La genitorialità come fase dello sviluppo (1959)

La genitorialità come fase dello sviluppo (1959)[1]

(Un contributo alla teoria della libido)

di Therese Benedek

La teoria della libido implica che l’integrazione delle mete sessuali, dalle loro origini pregenitali al primato genitale, è il processo dal quale trae origine l’organizzazione della personalità.

L’impatto con i cambiamenti fisiologici della pubertà mette in moto i processi di integrazione attraverso i quali l’adolescente si dirige ver­so la maturità. La maturità include, accanto alla spinta fisiologica verso la procrea­zione,anche la capacità individuale di trarre piacere dai propri biso­gni sessuali nell’ambito di realtà offerto dalla propria cultura. E’ a partire da questo livello di maturità che sono messe in moto le motivazioni per la successiva fase di sviluppo che è costituita dalla genitorialità[2].

Poiché è stato ipotizzato che l’individuo raggiunge durante l’adolescen­za la meta dell’integrazione della personalità, la teoria genetica non include i processi psicodinamici connessi con la riproduzione e con la genitorialità come spinte motivazionali per un ulteriore sviluppo. Lo scopo di questo scritto è dimostrare che lo sviluppo della personali­tà continua oltre l’adolescenza, sotto l’influenza della fisiologia del­la riproduzione e che per diventare genitori si utilizza lo stesso processo primario che opera dall’infanzia sulla crescita mentale e sullo sviluppo.

 

I

Quando la nascita interrompe l’esistenza intrauterina, il neonato non si e ancora sviluppato mentalmente fino al punto di essere consapevole della separazione. Dopo che la respirazione si è stabilizzata, la fame è il primo indicato­re dell’essere separato ed è anche lo stimolo per superare la separazione. Lo stato di sazietà e la susseguente ripresa del sonno o di uno stato simile al sonno significa per il bambino che la separazione è stata tem­poraneamente superata.

Occorrono parecchie settimane di sviluppo postnatale[3] con molte ripetizioni di bisogni esperiti come tali e seguiti dalla gratificazio­ne, prima che il neonato percepisca che la fonte dei suoi bisogni, asso­ciati con la fame, la paura ed il disagio, è dentro di sé e che la fonte della gratificazione è fuori di sé. E’ allora che la separazione in senso psicologico comincia ad esistere per il neonato.

Introducendo il concetto di narcisismo Freud (i) sottolinea una fase indifferenziata dello sviluppo istintuale nella quale il soggetto (l’in­fante pieno di bisogni) e l’oggetto (la madre che soddisfa i bisogni) rappresentano insieme la fonte di energia che comincia ad essere imma­gazzinata nel neonato. Egli chiama questo stato di cose “narcisismo primario” (n). In una precedente pubblicazione io chiamo questo “stato di narcisismo primario” come simbiosi, unità primaria della madre e del bambino (b).

Questa denominazione è basata sul concetto che i processi fisiologici e psicodinamici di gravidanza ed allattamento determinano nella madre una spinta organizzativa verso la maternità e verso le attività proprie della maternità.

L’oggetto di questa spinta è il bambino. Il bisogno che il neonato ha della madre è assoluto mentre quello che la madre ha del bambino è rela­tivo. Di conseguenza la partecipazione alle spinte primarie che deter­minano lo stato simbiotico ha “significati” diversi per la madre e per il bambino.  Nei processi simbiotici inoltre la madre non solo dà, ma anche riceve.Non appena il bambino matura e percepisce il seno e la madre come fuori di sé, il suo io comincia a investire gli oggetti del suo bisogno.

Dopo ogni pasto, e quindi dopo ogni scomparsa della spinta diretta ver­so l’esterno volta a calmare la fame, quella parte dell’ambiente che era strumentale alla soddisfazione del bisogno viene introiettata nel sé del neonato.

Nel processo di alimentazione le sensazioni non derivano solo dall’og­getto gratificante (il seno materno), ma anche dalle sensazioni tattili della bocca, dalle sensazioni del succhiare, dall’olfatto, dalle sensa­zioni cinestetiche di tutto il corpo, dai movimenti e dagli stiramenti delle braccia e delle gambe, dalla piacevole sensazione di sazietà, e dai disagi derivanti dalla distensione dello stomaco. In breve tutto il sistema percettivo partecipando all’esperienza istin­tuale forma parti dell’introietto.

Se l’impulso non è soddisfatto il senso di frustrazione, la collera che lo accompagna, ed i fenomeni che fanno insorgere il pianto sono anch’es­si proiettati insieme all’oggetto verso il quale si dirigeva l’impulso frustrato: ciò che viene introiettato allora è l’introietto della colle­ra. L’oggetto introiettato nell’esperienza istintuale, è confuso con il sé introiettato, così le rappresentazioni dell’oggetto e le rappresenta­zioni del sé sono impiantate in una inseparabile connessione le une con le altre.

Le introiezioni e le identificazioni sono i processi primari a partire dai quali si sviluppano le strutture mentali. Essi rappresentano i modelli per ogni ulteriore sviluppo della mente. Sulla base dei processi che studiò in “Lutto e malinconia” (e) Freud afferma che “Il carattere dell’io è un precipitato di oggetti investiti abbandonati, e che in esso è contenuta la traccia degli oggetti scelti in passato”.

Più appropriata al nostro presente studio è la considerazione di Freud sulla “simultaneità dell’investimento oggettuale e dell’identificazio­ne, in cui la modificazione del carattere avviene prima che l’oggetto sia stato abbandonato” (m). In verità l’introiezione dell’”oggetto” dell’impulso insieme alle sensa­zioni ed agli affetti, connessi con la gratificazione o con la frustra­zione dell’impulso stesso, sono la base della continuità nella comunica­zione interpersonale.

Finché vi è continuità nella relazione oggettuale i ricordi delle rela­zioni oggettuali sperimentati positivamente sono immagazzinati come rappresentazioni oggettuali e rappresentazioni del sé e diventano il nucleo organizzativo dell’apparato mentale. “Il soggetto dell’identificazione diviene una estensione della teoria biologica    le identificazioni costituiscono i ponti teorici fra la biologia e la personalità e tra le personalità e i gruppi sociali (Grinker, p). In questo senso introiezioni ed identificazioni sono termini che si riferiscono ai processi con i quali le tracce di memoria dell’impulso, – motivanti relazioni interpersonali sono immagazzinate durante l’intero corso della vita. Nei primi stadi del periodo neonatale l’impulso esperito si riferisce essenzialmente all’alimentazione.

Il modello primario è semplice: bisogno ==> madre ==> soddisfazione.

