Sistema educativo, sistema sanitario e problemi di ritardo nell’apprendimento

di Leonardo Angelini

Ci troviamo in società che regolano il loro avvenire e, studiandolo, lo pianificano in modi multiformi.
(P. Ricoeur)

 

1.Psicologia dello sviluppo: sistema educativo e scuola di fronte ai problemi di ritardo nell’apprendimento

 

Nell’accingersi ad affrontare i problemi di ritardo nell’apprendimento spesso si vede l’albero, ma non la foresta.

L’albero nel nostro caso è il ritardo nell’apprendere: in proposito esiste un enorme apparato per scandagliare, misurare, vivisezionare ogni manifestazione che attiene alla natura del ritardo stesso, nonché al funzionamento, visto in termini macchinici, del terminale intelligente preposto ad apprendere.

Il risultato è quello che è sotto gli occhi di tutti gli addetti ai lavori: la messa a punto, negli anni, di un insieme molto sofisticato di test, griglie, sistemi di misurazione estremamente precisi, che hanno in sè una indubbia efficacia descrittiva, che ci dicono cioè con approssimazione via via crescente in che cosa consiste il ritardo, come è possibile standardizzare gli scarti fra performance attese e risultati effettivamente ottenuti dai soggetti in età evolutiva osservati, etc.. Il tutto, però, sempre nell’ottica macchinica di cui sopra.

Una impostazione di questo genere, però, intanto, ci dà scarse indicazioni su ciò che accade dentro il discente, nel suo mondo interno allorché si accinge ad apprendere, e nessuna indicazione di ciò che accade dentro al suo docente, al suo riabilitatore, ai suoi genitori, nel loro mondo interno, allorché entrano in rapporto col discente e si rispecchiano, più o meno scientemente, più o meno favorevolmente in lui. In secondo luogo implica una oggettivazione del discente stesso, un metodo di approccio ai suoi problemi di apprendimento tutto incentrato sulla messa a punto, come dicevamo prima, di un insieme di carte, di test, di griglie che, nello stesso momento in cui con precisione crescente evidenziano il ritardo, finiscono con il trattare il soggetto in difficoltà come un oggetto privo di vita e di passioni. Ed alla oggettivazione del discente corrisponde, come vedremo meglio in seguito, una oggettivazione degli adulti che osservano in modo tale che anche loro, per questa strada, si ritrovano ad essere ridotti ad un universo depurato in cui non dovrebbe esistere nulla in più delle variabili previste (Angelini,198586).

Ma la cosa più importante che emerge dando solo un’occhiata alla pubblicistica sui problemi di ritardo nell’apprendimento è proprio la mancata attenzione alla foresta che invece incombe intorno a quell’albero, inglobandolo all’interno di un paesaggio che lo contiene, ma che non si esaurisce assolutamente in esso:

la posizione del docente, innanzitutto, le sue ragioni, le sue funzioni; quelle dei riabilitatori nel momento stesso in cui qualcuno pensa ad essi; quelle dei genitori, che sono preesistenti alle une e alle altre.

Ma anche, in generale, la funzione della scuola nel sistema educativo e del sistema educativo, più nel suo complesso, all’interno della società attuale.

 

Compito del presente lavoro è proprio questo: di estendere la nostra attenzione dall’albero alla foresta, dai problemi di ritardo nell’apprendimento al processo in base al quale l’insegnamento e l’apprendimento si intersecano su di uno scenario più grande che definisce dinamicamente entrambi, nonché la riabilitazione e le stesse immagini dell’infanzia (e quindi dello scolaro) che docenti, riabilitatori, famiglie e varie classi sociali hanno nelle concrete condizioni storiche in cui si trovano a vivere (Becchi, 1982).

Non un rovesciamento, quindi, ma un allargamento della prospettiva che ci permetta di comprendere meglio e di conprendere qualcosa in più rispetto agli elementi solitamente conpresi quando si parla di disturbi dell’apprendimento.

In questo primo capitolo concentreremo l’attenzione sulla funzione del sistema educativo nel suo complesso, nonché della scuola e dei servizi sanitari per l’infanzia nella società attuale, che è come dire – riprendendo la metafora iniziale – concentrare l’attenzione sulle funzioni della foresta nell’ecosistema più generale.

Il punto di partenza perciò sarà il sistema educativo.

Per sistema educativo qui si intende quel tessuto, fatto di pratiche educative, che comprende la scuola, ma non si esaurisce assolutamente in essa, e che si dirama all’interno di varie istituzioni, o in luoghi meno formali (Becchi, 1987), che hanno come fine più o meno esclusivo, più o meno marginale, più o meno autocosciente, quello dell’educazione, secondo procedure che sono inscritte all’interno delle singole tradizioni istituzionali e non, e che sono soggette a più o meno rapidi cambiamenti a seconda delle concrete condizioni storiche in cui concretamente operano i soggetti che a tali pratiche sono socialmente preposti (Angelini, 1995, pp. 231-246).

Il fine comune ad ogni scomparto del sistema educativo è, quindi, quello di e-ducare, cioè di portare fuori, di spostare il soggetto in età evolutiva da una posizione ad un’altra; per cui un soggetto che inizialmente è asociale, per mezzo di pratiche diverse, ma tutte concorrenti nell’e-ducare, diviene, mano a mano che il tempo passa e che l’azione educativa si dispiega, un essere sociale.

