tutto l’interesse che Klimis manifesta per sua moglie lo manifesta anche per il suo bambino: “Quando sono accanto a Katerina, sono accanto al bambino”.

 Se dunque Stelios tenta di relativizzare l’importanza dei legami fra sua moglie ed suo figlio e lascia nell’ombra i suoi pensieri ed i suoi sentimenti concernenti il legame di coppia, esprime invece chiaramente il desiderio di iscrivere il suo bambino all’interno della propria stirpe. Poiché è capitato che  suo figlio è il primo bambino maschio della famiglia (suo fratello più grande, pur sposato da lungo tempo, non ha potuto avere dei figli) porterà, con gran gioia di Stelios, il nome del nonno paterno; perciò il fatto stesso che il bambino esista porta di per sè a Stelios un prestigio particolare che accentua la unione fisica fra loro due. Stelios sembra completamente preso dalla presenza di suo figlio, fino al punto che ogni altra sua occupazione viene vista come un ostacolo al suo coinvolgimento nella relazione col bambino; tanto da farcela associare all’idea di una sorta di “preoccupazione paterna precoce”.

Quando lo abbiamo rivisto, sei mesi dopo, Stelios appare come fortemente coinvolto in una relazione col bambino, come era accaduto nei nostri primi due incontri. Il bambino è rappresentato come un soggetto attivo che ha un accresciuto bisogno di esplorazione e di contatto con l’ambiente, mentre egli stesso si vive come esclusivamente responsabile della soddisfazione dei suoi bisogni. Egli è non solo in grado di riconoscere le debolezze del bambino, ma anche e soprattutto di prevederne i bisogni: “Quando il bambino è seduto da qualche parte nella stanza ed osserva qualche cosa che è più lontano, una immagine…quando lo prendo nelle mie braccia e lo avvicino all’oggetto che lui sta osservando… ciò mi riempie di una grande gioia, di una grande soddisfazione… il bambino ha delle debolezze ed io sono responsabile e comprendo la sua debolezza…”. Tuttavia la sua preoccupazione eccessiva di soddisfare tutte le domande del bambino può essere la spia, eventualmente, di una angoscia più profonda di non soddisfarlo ed, in questo modo (in base all’identificazione con lui) di sentirsi insoddisfatto lui medesimo.

Pertanto la descrizione che lui fa delle sue attività con il bambino dà l’impressione ch’egli tenti di mettere insieme contemporaneamente i comportamenti tradizionalmente attribuiti sia al padre che alla madre. Ogni prospettiva di conflitto con la moglie è nuovamente scartata, mentre viene negata l’esistenza di differenze fra i due sessi: “Abbiamo tutti la stessa capacità. Credo di potermi occupare del bambino allo stesso modo di Katerina. Non c’è alcun problema, proprio allo stesso modo.. In questo periodo non si può dire che la donna sia indispensabile al bambino… una madre , cosa può fare di altro o di più? Prima, allorchè lei lo allattava, c’era una differenza, ma oggi non ce n’è più alcuna”. Questa attitudine rinvia, tuttavia, ad un problema essenziale concernente la maniera con cui Stelios vive fantasmaticamente il fatto che lui è un uomo: questo fatto (il fatto cioè che, pur essendo egli uomo, si comporti come una donna)

 costituisce un vantaggio, oppure uno svantaggio, un ostacolo alla tendenza illusoria di essere, nello stesso tempo, padre e madre?

Stelios sembra conservare un fragile equilibrio fra i processi primari e quelli secondari,  fra una notevole capacità di mettere in piedi col suo bambino interazioni stimolanti e gli eccessi di una identificazione a volte troppo intensa. Egli sembra d’altro canto in grado di interiorizzare perfettamente il modello del “nuovo padre” anche se ciò in lui non sembra essere il prodotto di una ideologia proveniente dal livello delle rappresentazioni sociali, ma piuttosto da quello delle sue problematiche personali che lo rendono capace di adottare delle posizioni che traducono un latente suo desiderio di essere “un’altra madre”.