Tutti gli altri bisogni e gratificazioni, ogni sorta di percezione tatti­le, olfattiva, uditiva, ogni sensazione visiva sembrano essere sommersi nel modello primario dell’oralità. La ripetizione di queste esperienze si aggiunge alla memoria della buona – madre – che nutre equiparata al buon – sé – che si nutre. La stessa madre in situazioni di alimentazione dissi­mili può anche essere associata con tracce di memoria spiacevoli e può di ­venire l’introietto della paura: la cattiva – madre – che arreca dolore è equiparata al cattivo – sé – spiacevole.

La gratificazione della madre nel soddisfare i bisogni del suo bambino è uguale alla sua frustrazione quando è incapace di vivere la sua vita emo­zionale e reciprocamente quella del bambino. Così si sviluppa una spirale di processi interpersonali che io considero come una simbiosi emozionale Il termine “simbiosi emozionale” descrive una interazione reciproca fra la madre ed il bambino che attraverso i processi di “introiezione – identificazione ” crea cambiamenti strutturali in entrambi i partecipanti (c)[4].

Attraverso ogni reciproca serie di identificazioni non solo si forma una immagine dell’oggetto interiorizzato, ma anche l’immagine – specchio dell’atteggiamento dell’oggetto verso il sé. “Io sono buono perché lei mi ve­de buono, mi tratta come buono.” “Io sono cattivo perché lei è cattiva con me e mi vede cattivo.”

Questi particolari sulla psicologia dell’identificazione (u) erano implici­ti nel concetto di Freud di sviluppo della stima di sé come precipitato delle relazioni infantili e delle prime identificazioni orali. In questi fenomeni è possibile già riconoscere i precursori della “stima di sé”.

Studiando i processi di adattamento nei neonati in situazioni di nutrimen­to, sia che si tratti di bambini sani, sia che ci si trovi di fronte a bam­bini ospedalizzati, sono arrivata a formulare l’ipotesi che nel momento in cui il neonato introietta la “buona madre = buon sé” egli stabilisce anche un’attitudine mentale alla fiducia. (b)

Il termine fiducia si riferisce al costrutto mentale primario che si svi­luppa attraverso ripetizioni multiple delle esperienze in cui il bisogno è alleviato dalla gratificazione e ne risulta un bilancio emozionale posi­tivo. Nel momento in cui il bambino impara a conoscere la madre come un essere gratificante che esiste fuori di sé egli impara a conservare anche l’unione madre – bambino ad un livello psicologico.

Ciò viene chiamato “amore primario” (a) o relazione oggettuale primaria, ed è questo processo che mette in grado il neonato di proiettare la aspet­tativa di gratificazione nel futuro. Le osservazioni mostrano che fra i 4 e i 6 mesi il neonato può rivelare una attitudine alla fiducia nel momento del pasto, anche se si trova in uno stato di rabbia moderata.

Poichè la struttura psichica di origine libidica lo protegge dalla frustra­zione, il bambino impara proporzionatamente al suo livello di maturità, ad aspettare. Il costrutto mentale della fiducia è integrato non solo con la rappresentazione oggettuale della “buona madre che nutre” e con la rappresentazione di sé come “buon sé che nutre e si nutre” ma anche con il precipitato de­gli affetti che si collegano con l’esperienza della sazietà, dell’addormen­tamento, ecc. [5]. Le funzioni della fiducia primaria di base sono molteplici. Serve come di­fesa contro il senso di frustrazione, che così può essere differito; faci­lita altre relazioni oltre quella con l’oggetto primario; favorisce l’inte­grazione delle rappresentazioni del sé dentro il sistema della “stima di sé”.

La nostra ipotesi è che questi processi si possono riferire anche alla ma­dre. Parallelamente alle esperienze che fanno nascere il senso di fiducia nel neonato, la madre, attraverso l’introiezione dell’esperienze gratifi­canti di buon maternage, stabilisce il senso di fiducia nelle sue qualità materne. La fiducia della madre nel suo senso materno è esattamente un “ri­flesso” delle gratificazioni del bambino, un’immagine-specchio del sorriso del suo florido bambino. Lo studio dei processi psicodinamici della funzio­ne riproduttiva femminile rivela che l’organizzazione istintuale che da impulso alla maternità ed alle attività di maternage è alla base della co­municazione dinamica fra la madre ed il bambino e porta a cambiamenti non solo nel bambino ma anche nella madre. Così vi è un reciproco sviluppo dell’io. Nel bambino attraverso l’introiezione della madre buona = buon sé si sviluppa la fiducia. Nella madre, attraverso l’introiezione del buon bambino florido = sé – buona – madre, si raggiunge una nuova integrazione della sua personalità. Nel momento in cui paragoniamo il processo di inte­grazione della madre con quello del suo bambino, possiamo riconoscere le implicite differenze nella complessa personalità dell’adulto.

A questo livello il parallelo è semplice. La maternità, le cure materne sono motivate da un impulso primario, l’oggetto del quale è il neonato. Mentre il bambino incorpora il capezzolo, la madre si sente unita con il bambino. Però questa identificazione, invero piacevole non è la fonte prin­cipale dei processi regressivi della madre, tali processi sono da ricercar­si piuttosto nei fenomeni connessi con la riproduzione femminile. In ogni fase della gravidanza, dell’allattamento ed anche del ciclo mestruale vi è una regressione alla fase orale dello sviluppo.

Le funzioni femminili riproduttive riattivano l’oggetto e le rappresentazioni del sé integrate durante la fase orale del proprio sviluppo e porta­no la madre alla ripetizione dei processi intrapsichici che furono origina­ti dalla sua relazione con la propria madre durante la sua infanzia (d).

Così l’oggetto della relazione materna con il bambino è determinato da e­nergie psichiche presenti a due livelli della sua organizzazione psico-ses­suale. Il primo è l’istinto primario alla riproduzione; l’altro è l’orga­nizzazione secondaria derivata dalla fase orale dello sviluppo. Il primo si esprime nella tendenza adulta a dare, a nutrire, a prendersi cura; il secondo attraverso la manifestazione di tendenze ricettive. Ciò facilita le identificazioni della madre col proprio bambino.