Questo processo in sociologia viene chiamato “socializzazione”, in antropologia “inculturazione”: intendendosi, nell’uno e nell’altro caso, l’insieme delle pratiche che ogni società storicamente usa perchè un soggetto diventi membro di una determinata società, di una determinata cultura.

Soggetto quindi che deve esser preparato a diventare forza-lavoro, e cioè soggetto che produce, e più precisamente forza-lavoro che in un modo o nell’altro si identifica con il modo di produrre della società in cui vive, e cioè che ha introiettato l’etica del lavoro prevalente in quella data società, nel momento storico in cui il soggetto è formato.

Nel paragrafo successivo vedremo più in dettaglio come la scuola forma l’individuo. Ora concentreremo la nostra attenzione sugli altri elementi del sistema educativo, cercando di evidenziare quelli che ci paiono i punti critici, presenti in ciascuno di essi, relativi all’apprendimento e all’insegnamento.

 

La famiglia: E’ stato ampiamente studiato (Mitscherlich) (Marcuse,1970) il problema dell’eclisse della figura paterna nella società contemporanea. Le connessioni fra questo fenomeno e quello parallelo della sempre più fievole introiezione degli elementi costitutivi dell’etica del lavoro sono stati analizzati soprattutto a partire da una analisi critica delle società capitalistiche d’impronta protestante (Max Weber,1965).

Nel nostro caso, quello della società emiliano-romagnola oggi, non esistono, a quanto mi risulti, analisi organiche sulle ragioni d’ordine sociale connesse con l’esplicarsi delle funzioni genitoriali. Ma, così come è certo che vi è stata nelle generazioni precedenti una sorta di etica padana del lavoro trasmessa da una generazione all’altra tramite una complessa rete di pratiche educative che in questa sede è impossibile riassumere, ma che sicuramente vedevano nella famiglia il proprio fulcro, allo stesso modo si può dire che oggi ci troviamo di fronte anche qui alla parte discendente di una parabola, per cui – come vedremo meglio quando parleremo della scuola – questa funzione deve essere assolta ancora oggi dalla famiglia, ma insieme ad altre “agenzie formative”, e segnatamente insieme alla scuola.

 

-Anche la nuova posizione della donna-madre nel mercato del lavoro e la corrispettiva crescita di importanza dell’educazione precoce – o precocissima – extra-familiare comporta l’emergere di nuove immagini della maternità e dell’infanzia, di nuove pratiche educative, di nuove attese e di nuovi problemi ed anche in questo caso manca un feed back sui risultati di quella particolare e blanda forma di maternage multiplo che va sotto il nome di cogestione educativa (Angelini,1995, pp. 195-212), ma è certo – anche in questo caso – che sono intervenute in questi 2030 anni modifiche non marginali sul piano delle attese di apprendimento in età precoce  (e quindi di immagine dell’infanzia) rispetto all’età precedente.

 

L’industrializzazione, la terziarizzazione, e le conseguenti trasformazioni del paesaggio urbano e rurale (che diventa paesaggio rurale urbanizzato) hanno fatto il resto (Rambaud): l’immagine dell’infanzia che ne deriva è sempre più legata ad un futuro che viene visto come strettamente connesso a questi fenomeni ed, in particolare, al consumo e non solo più alla produzione, dato che  una società che tende a coinvolgere nel consumo anche le classi subalterne ha bisogno che il cittadino di domani sia non solo un buon produttore, ma anche un buon consumatore.

La famiglia intuisce queste cose e si adatta in maniera più o meno critica.

 

– Infine il flusso migratorio porta in questo tessuto sempre più metropolitano un insieme di famiglie immigrate che comportano con la loro presenza nuovi problemi educativi: problemi che riguardano chi proviene da culture “altre”, che è sempre oscillante, sempre ambivalente nei confronti della prospettiva dell’integrazione, problemi in chi riceve che è altrettanto ambivalente, altrettanto oscillante nell’accoglienza.

Questo duplice, dilacerante dramma si gioca in maniera massiccia sulle spalle del bambino e dell’adolescente, figlio di immigrati che diventa spesso il polo sintomatico del problema.

 

Le istituzioni pre-scolari: abbiamo già detto della educazione policentrica precoce e delle attese delle famiglie rispetto ad essa. Ma con ciò abbiamo visto solo un lato del problema.

Vi è infatti tutto il versante della nuova funzione della docenza in età precoce che occorre vedere. L’educatrice di nido e di scuola per l’infanzia è infatti sottoposta  ad una contraddizione fra una funzione di “tata”, di vice-mamma, con tutti i rischi che derivano da questa posizione simmetrica rispetto a quella materna, ed una funzione di maestra, di esperta dei pre-apprendimenti, con i relativi problemi riguardo alle attese delle famiglie.

 

– Tali attese sono, soprattutto qui in Emilia, riconducibili al tema della uguaglianza dei punti di partenza in scuola elementare e quindi ad una  pedagogia del nido e della scuola per l’infanzia che si prefigge fini compensativi per contrastare l’azione selettiva svolta naturalmente dall’educazione familiare in base ai livelli di istruzione dei genitori, allo status sociale della famiglia, etc.