Stelios vive la propria paternità nell’euforia e nella completezza. Poiché egli sembra rivendicare per sè stesso la totale occupazione dello spazio genitoriale e negare a sua moglie ogni compartecipazione in questo spazio, i suoi affetti sembrano poggiare su alcuni meccanismi massivi e testimoniano forse della riattivazione di una elaborazione del lutto nel quale in precedenza era stato implicato; allo stesso modo, a parte l’attaccamento da lui dimostrato per lo zio morto, dall’intervista  mancano  tasselli troppo importanti per poter fiondare delle interpretazioni supplementari in questa direzione. Inoltre nel suo discorso l’evidente assenza di riferimenti alle relazioni coniugali fa nascere degli interrogativi a proposito all’efficace esercizio della funzione paterna che sembra convivere in modo confuso in lui con quella materna. L’omissione di ogni essenziale riferimento all’immagine femminile – sia a quella di sua moglie, che a quella di sua madre- genera così un importante quesito circa la natura dell’angoscia riattivata dalla nascita del bambino. Si tratta cioè di un’angoscia di castrazione, oppure di un’angoscia derivante dalla perdita dell’oggetto, o di un embricamento fra l’una e l’altra? La risposta a questo interrogativo sembra essere irriducibilmente legata alla problematica dell’identità sessuale ed alla gestione, da parte di Stelios, della propria femminilità.

Lo spazio paterno appare come un luogo utopico di calma e di euforia in cui non esiste alcuna transazione e, conseguentemente, alcun conflitto con la partner e con i genitori. L’assenza di conflitto sembra lasciar libero il campo ad una relazione affettiva serena e ricca con il bambino. Ma, nello stesso tempo lascia calare un senso di incertezza, da una parte,  sulla capacità di Stelios di emanciparsi dalle identificazioni problematiche e di innescare una relazione soddisfacente con la moglie, dall’altra parte sull’evoluzione della sua relazione col bambino.

Conclusioni

La presentazione di questi due casi ci permette di mettere a fuoco solo alcuni degli aspetti della problematica del passaggio alla paternità che abbiamo riassunto nella prima parte del nostro articolo. Abbiamo pertanto tentato di comprendere meglio le strutture e la dinamica relazionale fra l’uomo ed il bambino, così come fra i due partner, al fine di fissare quelle che possono essere le modalità di costruzione e di mantenimento dello spazio paterno da parte del padre. Due concetti, quello di identificazione e quello della (eventuale) rivendicazione di qualità materne da parte dell’uomo, ci sono sembrati centrali. Le abbiamo identificate e censite attraverso l’analisi di alcune problematiche ricorrenti nei discorsi degli uomini intervistati, problematiche quali: l’immagine di sè come futuro padre, l’immagine del nascituro, i rapporti interni alla coppia, le reazioni dell’uomo al momento del parto, i modi di comunicazione che si instaurano fra padre e figlio dopo la nascita, etc.

Nei due casi che abbiamo esposto i due padri vivono il passaggio alla paternità in uno stato di euforia, ma restano ancorati alla realtà poiché associano, fra le altre cose, la paternità alla responsabilità e al dovere. Inoltre, sebbene entrambi si rappresentino la paternità come un tentativo di realizzazione personale, soprattutto dopo la nascita dei loro figli risultano  coinvolti in modo evidentemente diverso nelle dinamiche di coppia. Klimis sembra trovare agevolmente rifugio in una suddivisione tradizionale dei ruoli fra i partner coniugali, nonostante le sue convinzioni progressiste sul rapporto fra i sessi. Cosicchè la sua rivendicazione del proprio spazio paterno viene attuata mediante un compromesso con sua moglie. Stelios, dal canto suo, investe in maniera massiccia sul suo bambino. Ma, tanto tende ad eludere nel suo discorso ogni prospettiva di interazione e di conflitto con la moglie, che dà l’impressione di voler usurpare il posto che essa occupa in quanto madre del bambino.