I bisogni di dipendenza orale del bambino cosìcome i processi psicologici che da ciò nascono sono stati già ben studiati. I bisogni ricettivi che alla madre vengono dal bambino, al contrario, non stati ben approfondi­ti nelle loro manifestazioni normali salvo che attraverso la psicanalisi. L’analisi di coloro le quali non riescono a superare gli stress psicologi­ci e fisiologici della maternità rivela che la patologia della gravidanza e del post partum è la causa della regressione alla fase orale[6] . La fame ostentata della madre, il suo bisogno di esprimere amore e tenerezza il suo desiderio di riunirsi con il suo bambino, la sua iperprotezione ed il suo “iperpossesso” sono delle esagerazioni patologiche del normale pro­cesso che accompagna la maternità. Quando c’è un intoppo nel tranquillo corso della fase simbiotica, si vede con evidenza che la simbiosi post par­tum è “orale, alimentare sia per il bambino che per la madre” (c).

L’attitudine materna a ricevere dal suo bambino è fortemente influenzata dal tipo di fiducia che essa stessa madre incorporò nella sua struttura mentale quando era lei a ricevere dalla propria madre. Il suo “dare”, la sua pazienza, il suo senso materno derivano dalle vicissitudini delle iden­tificazioni primarie con la propria madre. Queste però che prima erano fan­tasie ora, di fronte alla attualità della maternità, sono sottoposte al test di realtà.

L’identificazione del bambino con la madre si sviluppa passo dopo passo in armonia con il variare delle funzioni della madre nella crescita della organizzazione della personalità del bambino, con il ruolo che essa assume nella gratificazione delle esigenze del bambino nelle varie fasi dello sviluppo. Ciò significa che il bambino non è in grado di identificarsi con l’attuale esperienza della madre. L’area esperienziale della madre con la quale il bambino è “in empatia” è costituita delle emozioni che concernano la sicurezza del bambino e che mobilizzano in lui le tensioni ansiose. Al­lo stesso modo agisce l’insicurezza della madre nei confronti dei problemi dell’accudimento, la sua voracità verso il bambino, ecc. Così l’empatia del bambino con la madre avviene a livello dei legami primari che non coin­volgono l’organizzazione dell’io. Siccome il neonato non ha l’organizzazio­ne fisiologica e psichica della maternità, non può invidiare la madre, il suo seno, o le sue capacità di accudimento (s). La madre invece essendo stata una bambina ed avendo introiettato le tracce mnestiche dell’essere alimentata, di essere accudita, di essere amata, nella propria esperienza di maternità rivive con il suo bambino i piaceri ed i dispiaceri dell’in­fanzia.

L’empatia della madre con il suo bambino trae origine nelle esperienze del­la sua prima infanzia che sono rievocate dalle emozioni dell’attuale esperienza della sua maternità. Attraverso le esperienze gratificanti della maternità vivificate dal suo florido bambino, la madre convalida la propria fiducia nella maternità. Per quanto complicato sembri questo processo in­trapsichico, gli effetti integrativi della fiducia sono i medesimi sia nel­la madre che nel bambino. Ciò serve come difesa contro la paura della fru­strazione che può esserci nell’esperienza di ogni madre ed accresce le ca­pacità della madre di amare il proprio bambino. Finché attraverso questo la madre si avvicina alla realizzazione delle aspirazioni del suo io idea­le – vale a dire essere una buona madre – la fiducia sostiene la stima di sé della madre e diviene una fonte di narcisismo secondario e di sicurezza. Poiché il sentimento materno implica la ripetizione e l’elaborazione dei primitivi conflitti orali della madre con la propria madre i sani e norma­li processi di maternità permettono la risoluzione di questi conflitti e la “riconciliazione” intrapsichica con la madre. Così la maternità facili­ta il completamento dello sviluppo psicosessuale.

Proprio come il bilancio positivo dei processi interattivi fa nascere fidu­cia nel bambino ed il senso di sicurezza nella madre, così è possibile ri­trovare gli effetti di un bilancio negativo negli stessi processi sia nella madre che nel bambino. Il neonato frustrato frustra la madre, con ciò­ egli induce una regressione nella madre che intensifica le componenti aggressive dei suoi bisogni ricettivi. Mentre nel neonato ogni tendenza è diretta verso il sé = madre, nella madre l’aggressione è diretta verso il suo bambino e verso la propria madre e, attraverso l’identificazione con entrambi, verso sé stessa.

La regressione fa riemergere nella madre le tracce mnestiche preverbali della fase della dipendenza orale della propria crescita. Se il re-investi­mento della relazione infantile con la propria madre attiva nella madre fiducia e speranza ella supererà l’attuale delusione e frustrazione, sicu­ra nel suo desiderio di amare il bambino e di prendersi cura di lui così come era stata amata e curata. Ma se il bambino che piange o che dimostra la propria impotenza provoca qualcosa che va al di là delle giustificate preoccupazioni per il suo stato, e cioè produce stati d’ansia originati da conflitti di dipendenza orale della madre, la psicodinamica della rea­zione materna “può essere formulata con l’affermazione che entrambi i li­velli della sua identificazione, quello con la propria madre e quello con il proprio figlio, si svolgono negativamente. Nei termini della psicologia del sé ciò significa che ella diventa la “madre negativa e frustrante” del suo bambino così come “la bambina cattiva e frustrante” della propria madre. Nei termini della psicologia del bambino ciò significa che il “bambi­no frustrante e cattivo” diventa l’irriconciliabile “immagine di sé”; e nello stesso tempo il suo bambino ora diventa, così come una volta era sta­ta lei stessa, un oggetto temuto e pieno di esigenze. Ella potrebbe riac­quistare un equilibrio emozionale proprio come lo riacquista un bambino, attraverso lo stato di sazietà ottenuto tramite la propria madre, in que­sto caso il suo equilibrio emotivo potrebbe essere ristabilito solo dalla riconciliazione con il benessere del suo bambino. Quando la madre era una bambina ed era ‘la parte che riceve’ dell’unità simbiotica la sua frustrazio­ne la conduceva ad incorporare il nucleo ambivalente nell’organizzazione della sua personalità. Ora che invece è lei la parte “attiva,che dà” della simbiosi la frustrazione del suo bambino rievoca il nucleo ambivalente della sua personalità”(c,pp.405-406).

Questo interferisce con quei processi di integrazione che fanno della maternità una fase normale di sviluppo. Clinicamente ciò porta ad una varietà di manifestazioni depressive che si esprimono così come per quel che riguarda il bambino, in disturbi della maternità.

I disturbi della maternità trasformano la relazione simbiotica in un circo­lo vizioso, questo porta nel bambino alla introiezione di oggetti e di rappresentazioni del sé caricati di investimenti aggressivi. Conseguentemente il nucleo ambivalente si impianta anche nella organizzazione psichica del bambino.

La fiducia ed il nucleo ambivalente sono i primi costrutti mentali.