Si afferma qui da noi, soprattutto all’inizio dell’esperienza emiliana, quella mitologia dell’uguaglianza dei punti di partenza che, come afferma Offe, al di là della precocità e dell’efficacia più o meno grande delle tecniche compensative applicate, diventa una parte non secondaria nella definizione della ideologia della neutralità e della natura non classista della scuola e dello stato in generale (Offe). Ma oggi, alla mitologia dell’uguaglianza si tende sempre più a contrapporre, spesso acriticamente, una mitologia della performance (Frabboni) che da una parte contribuisce alla formazione di una moderna ideologia, di una moderna visione del mondo basata sull’achievement, dall’altra alla sottovalutazione dei problemi di natura compensativa e integrativa di cui soprattutto i figli degli immigrati sono portatori.

 

I gruppi di pari: anche i gruppi di pari svolgono una funzione educativa, accompagnano cioè l’individuo in formazione per tutto l’iter della sua crescita. Il primo elemento che emerge quando si osservano i gruppi nelle moderne società metropolitane è la prevalenza netta dei gruppi orizzontali, rispetto a quelli verticali.

I risultati derivanti da questo squilibrio andrebbero più attentamente studiati, ma è certo che sul piano degli apprendimenti la mancanza della dimensione verticale finisce con il privare il soggetto che cresce di punti di riferimento, di modelli con i quali confrontarsi, ai quali affidarsi, e nello stesso tempo finisce col privarlo della possibilità  che sia lui ad esercitare, a sua volta, una funzione tutoria nei confronti di chi è un po’ più giovane e più inesperto allorché la propria collocazione all’interno del gruppo glielo permetta.

Viene così implicitamente depresso lo spirito cooperativo ed esaltato quello competitivo: esattamente – lo vedremo meglio fra un attimo – come fa la scuola.

 

– Un’altra cosa che emerge quando oggi noi guardiamo ai gruppi di pari è la funzione-ponte che essi assumono in adolescenza: oggi infatti quelle cerimonie di passaggio all’età adulta che in società meno complesse si esauriscono nell’arco di poche ore o di pochi giorni si protraggono in una specie di rallenty per lunghi anni. In tutto questo periodo oggi l’adolescente è in uno stato di perenne sospensione fra un’età e un’altra (il periodo di margine, per usare un linguaggio etnologico, è lunghissimo). Ora è vero che è fondamentalmente la scuola il luogo labirintico in cui gli iniziandi perennemente vanno e vengono “in processione”, sorvegliati da un insieme di adulti “officianti”, ma è anche vero che il protrarsi così a lungo nel tempo del rito determina una solidarietà fra iniziandi, un linguaggio comune, una rete di comunicazione, un vero e proprio luogo liminare in cui per l’adulto, come dice Winnicott, è impossibile entrare: ebbene io ritengo che quel tempo, quelle cerimonie, quel luogo, ma anche quella consuetudine fra pari assumano un carattere formativo.

 

La formazione “on the job”: un altro luogo importante da un punto di vista educativo è la formazione sul lavoro. In una società in cui la tecnologia è in rapidissima evoluzione la scuola non può pretendere di esaurire in sé tutti gli aspetti dell’istruzione. Non lo può perchè, come vedremo meglio fra un pò, durante il tempo necessario alla formazione parte di quelle competenze che all’inizio del percorso formativo sembravano attuali, centrali, coerenti con i bisogni della produzione diventano obsoleti, periferici, superflui.

Da ciò l’esigenza, che è un’esigenza industriale, aziendale, della formazione “on the job”.

– Questo momento formativo così si definisce fin dall’inizio come un momento aziendale, una spesa, quindi, e non un servizio come invece è ancora la scuola pubblica: ciò implica l’emergere in primo piano di fini produttivi che sono un pò in contrasto con la vocazione scolastica di definirsi, come dice la parola stessa, come luogo di “non lavoro”, come luogo “gratuito” in cui la verifica sul campo della produttività è rimandata sempre ad un momento secondo, come in una scommessa.

Nella formazione sul lavoro non ci sono scommesse: la forza-lavoro in formazione alla fine deve essere adattata ai fini produttivi.

 

– Inoltre ormai le tecniche formative si sono così affinate nelle grandi aziende moderne da permettere alle aziende stesse di prevedere e pianificare non solo un lavoratore aggiornato, ma anche un soggetto che aderisce all’immagine dell’azienda, che si identifica in essa, nella sua griffe, nella sua religione: si pongono così le basi per una pianificazione aziendale di soggetti dall’identità alienata (Gualandri).

 

I mass-media :sono queste moderne agenzie formative che si prefiggono più scopertamente e coerentemente “l’interiorizzazione dell’arbitrario culturale imposto dalla classe dominante” del momento (Offe).

-La lontananza dei “formatori” dai “discenti” le rende molto autoritarie in quanto non vi è in esse alcuna possibilità di dialogo fra i due poli della formazione, alcuna possibilità di feed back, tranne quelle previste attraverso i sondaggi sugli indici di ascolto (che, fra l’altro, all’interno della loro logica produttiva, sono molto precise ed efficaci) (Wolf).

-Sul piano dei contenuti la funzione predominante dei mass-media mi pare nel fatto che essi promuovono un enorme fenomeno acculturativo, ingoiando ed espellendo o riciclando tradizioni particolari, locali, per lasciar spazio ad una cultura egemone che si apparenta con quell’idea di mondialità vista come villaggio globale, in cui però l’alterità viene come triturata  in un minestrone dal sapore melenso delle majors americane.