Se questi due casi ci danno l’occasione di esplorare la dinamica di coppia e di avvalorare la nostra ipotesi sull’importanza e la complessità  del processo  di identificazione dell’uomo con le proprie immagini femminili, non ci offrono sufficienti elementi circa le identificazioni dell’uomo alle immagini genitoriali. In effetti  il modo con cui furono condotte le interviste limitava la produzione di un discorso particolareggiato su questo piano: inoltre nè Stelios nè Klimis erano spontaneamente eloquenti sulle loro relazioni con i propri genitori. Ciò è in contrasto con altri casi in cui avevamo raccolto molte più informazioni e che ci permettono di avanzare una nostra ipotesi sul peso dei rapporti  intergenerazionali nella costruzione di uno spazio paterno.

Nonostante ciò abbiamo voluto definire questa ipotesi a partire dai casi di Stelios e di Klimis poiché ci permettevano di riferirci più esplicitamente alla tematica della scelte del nome del bambino, tematica che rivela la dinamica intergenerazionale in cui, in Grecia, si iscrive la nascita di un bambino. Questa tematica è del resto presente nei colloqui tenuti con tutti gli altri padri. L’osservazione antropologica in base alla quale si constata che la scelta del nome proprio del bambino all’infuori dell’area parentale in Grecia costituisce un comportamento eccezionale è ampiamente confermata dal nostro studio. La scelta del nome proprio si effettua nell’area parentale e secondo alcune regole, intorno alle quali possono esistere delle importanti negoziazioni inter- ed intrafamiliari. Nella nostra ricerca, che non era però quantitativa, si distinguono due soluzioni. Se il bambino è un maschio la scelta del nome non solleva alcun problema, i conflitti sono neutralizzati e non interferiscono col processo di identificazione dell’uomo con la propria immagine paterna. Invece se si tratta di una bambina la scelta del nome provoca spesso  (nel nostro studio in sette dei dodici casi di uomini che hanno avuto una figlia femmina)  dei conflitti intrapersonali ed interfamiliari, poiché sembrerebbe in questo caso che l’uomo  non è in grado di soddisfare, attraverso questa scelta, i suoi bisogni narcisistici ed affettivi.

Nel contesto culturale greco la scelta del nome proprio diventa un elemento strutturante dello spazio paterno poiché assolve a talune condizioni indispensabili alla fondazione della funzione paterna. In effetti, attraverso questa scelta, l’uomo non solo assicura simbolicamente un posto al proprio bambino all’interno della propria stirpe, ma (ri)definisce anche il proprio posto in essa. Nello stesso tempo questa scelta sottopone a verifica le capacità di negoziazione esistenti fra il marito e la moglie: ciascuno dei due tenta di soddisfare i propri bisogni cercando di inscrivere il bambino all’interno della propria stirpe, lasciando da parte eventualmente il problema dell’equilibrio all’interno della coppia. Ciò che vien fuori da questa negoziazione è il riflesso del grado di difficoltà che ciascuno dei partner ha slegarsi dalla presa della propria famiglia. In ultima istanza due sembrano, nella maggior parte dei casi, i tipi di rapporto con la famiglia d’origine che tendono a venir fuori. A volte la scelta del nome è sintomatico  di uno sforzo di riconciliazione e di ristabilimento di questi rapporti. A volte invece accentua la rottura fra generazioni e può sfociare in un tentativo di autonomizzazione della coppia dalle rispettive famiglie d’origine.