Noi supponiamo che la prima è originata dagli effetti di positivi processi interattivi fra madre e bambino, la seconda come conseguenza di processi interattivi negativi. Ciascuna di queste strutture primarie in-teragisce con l’altra nell’ulteriore sviluppo della personalità del bambino e conse­guentemente modifica secondo specifici modi le ulteriori “simbiosi emotive” nonché le reciproche relazioni fra madre e bambino.

La concettualizzazione dei processi risultanti dalla “fiducia” e dal “nu­cleo depressivo” serve anche come modello per l’interazione fra genitori e bambini in ogni successiva fase dello sviluppo. Io suppongo che non vi sia solo corrispondenza fra il risultato della simbiosi fisiologica della gravidanza e la fase orale dello sviluppo, ma che in ogni “periodo critico” il bambino rivive nel genitore i conflitti relativi al suo sviluppo.

Ciò è la causa o di manifestazioni patologiche nel genitore o, attraverso la risoluzione del conflitto, del raggiungimenti di un nuovo livello di integrazione nel genitore. Parallelamente il bambino giunge ad ogni perio­do critico attraverso una ripetizione di processi interattivi che conduco­no ad una nuova integrazione delle pulsioni esperite con il relativo ogget­to e le relative rappresentazioni del sé.

Prima di esporre il materiale che suffraga questa ipotesi deve esser presa in considerazione la figura del padre. C’è anche una organizzazione degli impulsi che motiva una reciproca interazione fra il bambino ed il padre? Siccome la funzione riproduttiva maschile dipende da un singolo atto, la motivazione del quale è esperita come un desiderio compulsivo di scarica orgastica, ci si potrebbe chiedere se esiste nell’uomo una tendenza biolo­gica primaria per essere e diventare protettore e fornitore. E’ possibile evidenziare nell’uomo, come nella donna, due mete nell’impulso riproduttivo Nell’uomo, come nella donna, si possono differenziare due archi del ciclo riproduttivo.

Mentre nella donna l’arco breve riflette la stimolazione ciclica degli ormoni ovarici, nell’uomo il ciclo breve evolve senza regolari­tà visibile, da aumento dello stimolo sessuale compulsivo all’altro. Con l’atto della consumazione il ciclo breve della funzione riproduttiva ma­schile è completato. L’arco lungo del ciclo riproduttivo maschile va dall’ epoca in cui si percepisce come maschio all’epoca in cui raggiunge la matu­rità sessuale e può adempiere pienamente alla funzione procreativa.

La riproduzione è una tipica manifestazione della crescita. Dopo aver rag­giunto la maturità, il singolo smette di crescere fisicamente e diventa capace di produrre nuovi individui. Quando si presentano impedimenti nella funzione riproduttiva, come la sterilità o di entrambi i partner o a cau­sa di separazioni forzate durante la guerra, l’istinto dell’uomo per la sopravvivenza diventa conscio ed accessibile allo studio psicanalitico. Il desiderio dell’uomo di sopravvivere specialmente nella progenie del suo stesso sesso è anche documentata dai riti e dalle religioni, dai costumi e dalle organizzazioni socio-economiche.

Non c’è nessun dubbio che l’istinto di riproduzione maschile ha rappresentazioni psichiche di origine istintuale e biologica. Per rimanere nell’am­bito del nostro attuale problema, la questione è se si può differenziare nel maschio un’organizzazione istintuale che, parallelamente alla materni­tà, diriga l’istinto riproduttivo verso la paternità. La mia risposta è affermativa e si basa sull’assunzione che ci sono due fonti della paterni­tà: una, la bisessualità biologica, e l’altra, la dipendenza biologica dal­la madre. Per quanto riguarda la prima parte di questa affermazione sono gli zoologi che ci vengono incontro. Nella funzione riproduttiva dei verte­brati non mammiferi gli zoologi hanno riscontrato sorprendenti diversità di modelli di corteggiamento, di attività preparatorie e – molto sorpren­dentemente per noi – marcata varietà nei modi di curare il piccolo. La no­stra conoscenza della bisessualità dell’uomo, comunque, è estremamente limitata. Il lungo periodo di dipendenza del piccolo umano è una caratteri­stica biologica della specie. Questo spiega l’importanza che la fase orale ha nell’organizzazione della personalità degli individui di entrambi i ses­si. La prima sicurezza di ogni uomo così come il suo primo orientamento verso il mondo gli deriva dall’identificazione con la madre. Nel normale corso dello sviluppo maschile, la prima dipendenza emozionale e l’identifi­cazione con la madre è superata dall’identificazione con il padre, guidata dall’innata mascolinità del bambino. Questo si vede non solo nella competi­zione sessuale con il padre ma anche nella identificazione con i vari ruoli del padre come colui che protegge e provvede. Queste manifestazioni secon­darie di mascolinità sono in continuo scambio con quelle rappresentazioni psichiche che erano state impiegate come risultato della relazione di dipendenza orale dalla madre.

Nel primo impulso organizzativo della fase orale – prerequisito e conse­guenza dei processi metabolici che sostengono la crescita e la maturazione e che portano alla differenziazione della funzione riproduttiva – è l’ori­gine delle tendenze genitoriali di maternità e di paternità. Poi nell’uomo le funzioni genitoriali non coinvolgono processi fisiologici specifici, non ci sono stimolazioni ormonali che, come la fase progesteronica femmini­le, riattiverebbero ciclicamente la fase orale. I successivi stadi di orga­nizzazione istintuale che trasformano le tendenze passive – ricettive nel comportamento paterno attivo, diretto verso l’oggetto, possono essere rag­giunti attraverso la risoluzione durante lo sviluppo del conflitto tra le identificazioni maschili e femminili, così che il maschio adulto include nel suo io ideale l’aspirazione a completare il suo ruolo con la paternità. Questa organizzazione istintuale, culturalmente influenzata, che spinge l’uomo al matrimonio ed alla paternità si integra con le tendenze regressi­ve attraverso l’identificazione con la moglie durante la gravidanza. Condi­videndo le fantasie di lei o proiettandosi sul bambino non ancora nato, il padre rivive e ravviva la sua identificazione con la propria madre e con il proprio padre nel loro specifico significato di crescita.