 

 

 

2. Psicologia dello sviluppo: Fine dell’apprendimento e funzione della scuola nella società attuale

 

L’apprendimento e il suo complemento, l’insegnamento, si pongono all’interno di un tempo e di uno spazio. Il tempo è quello della crescita. Lo spazio è quello storicamente offerto dal sistema educativo, in generale, e dalla scuola in particolare.

Abbiamo visto nel paragrafo precedente quelli che appaiono come i principali nodi problematici presenti nelle altre agenzie formative; cercheremo di vedere ora un po’ più da vicino cosa succede nella scuola, vista nella sua accezione più ampia, e cioè come pre-scuola, scuola dell’obbligo e del post-obbligo.

 

Fine dell’apprendimento e dell’insegnamento scolastico oggi è la formazione del soggetto in età evolutiva affinché domani possa entrare, in maniera discriminata, nel mercato del lavoro.

Analizziamo punto per punto quanto qui sopra scritto: dovrebbe venirne fuori una descrizione dei nodi problematici più articolata di quella fatta per le altre agenzie formative nel paragrafo precedente.

 

La formazione……

 

Abbiamo già parlato[1] dei fantasmi della formazione, dei personaggi interni della formazione che sono alla base, dentro ciascuno di noi, del desiderio di formare. In questa sede basti dire che è a partire da quel desiderio che l’azione educativa si pone.

 

– Cerchiamo di vedere, qui, invece con maggiore precisione il rapporto fra formazione ed auto-rappresentazione che di essa hanno i formatori. Diremo in proposito con Offe che è limitante (e al limite fuorviante) affrontare il sistema formativo scolastico a partire dall’immagine che di esso  hanno i suoi agenti. E ciò per tre ordini di ragioni: in primo luogo perchè una cosa è quello che il sistema scolastico dice di fare ed un’altra quello che in effetti fa (discrepanza fra obiettivi dichiarati ed obiettivi operativi);

-in secondo luogo perchè l’autonomia di cui gode la scuola rispetto al potere economico, la sua lontananza da esso, la pongono nella condizione di non poter decidere circa le proprie sorti, poiché non vi è modo, da parte dei suoi agenti, di influire sulla pianificazione e la allocazione delle risorse che le sono necessarie (discrepanza fra azione finalizzata e condizioni contestuali);

– infine poiché una buona parte degli aspetti formativi che passano nel rapporto educativo non è corrispondente a quei contenuti che esplicitamente i programmi scolastici prevedono (discrepanza fra funzioni manifeste e funzioni latenti della scuola).

 

– Perciò sarebbe fuorviante o perlomeno limitante, quando si analizza la formazione, partire dalla autorappresentazione dei formatori. Occorre invece innanzitutto partire da una analisi degli obiettivi reali che la scuola si pone nel momento della pratica pedagogica. Ciò è possibile se chi analizza la formazione compie una osservazione sistematica della formazione stessa.

Ad esempio nel cercare di comprendere gli obiettivi reali che un docente, o un gruppo di docenti persegue rispetto ad un bambino con difficoltà di apprendimento, sarebbe limitante, e a volte fuorviante, ridursi all’analisi della programmazione individualizzata da essi messa per iscritto. Occorre una osservazione sistematica della pratica quotidiana per comprendere: la stessa cosa, è ovvio, vale anche per quel che concretamente si fa nei vari scomparti del sistema sanitario (Psicologia, Psichiatria Infantile, Neurologia, etc.).

 

– Dato però il fatto che – come si diceva prima – l’oggetto dell’osservazione è costituito dall’insieme delle funzioni manifeste e latenti della scuola (e del sistema sanitario) ne discende una importante considerazione di metodo: l’osservazione (e l’auto-osservazione) nel nostro caso non potrà che essere di tipo interpretativo (Borgogno, Lai). Gran parte delle cose che diremo nel presente lavoro sono figlie di questo tipo di analisi del processo formativo: il fatto stesso che nel titolo si parli di “figure della formazione” vuol significare che determinati problemi, quelli psicologici, anche in questo caso si presentano attraverso il sintomo, che allo stesso modo cela e presentifica la parte sommersa dell’iceberg, presentandocela sotto forma di “figure” che occorre interpretare, e cioè ricondurre ai problemi sottostanti perchè altrimenti ci appariranno sempre più come sfingee e ci spingeranno a dare risposte o liquidatorie, o stereotipate, o, ancora, esse stesse sintomatiche.

 

– Infine non è secondario cercare di comprendere in base a quali criteri lo stato gestisce il problema della spesa destinata alla scuola.

Per fare un esempio classico è noto come l’istituzione della scuola media unica, avvenuta alla metà degli anni ‘60 possa essere riconducibile ai problemi congiunturali del boom economico (Crainz) che la società italiana stava affrontando in quegli anni. Sarebbe opportuno oggi, di fronte ormai alla prospettiva concreta dell’elevamento dell’obbligo a 16 anni, cercare di comprendere quali nodi congiunturali attuali spingono lo stato verso questa deliberazione.

 

…del soggetto…

 

Si tratta cioè di un soggetto e non di un oggetto, anzi si tratta di un rapporto fra più soggetti: il discente, i suoi pari, i docenti, i riabilitatori, le famiglie.

Ognuno di questi soggetti ha lo spessore che gli deriva dalla propria individualità, individualità che a sua volta non è riconducibile a nessuno degli altri soggetti, anche nelle situazioni in cui l’asimmetria dei poteri è più netta e cioè con i bambini piccoli e con i disabili.