Questo processo di autonomizzazione dalla famiglia è un elemento importante della nostra problematica che i due casi di Stelios e di Klimis evidenziano in maniera insufficiente. L’analisi trasversale e longitudinale dell’insieme degli incontri ci ha tuttavia permesso di individuare alcune pratiche che sono significative delle relazioni delle giovani coppie con le famiglie d’origine a livello sia immaginario che simbolico. Abbiamo, in pratica, potuto osservare con precisione le distanze che la coppia desiderava mettere fra se stessa e le famiglie d’origine dopo il matrimonio, così come la natura degli interventi dei nonni sull’educazione dei bambini. L’inventario di queste ultime pratiche (come per esempio anche l’interdizione generale della presenza maschile nel momento del parto) permette di evidenziare meglio la particolarità del contesto sociale greco nel momento del passaggio alla paternità.

Tuttavia la semplice analisi delle pratiche ha un valore euristico limitato. E’ l’articolazione delle pratiche con i vissuti e le rappresentazioni che disvela in effetti la complessità  del processo di sganciamento dell’uomo dalla propria famiglia d’origine. A titolo di esempio, l’uomo che geograficamente si è allontanato dai propri genitori può tuttavia ricercare uno stretto legame familiare con i suoi suoceri: ma questo contatto può nondimeno essere percepito come intrusivo e perturbante per la delimitazione di uno spazio coniugale e paterno. Inversamente, l’uomo che resta a vivere, anche dopo il matrimonio presso la propria famiglia a va a vivere con i suoceri può, ciononostante, ingegnarsi a trovare uno spazio autonomo per lui e per la sua famiglia.

Un altro elemento che non abbiamo potuto sviluppare a sufficienza è l’evolversi della rappresentazione della paternità. Il metodo longitudinale che abbiamo adottato nella costruzione dell’apparato  della nostra ricerca ha permesso di metter in evidenza le varie sfaccettature di questa rappresentazione. Infatti essa si trasforma nel tempo in funzione della personalità dell’uomo e costituisce un altro elemento strutturante dello spazio paterno.  Ed in ultima istanza, se la presentazione di questi due casi clinici non ha potuto rispondere a tutti i quesiti posti  e non dà che una visione parziale dei risultati della nostra ricerca, essa tuttavia tenta di raggiungere un obiettivo specifico: dimostrare il contributo particolare che l’approccio clinico può dare allo studio dei fenomeni psicosociali, ed in particolare al tema del passaggio alla paternità.

Se è evidente che l’adozione di posizioni ideologiche e di comportamenti tradizionali o progressisti dipende da prescrizioni sociali e da modelli proiettati ed interiorizzati dal soggetto,è la ricerca clinica che svela le dinamiche soggiacenti proprie dei fattori psichici, questi fattori contribuiscono in maniera decisiva non solo all’adozione di un modello a livello pratico o ideologico, ma soprattutto alla messa in luce delle contraddizioni spesso incontrate sia a livello pratico che ideologico. Inoltre l’approccio clinico permette sia di cogliere la varietà dei linguaggi, sia d’interpretare la costruzione dei linguaggi stessi: cosicchè il ricorso ad un linguaggio in sè manifestamente ideologico (o socialmente collocato) può coprire un funzionamento mentale di tipo difensivo, come è dimostrato bene dal caso di Klimis, oppure un linguaggio personalizzato (cioè centrato sul vissuto dell’individuo) non esclude un’influenza sociale più profonda, come accade nel caso di Stelios.