Quando Freud (i) dice: “quello che il padre amorevole proietta come suo ideale nel bambino è solo un sostituto dello scomparso narcisismo infanti­le” egli suggerisce che il bambino rappresenta non solamente il sé del genitore come bambino ma anche, o più ancora la sua speranza e aspettativa di realizzarsi attraverso il bambino. Genitori e bambini cercano di otte­nere questo risultato attraverso processi inconsci di introiezione e iden­tificazione reciproca. Noi abbiamo esposto le vicissitudini della comunicazione fra la madre ed il bambino in quella fase dello sviluppo in cui questi processi sono incapsulati nelle loro origini biologiche, durante il periodo neonatale e nel­la prima infanzia. Ma anche nello stato della simbiosi emozionale non ci occupiamo solo di una diade. L’attitudine emozionale del padre nella triade familiare è significativo già nel momento della concezione. Egli risponde ai bisogni di dipendenza ricettiva della moglie che sono incrementati dal­la gravidanza e dalle sue ansie per il parto e per le modalità di accudi­mento del bambino. Subito dopo la nascita del bambino si comincia a svilup­pare una relazione oggettuale diretta verso il bambino stesso. Indipenden­te dalla stimolazione ormonale, la relazione del padre verso il bambino è diretta più dalla speranza che dall’impulso. Siccome il sistema percetti­vo del bambino si sviluppa più velocemente della sua relazione oggettuale nei confronti di un “oggetto totale” il bambino comincia presto a guarda­re, a sorridere, a “tubare” col padre e così riattiva il di lui “senso materno”. Il padre consolando il bambino, confortandolo, giocando con lui ne riceve piacere. Oltre la primaria gratificazione libidica, egli esperi­menta anche una gratificazione narcisistica secondaria rassicurando il suo io ideale che egli è un buon padre.

E’ caratteristico dello sviluppo umano che le rappresentazioni della rela­zione oggettuale primaria con la madre sono in continuo scambio con le rappresentazioni di tutte le ulteriori relazioni oggettuali, secondo l’età e la maturità del bambino e secondo l’importanza dell’oggetto particolare. La prima e la più importante fra le relazioni oggettuali secondarie è natu­ralmente quella col padre. Nelle società in cui l’organizzazione della fa­miglia è basata sull’unità biologica padre – madre – bambino, l’integrazio­ne fra il padre ed il bambino avviene attraverso i processi di introiezio­ne e di identificazione così come fra la madre ed il bambino. Il padre, come la madre, ripete con ciascun bambino in modo differente le tappe del proprio sviluppo e, in circostanze fortunate, va avanti nel processo di superamento dei propri conflitti. La fonte primaria di sviluppo della pa­ternità è la stessa che sviluppa la maternità. E’ vero per entrambi i sessi che “quando un più alto livello di integrazione richiede un nuovo apporto di energia psichica, ciò è prodotto dalla intensificazione delle tendenze ricettive – ritentive che sono state coinvolte nell’organizzazione prima­ria della struttura psichica” (c, pag. 419).

Qualunque sia il significato di tale regressione per la psicologia del padre, la relazione oggettuale secondaria del bambino con il padre ed anche con altre persone ha una grande importanza per lo sviluppo del bambino. Queste relazioni diminuiscono l’interesse oggettuale esclusivo verso la madre e fanno abbandonare al bambino la simbiosi. Attraverso la distribu­zione delle gratificazioni dei bisogni di dipendenza si formano le relazio­ni oggettuali che canalizzano l’investimento della relazione oggettuale primaria e le sue inconsce rappresentazioni istintuali.

II

La tendenza ad interiorizzare la realtà esterna è ereditaria, come lo è l’organizzazione centrale che nell’uomo permette un complesso lavorio sui modelli psichici di interazione dalle loro iniziali rappresentazioni – i­stintuali – oggettuali – e del sé alla loro integrazione nell’organizzazio­ne dell’io e della personalità[7] .

La sequenza di questi processi riguarda un individuo, il bambino. In que­sto scritto, comunque, che riguarda l’interazione genitore-bambino, si può sottolineare che l’internalizzazione e la susseguente identificazione ri­chiedono più di una relazione genitore-bambino. Anche se originati dal mo­dello biologico “bisogno-soddisfazione” i proces6i interattivi fra genito­re e bambino mostrano variazioni individuali rispetto alle loro origini. Il modello automatico del bambino motiva la sua prontezza nella risposta, la scelta della risposta ed il suo significato affettivo; quanto detto so­pra invece porta all’integrazione delle risposte dentro modelli che diven­tano caratteristici per ogni individuo. I genitori d’altra parte si acco­stano ai bisogni del bambino come individui adulti. Le loro personalità, il fare relativamente spontaneo motiva le loro attitudini emozionali ed il comportamento verso il bambino; queste cose determinano nei genitori interpretazioni particolari del comportamento del bambino e particolari risposte ad esso. Quanto detto sopra invece influenzerà i processi intra­psichici di introiezione e di identificazione in tutti e tre i partecipanti e mostrerà il tono delle mutue anticipazioni nel continuum dei processi interattivi.

Liberandosi dalla relazione simbiotica i confini dell’io del bambino evol­vono e si espandono. Si potrebbe ricordare che il neonato sembra comportar­si come se avesse due fonti di gratificazione, una nella realtà, fuori dal suo corpo e l’altra dentro di sé. Nel comportamento del succhiare del neo­nato si può trovare la prefigurazione di quelle che saranno le sue capacità e di quelli che saranno gli impulsi che, combinati con la fiducia e/o con il nucleo ambivalente, si integrano e mettono in grado il bambino di valu­tare le sue capacità e di raggiungere da solo gli scopi dei suoi sforzi.

Spitz (z) descrive come il modello automatico del sie del no evolva da una base neuromuscolare alla sua espressione semantica. Dal punto di vista del genitore il si del bambino rappresenta una manifestazione di una proie­zione soddisfacente dell’immagine di sé; ciò mantiene il bambino nel siste­ma del sé dei genitori, accrescendo l’amore e la speranza e le aspettative per il futuro del bambino e, attraverso ciò, per sé stesso. La risposta è differente al no del bambino o ad un comportamento insistentemente nega­tivistico. La risposta dei genitori allora dipende dalla genuinità dei pro­pri sentimenti genitoriali ed anche dal ruolo dell’oggetto originario che il bambino rappresenta. Il comportamento negativistico del bambino separa il bambino stesso dal sistema del sé dei genitori, e questo forza il geni­tore a vedere ciò che egli o ella non amano dentro di sé o negli oggetti significativi del loro presente o passato. Se ciò attiva un comportamento regressivo il genitore verso il quale il bambino fa opposizione si sente spinto a opporsi al bambino. Sotto l’impatto della frustrazione derivata dal bambino i confini dell’io del genitore si indeboliscono così che il genitore arrabbiato si identifica con la rabbia del bambino. Una sana ed adeguata risposta al comportamento negativistico del bambino rafforza i confini dell’io del genitore rendendolo conscio del suo ruolo di educato­re. Il ruolo assegnato culturalmente al genitore è motivato comunque non solo dal suo fine conscio, ma anche dagli episodi significativi repressi e ricordati e dai conflitti della sua crescita. Queste cose motivano l’in­terazione reciproca fra genitore e bambino.