 

– Qualsiasi tendenza oggettivante quindi implica una riduzione che è sempre doppia, che si esercita cioè non solo sul discente, ma anche sull’adulto che lo oggettiva.

Trattare uomini come fossero oggetti, non dimentichiamolo, secondo Goffman, è il fine primario che lo staff persegue nelle istituzioni totali (Goffman, 1968): ancora una volta l’invito è quindi a guardare la trave che è nel proprio occhio, prima di vedere la pagliuzza che è nell’occhio dell’altro. La tendenza a ridurre la propria prassi istituzionale a quella tipica delle istituzioni totali è sempre dietro l’angolo, anche nelle nostre classi, anche nei nostri ambulatori.

 

-Da ciò una critica  agli approcci scientisti, sia quando essi emergono all’interno delle discipline pedagogiche, sia (come vedremo meglio nel terzo paragrafo) allorché siano, più o meno esplicitamente, presenti nella psicologia e nella neuropsichiatria. La nostra, quindi non sarà una analisi di oggetti, ma di relazioni: ciò implica anche la necessità, sia per gli educatori, che per i riabilitatori, di integrare il registro diagnostico con quello dialogico e riabilitativo, il sapere razionale con quello ermeneutico ed interpretativo (Napolitani,1987).

Se il soggetto per il diagnosta, per lo psicometrista, per il tecnico dei “curricola” è un oggetto inerte da studiare freddamente, per l’educatore e per il riabilitatore è un soggetto libidico pieno di passioni con il quale con altrettanta passione è opportuno dialogare.

 

– Anche gli approcci economicisti sono messi in crisi dalla consistenza di questo rapporto. Infatti, se è importante fare sempre una indagine sui problemi economici che sono al fondo delle varie politiche scolastiche, è altrettanto importante esser coscienti del fatto che non si può limitare il problema a questo suo aspetto particolare.

Come dice Egle Becchi, in polemica con l’approccio strutturalista di Althusser, a ben vedere “la scuola risulta come un’agenzia assai meno monolitica” di come una interpretazione economicistica tende a vederla,” poichè al suo interno la riproduzione sociale si realizza in modo variegato…e si dimostra capace di veicolare ideologie plurime, talora molto distanti pur nella loro contemporaneità” (Becchi,1987).

 

…in eta’ evolutiva…

 

Il soggetto è un soggetto in evoluzione. Vi è nel termine “evolutivo” un aspetto “radicale” che merita la nostra attenzione. Quella radice, quel fulcro “volvere”, volgere,  ci riporta nel pieno dell’atto e-ducativo, laddove si evidenzia la violenza dell’atto stesso che è un atto che impone al bambino un passaggio dalla natura alla cultura, dalla ferinità alla civiltà, un atto di inculturazione, di socializzazione.

Ebbene l’atto del “volgere” può essere modulato in vari modi:

 

-Vi può essere appunto una e-voluzione, cioè una gradualità nel passaggio, che però non ci esime dal conoscere e trattare i problemi “di fase” che il soggetto deve affrontare e risolvere lungo questo terreno di crescita e di passaggio da un’età ad un’altra.

 

– Nonostante tutte le circospezioni a volte, però, i nodi critici implicano degli sconvolgimenti, delle vere e proprie catastrofi che mettono a dura prova l’identità personale del soggetto in età evolutiva (Erikson: rimanere se stessi nel cambiamento).

– Il soggetto, di fronte alle difficoltà, può in-volvere, rifugiarsi della regressione, bloccarsi, far fatica a tenere il passo.

– Oppure può sentire il bisogno di essere co-in-volto o non essere co-in-volto, di rimanere solo, di fermarsi, di ri-volgersi su se stesso (è il dibattersi nella bonaccia di cui parla Winnicott a proposito dell’adolescente, ad esempio) (Winnicott,1968).

– Ma l’azione dell’adulto, il suo desiderio, direbbero i francesi[2]  si esplica e tende per lo meno a co-in-volgere il bambino, cioè ad attrarlo verso un obiettivo da perseguire insieme, e, possibilmente, insieme al resto della classe, o della sezione.

– Può, se la sua passione è più forte, av-volgerlo , o av-vincerlo per condurlo all’interno della trama del suo racconto (come vedremo meglio in seguito, quando parleremo del buon raccontatore e della sua udienza).

– Può, se il suo fare è captatorio, intrusivo, irrispettoso dell’individualità, della soggettività del discente, stra-volgere il discente stesso.

– eccetera.

 

…affinche’ domani…

 

Domani vi è quindi un investimento a lungo termine su questo soggetto che evolve.

“Ma quando arriva questo domani che già ha gli anni di Nestore o di Priamo!”, diceva Marziale a proposito di un certo Postumo, che rimandava tutto e sempre al domani: ed a ben vedere, anche nel nostro caso il domani tende sempre più ad avere gli anni di Nestore o di Priamo. E’ un domani dalla barba bianca quello che il soggetto in età evolutiva si dispone ad attendere allorchè entra a scuola e nulla lo garantisce del fatto che il domani si con-formi al tipo di preparazione, di formazione che oggi egli va acquisendo a scuola.

