Le Unità Operative di Psicologia Clinica e l’accreditamento – alcune note critiche

           di Leonardo Angelini e Deliana Bertani

[Intervento ad un convegno degli psicologi sull’accreditamento, a Riva del Garda]

 

Riva del Garda, 3.5.02

[già apparso sul testo: “Quando saremo a Reggio Emilia”, Psiconline, 2014, pp.131\134]

 

  1. Le necessarie operazioni che vanno conducendo anche le UOPC verso accreditamento – e che anche a Reggio ci vedono molto attenti a rispondere in maniera accurata alle domande che in sede aziendale e regionale ci stanno ponendo – non ci possono impedire di riflettere sul significato dell’accreditamento.
  2. L’accreditamento a noi appare come un aspetto dell’aziendalizzazione delle UUSSLL. Ebbene il processo di aziendalizzazione, nella sanità (così come in tutti i mestieri della cura legati la welfare), rappresenta un elemento di rottura con una impostazione storica che definiva il welfare sul versante della spesa e non dell’entrata, e cioè come un insieme di prestazioni lavorative che apparivano agli occhi della comunità come un insieme di lavori necessari, ma improduttivi. Il loro spostamento sul versante della spesa, li ridefinisce come lavoro produttivo, che persegue fini di bilancio (non osiamo dire di profitto), e perciò si discosta dall’ambito originario di definizione del welfare.
  3. Non siamo così onnipotenti da pensare di potere fare a meno di sottoporci alle procedure di accreditamento, ma pensiamo che accingerci ad accreditare le nostre prestazioni non ci obblighi ad essere passivi nei confronti dell’accreditamento. Anzi pensiamo che assumere un atteggiamento critico nei confronti dell’accreditamento permetta di mantenere aperto un campo di tensione utile nel presente, ma soprattutto per il futuro: nel presente per non fare dell’accreditamento l’ennesimo feticcio, per il futuro per consegnare ai colleghi delle generazioni che verranno un’immagine dei servizi psicologici e psichiatrici più legati alla tradizione del welfare, o meglio che coniughi in maniera più dialettica il nuovo con il vecchio.
  4. Infatti una delle prime critiche che verrebbe da fare all’accreditamento è proprio nel definire una situazione di rischio nel legame fra tradizione ed innovazione: rischio consistente nel non vedere i nessi, le linee di continuità che ci sono (e che non potrebbero non esserci) fra vecchio e nuovo.
  5. Il secondo elemento di rischio è nel non prendere in sufficiente considerazione il fatto che il nostro lavoro diventa molto diverso, fino a rischiare di cambiare di segno allorché passa dall’ambito del “lavoro improduttivo, ma necessario”, a quello del “lavoro produttivo”. Allorché si passa dall’ambito del servizio a quello della produzione, dal terziario al secondario, dall’ottica centrata sul paziente a quella centrata sul pareggio del bilancio.
  6. Questa virata aziendalistica, in effetti, ci sta già conducendo ad uno spostamento di 180 gradi che traspare già dall’affanno con cui lo psicologo viene usato dall’amministrazione in ogni ambito di novità che si profili all’orizzonte, senza tenere presenti né un ambito di priorità cliniche basate su una evidenza epidemiologica, né un ambito di priorità strategiche basate su scelte di tipo ‘politico’. In questo modo, tagliando i tempi magari su settori importantissimi (pensiamo a ciò che sta succedendo nei rapporti con la scuola per gli psicologi dell’età evolutiva), e a parità di organico gli psicologi sono spostati di qua e di là a seconda delle priorità del budget.
  7. Allo stesso modo, in base ad un rovesciamento del principio di sussidiarietà (vedi legge 285), si sta operando nel riallocare una parte delle risorse nel privato, indebolendo in maniera pesantissima le ragioni universalistiche che erano alla base del welfare, per cui oggi ormai anche in ambito psicologico e psichiatrico può accadere che ad uno stesso bisogno ed in uno stesso territorio si risponda in maniera diversa ai pazienti, con costi diversi per la comunità e per le famiglie, e soprattutto con una connotazione clinica che è condannata ad essere a rimorchio dei problemi, a non governarli, ma a subirli: altro pericolosissimo momento di discontinuità, almeno qui in Emilia, e cioè in un luogo in cui il dato della programmazione, della previsione dei problemi, che solo ‘il pubblico non aziendalistico ‘ può dare, fino a poco tempo fa era all’ordine del giorno dei servizi. Non per niente di questo sforzo, di queste pratiche, dei modi di evidenziarle e pesarle, nei profili di accreditamento non vi è traccia.
  8. Infine una cosa che ha detto recentemente Pier Francesco Galli ci preme riprendere e riproporre ai colleghi. Affermava Galli in una recente intervista dei pericoli insiti in un settore come la psichiatria nell’emergere di una ‘doppia leadership ‘: la prima   “che si muove per piani esclusivamente burocratico-amministrativi, completamente sganciata dalla linea operativa, che è assegnata alla seconda, .. dei dirigenti di primo livello, che rimangono ancora sul campo ad operare e che assieme al proprio personale devono  prendere delle decisioni nella quotidianità e che su questa base non hanno più nessuna identificazione  con quegli stessi colleghi che si muovono nei livelli burocratico-amministrativi del sistema”.. “il punto critico” – continua Galli – “ è rappresentato dal fenomeno della penetrazione dei linguaggi ‘non psichiatrici’ nell’ambito della psichiatria stessa: vent’anni fa  era quello politico, oggi è quello burocratico-aziendale.  È sempre lo stesso fenomeno”. Ebbene noi pensiamo che una intersecazione fra questi due saperi e queste due competenze, una più manageriale, l’altra più clinica, vada salvaguardata allorché ci si accinge ad accreditarsi, altrimenti il rischio è lo scollamento diventi una frattura sempre più profonda, con conseguenze non secondarie, pensiamo, non solo sui linguaggi della psichiatria e della psicologia, ma anche sulle pratiche che di quei linguaggi e di quei saperi sono figlie.
  9. In pratica noi – nel definire i nostri protocolli di accreditamento – stiamo facendo di tutto: a. affinché risulti l’importanza del lavoro di rete, cioè di tutti quei lavori, difficilmente pesabili, ma pure importantissimi che rischiano di essere abbandonati in un’ottica aziendalistica; b. affinché rimangano tracce (luoghi – spazi – tempi istituzionali) sotto questo nuovo vestito aziendalistico, del lavoro di riflessione sulla individuazione delle priorità epidemiologiche e delle strategie adeguate in un’ottica di prevenzione, di intervento precoce; etc. – insomma ce la stiamo mettendo tutta per legare vecchio al nuovo, senza eccessivi timori verso il nuovo e senza eccessive nostalgie verso il vecchio, convinti però che questo nuovo, come dice Galli, se non si lega al vecchio rischia di spostare l’asse del nostro lavoro verso lidi che con la cura ed il paziente hanno sempre meno da spartire. Questa accentuazione critica nei confronti dell’accreditamento e dell’aziendalizzazione sia consentita a due anziani rappresentanti della psicologia dell’età evolutiva.