La Jacobson studia l’interazione genitore-bambino dal punto di vista della organizzazione dell’io del bambino in ogni fase dello sviluppo.

La Jacobson (i) dice “Le richieste genitoriali e le proibizioni possono  probabilmente essere interiorizzate solamente unendo le proprie forze allo sforzo ambizioso e narcisistico del bambino stesso, ed è attraverso questa via che esse prendono una nuova direzione”.

Ma cosa determina la capacità del genitore di attendere il bambino finche non sia diventato sufficientemente maturo da unire le sue forze alle aspet­tative dei genitori? E che cos’è che determina l’insorgere delle pressioni ansiose dei genitori sul bambino, la loro osservazione, la loro spinta a crescere ed a svilupparsi conformemente alle proprie aspettative?

I pediatri osservano delle madri con le quali “la richiesta di sentimento” non funziona a causa delle loro ansie nella nutrizione. I pediatri come gli psichiatri conoscono l’ambizione ansiosa con la quale alcuni genitori gestiscono la pulizia del bambino e la permissività di altri che ne ritar­dano lo sviluppo. Ancora più numerosi sono i sintomi che vengono originati dall’altalena fra questi due atteggiamenti estremi. Recentemente l’intera­zione fra genitori e bambino è stata studiata, sebbene all’inizio con lo scopo di spiegare la patologia del bambino.

Adelaide M. Johnson (r) in molte pubblicazioni presta attenzione al fatto che l’io del bambino sembra essere più debole in quelle aree che corrispon­dono ai conflitti irrisolti della madre, del padre, o di sostituti genito­riali significativi. Questo significa che il processo interattivo tra geni­tori e bambino evolve relativamente sereno finché il bambino raggiunge il livello di sviluppo nel quale il genitore a causa dei suoi stessi conflitti di crescita è incapace di rispondere al bambino in conformità con gli standard culturali accettati e perciò diventa insicuro con il bambino. Il bam­bino sente l’insicurezza del genitore e la interpreta come debolezza. Que­sto diminuisce il senso di sicurezza del bambino ed invece aumenta la sua ansia. L’ansia origina la regressione del bambino, regressione che gli ser­ve come difesa contro l’isolamento emotivo attraverso l’intensificazione della domanda di protezione verso i genitori. Così si sviluppa una intera­zione regressiva.

Il bambino nell’adattarsi al comportamento conflittuale del genitore o non apprende le nuove richieste di controllo oppure può abbandonare quelle conquiste che erano state fatte in precedenza. Per superare l’isolamento emozionale dal genitore il bambino introietta i conflitti del genitore che minacciano la sua sicurezza. Nel suo “adattamento regressivo” al comportamento conflittuale del genitore il bambino incorpora una “fissazione”, co­sì facendo egli certamente non diventerà una persona migliore dei suoi genitori.

Le ricerche della Johnson concernenti il comportamento di “acting out” fu­rono condotte attraverso una “terapia collaborativa”, lo stesso accade per le parallele ricerce sul bambino ed il genitore significativo. La sua casi­stica dimostra che l’incorporazione del conflitto genitoriale nella strut­tura psichica del bambino va oltre la fase orale dello sviluppo, fino alla fase anale, fallica ed edipica.

Le ricerche della Johnson sembrano offrire evidenza clinica agli studi metapsicologici della stessa Jacobson sugli sviluppi dell’idea del sé trami­te l’internalizzazione dell’universo oggettuale. Entrambe le ricerche co­munque trattano solo del mondo del bambino, nel quale il genitore ha un ruolo centrale.

C’è una qualche prova di carattere psicoanalitico con la quale poter dimo­strare la tesi che il bambino, come oggetto della pulsione dei genitori, ha, parlando da un punto di vista psicologico, una funzione simile nella struttura psichica del genitore? Il bambino, evocando e mantenendo recipro­ci processi intrapsichici nel genitore, diventa strumento di sviluppo di una ulteriore integrazione nel genitore, o di un fallimento? La risposta a queste domande può essere facilmente fatta venir fuori dall’analisi sia della patologia che di situazioni normali.

In particolari casi, quando il conflitto coi bambini causa un grosso stress nel genitore, o in entrambi i genitori, noi attribuiamo a questo fatto un

significato patogeno.

Sia che vi sia delusione per lo sviluppo del bambino o ansietà per il suo benessere, sia che vi sia paura di una separazione, di una malattia o di una vera e propria perdita, noi diciamo che ciò è originato dal particolare tipo di empatia che si e stabilito fra genitore e bambino e interpretiamo queste cose nel quadro della storia dello sviluppo e della struttura della personalità del genitore.

Se noi pensassimo che il presente del genitore possa essere determinato solo nei termini del suo personale passato, noi non considereremmo gli infiniti piccoli eventi, le comunicazioni affettive che, dalla spirale delle reciproche interazioni, attualmente conducono alla patologia.

Già le ricerche della Johnson dimostrano che ciascun bambino per vie diffe­renti ed in differenti misure provoca attraverso ogni fase del suo sviluppo i corrispondenti conflitti inconsci nel genitore. Il genitore proietta in ciascun bambino in maniera particolare i suoi stessi conflitti. E’ possibi­le che ciò che è più desiderabile si avveri più spesso. Fino a che questo non causa patologia non appare alla nostra attenzione. I genitori non pro­iettano nei loro bambini solo i loro stessi conflitti incorporati nel bam­bino, ma anche le loro speranze e le loro ambizioni. Il genitore, ognuno a suo modo, mette nel bambino non solo le immagini positive del proprio sé ma anche quelle negative. E’ il grado di mutamento individuale della fiducia in sé = bambino ed il differente livello individuale di maturità che aiuta il genitore a non enfatizzare gli aspetti positivi del sé e a non essere travolto dagli aspetti negativi del sé, così come li vede attra­verso il bambino. In ogni caso il genitore, mentre a livello conscio cerca di aiutare il bambino a crescere, a livello inconscio non può aiutare ma solo confrontarsi con i propri conflitti.