 

-Il rischio è quindi di una obsolescenza della forza-lavoro rispetto alle esigenze produttive, rispetto  ai cambiamenti imposti dal progesso tecnologico (Offe) obsolescenza paradossalmente precoce, che rischia di consumasi prima ancora che il soggetto in formazione si affacci; sul mercato del lavoro: il rischio è quindi che gli investimenti fatti dallo stato nel campo della riproduzione di forza-lavoro disponibile vadano sprecati  “a priori”.

 

-E’ per rispondere adeguatamente a questi problemi che è nata l’economia dell’educazione (Offe) che si propone di ridurre l’ampiezza di questi rischi ricorrendo essenzialmente a due meccanismi equilibratori: il primo è la pianificazione scolastica, che oggi tende a ridurre lo scarto fra obiettivi attuali ed esigenze imprevedibili del futuro mediante una sorta di iper-formazione che consiste in una preparazione del soggetto in età evolutiva non tanto sulle possibili tecnologie del futuro, ma sulle possibilità di adattamento flessibile della futura forza-lavoro a qualsiasi cambiamento; la seconda strategia è quella della formazione on the job di cui abbiamo già parlato.

 

…possa entrare nel mondo del lavoro…

 

Quindi vi è una domanda di forza lavoro, legata ai mutamenti tecnologici, alla quale corrisponde una offerta di forza-lavoro, che le varie agenzie formative, e la scuola in particolare tentano di adattare ai mutamenti presenti. Ciò implicherebbe, a fronte di una rapidissima trasformazione delle tecnologie, quale quella che sta avvenendo sempre più oggi nel mondo occidentale, un crescente aumento del tempo occorrente per formare una forza-lavoro che sia adeguata alle trasformazioni della domanda. In effetti però questa che, a grandi linee, è una verità incontrovertibile, in certe intercapedini della produzione diventa un elemento problematico: dal lato della domanda di lavoro infatti può accadere che la domanda stessa cambi , ma per occupare forza-lavoro più qualificata allo stesso livello di prima- e non ad un livello superiore (Offe). Non è sempre vero, cioè, che la qualificazione comporti una maggiore “agilità” di colui che ne è possessore nel fare il salto in su sul piano della mobilità verticale.

 

-Così come può accadere che la forza-lavoro impiegata nella meta-produzione (produzione di macchinari, di tecnologia) con il suo lavoro spinga il resto della forza-lavoro (o parte del resto della forza-lavoro ) verso la dequalificazione (è quello che è accaduto con l’introduzione del taylorismo).

 

-Dal lato dell’offerta di lavoro spesso accade che le condizioni dell’offerta determinano la domanda e spingano i datori di lavoro a selezionare in base a criteri “artificiali”, che nulla hanno a che fare con le esigenze produttive.

C’è un caso,citato da A.Gorz [3].

 

-Ma cosa chiede allora realmente il datore di lavoro alla formazione? In proposito le analisi di Sorokin sulla scuola americana degli anni ‘40, quella di Gintis sulla scuola degli anni ‘60 (Bowles e Gintis) e quelle più recenti di cui parla la Pontecorvo sono concordi nel sottolineare la centralità negli apprendimenti della introiezione dell’istanza dell’adattamento.

Gintis elenca quelli che sono i punti di coerenza fra obiettivi manifesti o latenti della scuola e richieste del mercato del lavoro. Entrambi gli ambiti si basano: su rapporti di potere gerarchici; sul principio dell’economia di tempo; sul mantenimento dell’ordine disciplinare formale; sulla esaltazione della competizione; sulla valutazione individuale; sull’ostacolare le attività cooperative; su sanzioni positive di tipo estrinseco (non basate cioè sull’attività in sé, ma sul suo valore di scambio); sull’utilizzo di sanzioni negative basate sulla perdita del proprio status sociale e sull’esclusione dai gruppi di appartenenza informali;

 

– Infine una richiesta che ormai viene rivolta sempre più insistentemente alla scuola è quella di integrare o di sussidiare la famiglia in quell’opera di educazione alla introiezione dell’etica del lavoro dominante che fino a qualche tempo fa veniva svolta prevalentemente in casa e che marcatamente vedeva la figura paterna come tramite più o meno critico fra una generazione e l’altra dei principi che informavano dinamicamente le varie etiche del lavoro (Marcuse,1970). Occorre dire, però, che su questo piano la figura del docente ha sempre una possibilità di porsi in maniera critica, dialettica nei confronti della morale dominante (“le ideologie plurime” di cui parla Egle Becchi): possibilità sancita dal concetto di libertà di insegnamento, ma in concreto connessa all’essere complessivo del docente che, cosciente o no, entra in gioco con il discente e lo (in-)segna di sé. Ciò determina una dialettica nuova fra scuola e famiglia contemporanea che, a mio avviso, non è stata ancora attentamente analizzata.

 

…in maniera discriminata…

 

Entriamo qui nel campo della funzione selettiva della scuola, che contrasta innanzitutto con “l’ideologia dell’uguaglianza dei punti di partenza, che lo stato ha interesse a propagare per accreditare la propria immagine di entità neutrale nei conflitti di classe” (Offe).

Tutti i provvedimenti di tipo compensativo, tutte le politiche scolastiche che vanno in questa direzione hanno questa preoccupazione alle spalle. Al contrario di quanto sembra affermare Offe però, a mio avviso, c’è compensazione e compensazione: ad esempio l’azione compensativa svolta dai Nidi e dalle Scuole per l’Infanzia qui in Emilia e Romagna produce, o almeno ha prodotto in passato un reale avvicinamento dei punti di partenza.