La ricerca clinica può dunque evidenziare i processi psicodinamici che sono sottesi  nel passaggio alla paternità e le differenti problematiche che essi creano: una problematica intrapersonale (caratterizzata soprattutto dalle identificazioni con le immagini genitoriali) ed una problematica interpersonale (caratterizzata principalmente dai rapporti instaurati nella coppia). Come abbiamo già detto, queste due problematiche si articolano spesso intorno a due poli: il processo di autonomizzazione dei giovani genitori dalla loro famiglia d’origine e la costruzione di uno spazio coniugale fra i due partner a livello reale, fantasmatico e simbolico. La risoluzione dei conflitti consci ed inconsci connessi con queste polarità rappresenta la condizione sine qua non della creazione di uno spazio paterno. La gestione dello spazio paterno comporta peraltro un riassestamento dei rapporti coniugali e mette di nuovo in gioco i rapporti intergenerazionali che favoriscono (o impediscono) al nuovo padre di (ri)definire il proprio posto nella rete di identificazioni personali, ed anche per soddisfare i bisogni narcisistici. Infine la strutturazione dello spazio paterno è un ottimo disvelatore delle influenze sociali poiché, anche se la dinamica di coppia si regge prevalentemente su meccanismi proiettivi ed identificatori, essa è pur tuttavia fortemente condizionata dai rapporti fra i due sessi, rapporti a loro volta regolati dal quadro sociale.

L’approccio clinico ci mostra anche come il meccanismo della identificazione costituisca uno dei fattori più importanti nella creazione dello spazio paterno, poiché contribuisce ad accelerare o ad frenare questo processo. Regolando la distanza esistente fra i due partner a livello dell’immaginario e del fantasmatico, questo meccanismo può diventare un punto nodale dell’accesso alla funzione paterna, poiché esso può rivestire i panni di una forte rivendicazione (cioè usurpazione) della qualità e delle funzioni materne (nel caso di una identificazione massiva, come, in certo qual modo, avviene nel caso di Stelios), oppure può permettere una gestione elastica dell’ambivalenza provata dall’uomo, così come della propria femminilità (nel caso di identificazioni più flessibili, così come avviene in Klimis). Tuttavia spesso questo meccanismo è intralciato dalla presenza di altri meccanismi difensivi, come ad esempio i meccanismi contro-fobici o la negazione, che sono all’origine dei comportamenti di evitamento o di fuga, di prese di posizione rigida, di esacerbate inquietudini rispetto all’integrità corporea del bambino, etc., come abbiamo ritrovato in altri casi nella nostra ricerca. La presenza di questi meccanismi restringe il campo relazionale fra  padre e bambino ed può trasformare eventualmente lo spazio paterno  in un terreno di malintesi fra i due partner.

L’approccio longitudinale  del passaggio alla paternità, da un punto di vista clinico, ci ha inoltre portato a constatare che l’analisi delle relazioni fra padre e figlio, nate nel corso del primo anno di vita, ci può dare delle informazioni  sulla problematica intra ed interpersonale del padre tali da permetterci di avanzare delle predizioni circa l’evoluzione di questa relazione. Questo approccio ci ha inoltre permesso di seguire l’evoluzione delle rappresentazioni e degli affetti  durante questo periodo critico che è quello che va da qualche mese prima a qualche mese dopo la nascita del bambino. Effettivamente l’evoluzione può essere apparente, ma in grado di appesantire la gravidanza di una problematica caratterizzata dalla riattivazione di conflitti irrisolti e ripetitivi, oppure può lasciar emergere un cambiamento più profondo, spingendo il soggetto ad abbracciare una nuova modalità relazionale per un uso costruttivo delle prospettive offerte dalla relazione con la partner e col bambino.

In altri termini l’analisi del discorso degli uomini che  diventano padri per la prima volta ci permette di venir a conoscenza di elementi che si rivelano importanti per conoscere i fondamenti della funzione paterna e la costituzione dell’identità genitoriale, ma che restano insufficienti per poter prevedere  le influenze più precise del comportamento paterno sul bambino. Tuttavia è molto probabile che l’esistenza di una certa coesione fra l’esperienza vissuta ed il sistema di rappresentazioni di un uomo, così come la ricchezza affettiva sentita nella relazione padre-bambino, costituiscono dei fattori molto positivi, che permettono ad un uomo di trovare uno sfogo ai propri conflitti relazionali e di mettere così a profitto l’esperienza della paternità.

(traduzione: L. Angelini)

 

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