III

Basandoci sulla reciproca interazione fra genitore e bambino durante la fase orale, noi possiamo dire generalizzando che la spirale di interazione fra genitore e bambino può essere riscontrata in ogni fase a due livelli di motivazione, ed in rapporto a ognuno dei partecipanti. Il primo è deter­minato dal passato che motiva il comportamento attuale, l’altro dall’espe­rienza attuale, nella quale è possibile riscontrare le motivazioni di ognu­no dei partecipanti.

L’esperienza attuale che ne risulta è interiorizzata e conservata come og­getto e rappresentazione del sé insieme con le qualità emozionali che ac­compagnano l’esperienza pulsionale. Ciò introduce un terzo aspetto nei mo­delli motivazionali, vale a dire l’anticipazione del percorso emozionale delle nuove esperienze. Ciò ha un’enorme influenza sull’andamento dell’interazione genitore-bambino.

Il significato della previsione da parte del bambino delle reazioni del genitore al suo comportamento è ben conosciuto. L’aspettativa fiduciosa del bambino di gratificazione, la sua paura di frustrazione e punizione modifica il suo senso di sicurezza verso i suoi genitori. Attraverso la quotidiana ripetizione dei piccoli eventi il bambino impara ad aver fidu­cia nelle sue anticipazioni. Questa enorme ansia è importante per i modelli di adattamento autoplastici e alloplastici nell’io del bambino.

Si pensa che le cose dovrebbero andare diversamente per i genitori. I mo­delli comportamentali che il genitore mette in atto nei confronti del bam­bino sono motivati dalla sua lunga storia individuale, attraverso la quale è stata costruita la sua identità.

Si presume generalmente che la sua organizzazione dell’io è tale che egli non è soggetto a cambiamenti nelle sue rappresentazioni del sé attraverso la relazione oggettuale con il suo bambino. Ed in verità la fiducia in sé stesso del genitore attraverso le sue mature motivazioni giustifica agli occhi del figlio la sua autorità. Comunque questa autorità serve non solo per proteggere il bambino, ma anche per evitare che il genitore sia travol­to dal comportamento infantile. Ciò aiuta il genitore a reprimere e/o a negare le sue attese, le sue paure, le sue inconsce emozioni nei riguardi del bambino.

Freud cita solamente le aspettative narcisistiche amorevoli dei genitori proiettate nel bambino. Oggi è difficile immaginare la saldezza emotiva del genitore vittoriano verso suo figlio, siamo invece consci delle ansie dei genitori attuali.

La psicoanalisi dimostra che i genitori spesso diventano consapevoli delle proprie inconsce motivazioni verso i loro figli, prevedendo il comportamen­to del bambino e le sue motivazioni inconsce. I genitori, prevedendo gli atteggiamenti negativi dei loro bambini, si sentono insicuri, spaventati e arrabbiati ancor prima che il bambino agisca, alcune volte ancora di più se il bambino non agisce secondo le loro attese negative.

La prevalenza di introiezioni nella comunicazione tra genitori e bambini invita ad un paragone con i processi paranoici. Sembra che genitori e bambini, come i paranoici, raggiungano con l’ansia ciò che si aspettano, e intendono evitare.

La psicoanalisi tiene conto delle variazioni individuali del comportamento dei genitori verso il bambino, ma le considera come eccezioni e considera come regola il genitore ideale, e giustamente fa così. L’idealizzazione del genitore non è un residuo culturalmente determinato dell’era vittoria­na. E’ originato dall’istinto di conservazione del sé e si sviluppa attra­verso la comunicazione reciproca fra genitore e bambino.

Possiamo ora considerare l’imitazione come una manifestazione della reciprocità dei processi psichici. L’indagine sull’imitazione usualmente ri­guarda i processi intrapsichici del bambino. La Jacobson dice: “…. l’imi­tazione dell’espressione emozionale del genitore influenza gli stessi modelli di scarica del bambino induce identici fenomeni affettivi” (q, pag. 100). Già l’osservazione della risposta del sorriso ci pone una domanda: chi imita chi? Alcune settimane prima che si sviluppi la risposta del sorriso il fugace “sorriso degli angeli” del neonato spinge la madre a pregustare il piacere del suo bambino sorridente, ed ella non può far altro che sorridere. Poiché la comunicazione affettiva fra genitore e bambino è reciproca noi possiamo sperare che osservazioni più precise, attraverso studi cinematografici, ci permetteranno di giungere ad una più precisa ana­lisi dell’interazione ed a capire meglio i processi che conducono ad evi­denziare i meccanismi di imitazione del bambino. Per questo scopo può esse­re secondaria la reazione all’identificazione inconscia del genitore con il bambino e l’anticipazione delle sue risposte. Come nel caso della comu­nicazione, l’imitazione entra nella spirale degli scambi emozionali e in­fluenza la relazione genitore-bambino. Il bambino che imita propone una immagine speculare al genitore. Primitiva e completamente intuitiva come è la gestualità del bambino è anche inequivocabilmente vera. Così il geni­tore rispondendo all’immagine-specchio può riconoscere e anche dire al bam­bino “questo è tuo padre, questo sono io in te”, o qualchedun altro che probabilmente il bambino non ha mai visto. Attraverso questa strada si pos­sono manifestare comportamenti innati nei quali il genitore ritrova se stesso o persone significative del suo presente o del suo passato.

Se il comportamento imitativo del bambino esprime aspetti positivi del ge­nitore ed atteggiamenti positivi espressi dalla copia ciò dimostra che entrambi i genitori e il bambino si amano. Così l’imitazione, mette in evidenza e, attraverso la ripetizione, rinforza l’arco positivo della simbio­si emozionale. Può anche accadere che il genitore sia scioccato dal compor­tamento imitativo del bambino quando il bambino riattiva esperienze negati­ve, alcune volte con minacciosa ostilità. L’imitazione del genitore da par­te del bambino allora stimola e, con la ripetizione, può rinforzare l’arco negativo della simbiosi emozionale.

Dipende dalla maturità del genitore e dalla genuinità del suo amore per il bambino se questa indicazione è presa in considerazione o se invece vi è un rifiuto del sé non amato = bambino non amato.

Ciò indica che l’imitazione è un mezzo di comunicazione interpersonale, in quanto serve ad esternalizzare ciò che è stato internalizzato. Da un punto di vista evolutivo l’imitazione è considerata il precursore della vera e propria identificazione dell’io. Avviene ad ogni età e ad o­gni livello di maturità.

E’ vero per gli animali ed anche per l’uomo che se l’io si sente indifeso di fronte alle più grosse e travolgenti emozioni,ciò lo riporta alle sue espressioni infantili di identificazione con l’aggressore.