 

-In effetti però le cose che “fanno selezione” in campo scolastico, come già sappiamo (Parisi D., Tonucci, F.), sono innanzitutto il livello culturale dei genitori, ed in particolare della madre, le condizioni economiche della famiglia, e le condizioni in generale in cui è avvenuta la socializzazione precoce.

 

-Su questa base già discriminata, al di là dei miti di uguaglianza dei punti di partenza, poi agisce la selezione scolastica, che è sempre una doppia selezione: di censo e meritocratica.

Vi è un discrimine temporale fra i due tipi di selezione che la scuola storicamente ha fatto nelle società industriali, un discrimine fra una situazione di “ieri” ed una di “oggi”: la società odierna è più aperta ad una mobilità verticale, o almeno alla speranza di una mobilità verticale, il che è un forte fattore di integrazione sociale.

 

-Della coerenza fra selezione scolastica ed esigenze del mercato del lavoro abbiamo detto (vedi soprattutto le considerazioni di Gintis).

Della mancata coerenza fra fini formativi attuali ed esigenze del mercato nel momento in cui la forza-lavoro che si va formando oggi dovrà entrarvi, cioè dei rischi di obsolescenza della forza-lavoro abbiamo detto quando abbiamo parlato del domani (“del doman non v’ha certezza”).

 

-Resta da vedere, a mo’ di conclusione, cos’è che seleziona “de facto” il docente?

Da quanto fin qui detto non va sottovalutato il fatto che, a fianco e in certo qual modo “dentro” la selezione fatta sulle materie, sull’insieme cioè delle competenze specifiche, specialistiche, c’è una seconda, o forse addirittura una prima selezione che il docente fa ed è quella che avviene in base all’adesione del discente all’adattamento, in base alla introiezione da parte dello scolaro di quell’insieme di regole di condotta che fanno la scuola così simile, sotto certi versi, al mondo del lavoro: è questo il vero e proprio apprendistato cui il discente deve sottoporsi perchè domani risulti adatto al lavoro.

 

-Un ultimo punto sulla qualificazione permanente, sui progetti di riqualificazione e sul loro rapporto con la selezione. Offe afferma che queste azioni educative hanno un indubbio significato consolatorio: danno infatti l’impressione ai soggetti coinvolti di poter cambiare status, nonostante nel frattempo la selezione abbia già operato più o meno apertamente,con più o meno violenza.

 

 

 

3. Psicologia dello sviluppo: Il sistema sanitario e i learning diseases

 

Il sistema sanitario italiano definisce al proprio interno alcuni scomparti specifici cui viene delegata la cura dei “learning diseases”.

All’interno di questi scomparti un’insieme di professionisti (neuropsichiatri, psicologi, riabilitatori vari) formatisi all’interno di diverse discipline, hanno definito nel tempo varie tradizioni in base alle quali la cura dei problemi di apprendimento si esplica e si aggiorna.

La NPI italiana come specialità si interessa di vari ordini di problemi: la psichiatria del bambino, la neurologia dell’età evolutiva, la neurolinguistica.

Per rendere l’idea di quanto specifica sia questa tradizione italiana si consideri che in Francia, sullo stesso campo di intervento sono previste tre specialità. Ciò non è avvenuto in Italia dove si son voluti unificare i tre ambiti di intervento specialistico in un unico campo, che perciò è diventato molto vasto.

In generale una estensione così marcata dell’area specialistica finisce con il creare tutta una serie di problemi. In questo modo il Npi [4] finisce di fatto con il privilegiare solo qualche aspetto del proprio ambito di intervento a scapito degli altri.

Però il problema fino a questo punto non è grande e, semmai, è legato alla capacità del singolo specialista di controllare o meno le proprie parti interne megalomaniche.

 

Il problema diventa più serio e comprende anche lo psicologo e i riabilitatori dell’età evolutiva qualora si consideri come discrimine non solo l’ampiezza del proprio campo di intervento, ma anche il tipo di retroterra scientifico cui i vari professionisti fanno riferimento.

Infatti non solo la NPI, ma anche la psicologia e la riabilitazione sono attraversate da una contraddizione di fondo fra due categorie del sapere: da una parte la categoria del sapere così come inteso nello statuto delle scienze esatte, dall’altra il sapere che nasce dallo scambio, dalla partecipazione emotiva.

Come si diceva più sopra abbiamo così da una parte un sapere essenzialmente diagnostico, dall’altra un sapere dialogico.

Il primo è figlio del sapere razionale ed implica la oggettivazione di colui che è trattato; il secondo si gioca sul terreno dell’identificazione, ed ha come retroterra l’ermeneutica, ovvero l’arte dell’interpretazione.

Sbaglierebbe di grosso però chi pensasse che solo il primo di questi approcci ha una “dignità” scientifica. Infatti è solo una pre-tesa quella di chi arbitrariamente definisce come “scientifico” solo il proprio approccio, bocciando gli altri che a quell’approccio non si riferiscono [5].

E’ proprio a partire da questo irrigidimento, da questo  atteggiamento “fondamentalista” che nasce lo scientismo con tutte le conseguenze e gli equivoci che, sul piano pratico, e non solo teoretico, poi ci portiamo dietro nei luoghi concreti del nostro operare.

Ciò per dire che quello che abbiamo chiamato sapere dialogico ha anch’esso una propria scienza, un proprio criterio di conoscenza, una propria epistemologia che attraversa ogni aspetto teoretico e pratico dei propri statuti.

Finora i learning desaises sono stati affrontati prevalentemente sul versante del sapere diagnostico.

Ciò è vero per la NPI che ha concentrato la sua attenzione sui problemi neurologici, neurolinguistici, etc.; ma è vero anche per la psicologia: vedi la prevalenza che all’interno di questa disciplina ha avuto l’approccio cognitivista ai problemi dell’apprendimento; cognitivismo che ha, come tutti noi sappiamo, una grande bocca per descrivere, anche con estrema precisione, la natura del problema cognitivo, ma una piccola bocca sia per dare indicazioni di natura riabilitativa, sia soprattutto per capire ciò che accade dentro al discente in difficoltà sul piano degli investimenti affettivi, delle passioni nei confronti della materia, dei docenti, nonché dentro i docenti, i riabilitatori, e prima ancora, dentro le famiglie.

I vantaggi che sono derivati da queste prospettive sono quelli della chiarezza e dell’efficacia descrittiva (ma, come diceva Maccaccàro, a volte la diagnosi non è altro che una maniera più pomposa -e sostanzialmente tautologica- di dire quello che altrimenti è stato già intuito), nonché il passaggio da una conoscenza sensibile ad una più razionale dei problemi. E certamente il passaggio da una conoscenza  intuitiva dei problemi, ad una conoscenza più razionale degli stessi è un passo avanti importante, ma rimane il fatto che nel nostro caso, quello degli apprendimenti, la conoscenza razionale diventa una conoscenza monca, che si limita a inquadrare solo un aspetto del problema, poiché il paio di lenti inforcate per osservarlo, quello oggettivante, non permette neanche di vedere ciò che invece si vedrebbe, e bene, se si inforcasse l’altro paio di occhiali, quello “interpretativo”, “ermeneutico”, “relazionale”.

E’ giunta l’ora di fare questo passo.

Bibliografia

  1. Angelini L., Test, griglie, misurazioni: testomania, voyeurismo dell’esattezza, Pollicino, N.3, Aut.Inv. 198586, pp.47-60
  2. Angelini L., Il bambino piccolo nel gruppo di pari, in: Angelini L., Bertani D., Il bambino che è in noi, op. cit., 1995, pp.195-212
  3. Angelini L., L’osservazione del bambino in ambito educativo e psicoterapeutico,  in: Angelini L., Bertani D., Il bambino che è in noi, UNICOPLI, Milano 1995, pp231-246
  4. Becchi E., Retorica d’infanzia, Aut aut, N.1991-192, pp.1982, pp.3-26
  5. Becchi E., Introduzione, in: Becchi E. (a cura di), Storia dell’educazione, La Nuova Italia, Firenze 1987, pp. 1-34
  6. Bowles S., Gintis H., L’istruzione nel capitalismo maturo, Zanichelli, Bologna, 1979
  7. Crainz G., Storia del miracolo economico italiano – Culture, identità, trasformazioni fra gli anni 50 e gli anni 60, Donzelli, Roma, 1996
  8. Frabboni F., “Costruiamo insieme il curricolo didattico” in Infanzia, n. 34, Aprile – Maggio 1979.
  9. Goffman E., Asylums, Einaudi, 1968
  10. Gualandri E., Processi psichici e processi sociali, in Psicoterapia e scienze umane, N.2, 1982, pp.67-108
  11. Marcuse H., L’autorità e la famiglia, Einaudi, Torino 1970
  12. Mitscherlich A., Verso una società senza padre, Feltrinelli, Milano 1970
  13. Offe C., Lo stato del capitalismo maturo (in particolare : “Sistema educativo, sistema occupazionale e politica dell’educazione. Per una definizione della funzione sociale complessiva del sistema educativo”), Etas Libri,  Milano 1977
  14. Napolitani D., Individualità e gruppalità, Boringhieri, Torino, 1987
  15. Parisi D., Tonucci F. Tre studi sulle capacità  linguistiche all’inizio della carriera scolastica in funzione della classe sociale, in: Renzi R., Cortellazzi M., La lingua italiana oggi: un problema scolastico e sociale, Il Mulino, Bologna, 1977, pp.235-246
  16. Weber M., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze 1965
  17. Wolf  M., Gli effetti sociali dei media, Bompiani, Milano, 1992
  18. Winnicott D. W., Adolescenza: il dibattersi nella bonaccia, in Winnicott D. W., La famiglia e lo sviluppo dell’individuo, Armando, Roma, 1968

 


[1] Cfr. cap.1 del testo “Affabulazione e formazione” di L. Angelini, Unicopli, Milano

[2] cfr  E.Becchi,1981

[3](cit.in: Offe), emblematico in proposito, è il caso di un tecnico che conosceva il calcolo differenziale, al contrario dei suoi operai, e che per questo era stato assunto in quella posizione, anche se questa conoscenza non era affatto necessaria per svolgere il compito che a quel gruppo era stato affidato.

[4] Anche lo psicologo, qualora l’istituzione all’interno della quale lavora non abbia previsto alcun ambito specialistico circoscritto (psicologo dell’età evolutiva, della sessualità e della coppia, del SERT, degli adulti, etc.), corre rischi identici a quelli del NPI.

[5] Per un tentativo di inquadramento del problema, visto soprattutto sul piano dell’osservazione, cfr. Angelini L., 1995a.