Vi è una gestualità,vi sono espressioni mimiche(e) “designate” a disarmare l’aggressore, altre a minacciarlo. Si può pensare che nel comportamento imitativo del bambino vi sia una tendenza a dominare le sue stesse emozioni e che in ciò vi sia nello stesso tempo l’influenza dell’ambiente.

L’imitazione benevola così come quella ostile sono manifestazioni della coazione a ripetere, tendenza attraverso la quale riaffiorano memorie traumatiche.

La relazione dei genitori,specialmente della madre,con il bambino è spesso ampiamente modificata dalle emozioni, l’imitazione del bambino è usata dai genitori, a volte deliberatamente, e solitamente in modo inconscio, come un mezzo per controllare gli affetti,siano essi di amore e di ammirazione per le attività del bambino o di rabbia e anche di scoramento a causa di queste stesse attività.

Io penso che, mentre i genitori manipolano intenzionalmente il comportamen­to del bambino e le loro quotidiane relazioni con lui,a livello inconscio modificano anche i loro stessi processi intrapsichici. Le rappresentazioni e l’esperienza interattiva vengono introiettate ed influenzano le loro immagini per futuri eventi.

L’imitazione giocosa delle attività dei genitori da parte del bambino cos­tituisce uno strumento affettivo per imparare,per il coordinamento e per l’azione. Il modello di azione del bambino si appoggia sul genitore ed usa come proprio veicolo l’imitazione. Ciò è particolarmente importante per il bambino di 2 o 3 anni, cioè per il bambino pre-edipico. Bambini di entrambi i sessi,cominciata la lotta per il controllo sfinteriale ed essendosi impa­droniti della locomozione, imparano ad usare gli arnesi dei genitori. I pic­coli maschietti e le femminucce “imparano” a spazzare,a spolverare, e ad asciugare i piatti con gli stessi gesti della loro mamma. Un po’ più tardi, quando le bambine si rivolgono alle bambole ed i bambini ai martelli ed alle falciatrici da prato, i genitori si deliziano per le abilità mostrate dal bambino e si sentono gratificati per una simile impersonificazione. Per il bambino l’imitazione funziona nello stesso momento come fantasia; si prevede (per il bambino) che egli imparerà a fare, ad essere in una qualche maniera nel suo futuro. Imitando il genitore il bambino impregna ogni sua azione della meraviglia e della ammirazione che egli sente per gli adulti.

Le gratificazioni per ogni sua azione sono da loro esagerate. La gratifica­zione narcisistica secondaria così raggiunta è una derivazione del narcisi­smo primario del bambino, narcisismo che prende origine nella “azione libi­dica” del bambino, e che era stato potenziato nella prima fase di sviluppo dalla accettazione amorosa dei genitori. Ora il bambino sa che essi posso­no fare queste cose meglio di lui. Questo da una parte aumenta una sicurez­za di sé del bambino e dall’altra la sua fiducia che i genitori sono capaci e pronti a proteggerlo, qualunque nuovo passo egli debba fare.

Così uno scambio reciproco di gratificazioni narcisistiche determina nel bambino un senso di partecipazione magica alla “magica onnipotenza” del genitore.

Questa costellazione di comunicazioni positive fra genitore e bambino è un segno di elaborazione di fiducia nel bambino pre-edipico. Durante la fase orale la fiducia che i bisogni saranno soddisfatti funge da protezione intrapsichica nei confronti della paura di frustrazione.

Con il superamento della relazione simbiotica modelli automatici dirigono lo sforzo del bambino verso la conquista di competenze.

Parallelamente allo sviluppo dell’indipendenza del bambino è necessaria una più complessa introiezione – identificazione con i genitori onnipotenti al fine di ottenere una protezione intrapsichica e per mantenere a livello psicologico l’unità bambino genitore, mentre nella realtà passo dopo passo sta avvenendo la separazione. L’elaborazione narcisistica secondaria della fiducia è contemporaneamente la fonte delle fantasie di onnipotenza del bambino, ed anche il precursore dell’idealizzazione del bambino nei genito­ri. Così ci si accosta al nuovo livello: la fase edipica.

Qual è il processo psicodinamico corrispondente nel genitore?

Le fantasie onnipotenti del bambino le corrispondenti idealizzazioni del genitore rappresentano l’arco positivo del modello interattivo, ciò facili­ta l’identificazione del genitore con il bambino per due motivi: il primo è che le fantasie del bambino riattivano nel genitore le fantasie onnipo­tenti della sua stessa infanzia; l’altro è che il genitore identificandosi con le fantasie attuali del bambino accetta il ruolo onnipotente che gli viene attribuito.

Il genitore sano, a dispetto della sua capacità di capire i limiti del rea­le, abbraccia il gratificante ruolo dell’onnipotenza. Ciò lo induce ad i­dentificarsi con il suo stesso genitore ora nella realtà così come egli si prefigurava che sarebbe stato capace di fare nelle fantasie della pro­pria infanzia.

Comunque sia stato il corso reale degli eventi fra sé stesso ed i suoi ge­nitori, finché le fantasie del suo bambino non gli sono ostili, il genito­re trae dal processo di identificazione pre-edipica la rassicurazione che egli è un buon genitore ed ancora di più la speranza che egli è o può di­ventare migliore di come fu il proprio genitore.

In circostanze normali e se il processo delle identificazioni pre-edipiche non è disturbato troppo spesso e da troppi intensi influssi ambivalenti, l’interazione reciproca delle fantasie onnipotenti rende facile il lavoro del genitore educatore. Questo è il processo attraverso il quale il siste­ma dei valori del genitore viene integrato nei precursori del super-io del bambino. Questo diventa molto difficile comunque se i genitori si immagina­no che le attività indipendenti del bambino possano mettere in evidenza i loro difetti ed il loro senso di inferiorità diminuendo così la loro stima di sé.

La spirale delle interazioni negative può essere attivata in qualsiasi epoca. Questo rischio aumenta con la crescita della differenziazione del sé del bambino. Ciò moltiplica i fattori che possono attivare le risposte am­bivalenti dei genitori ed interferisce con il normale corso di sviluppo.

IV

In questo scritto l’interazione reciproca fra genitore e bambino è stata trattata senza differenziare il sesso sia dei genitori che dei bambini. Il significato dell’identificazione del bambino con il genitore dello stes­so sesso ed il ruolo del genitore di sesso opposto nella fase edipica è stato descritto in termini generali. In particolare, considerando le attua­li motivazioni all’interazione bambino-genitore sembra più facile parafra­sare Freud “ci sono due entità interagenti, ma se ne possono sempre vedere quattro” (g).

Ogni interazione fra genitore e bambino è motivata dalla passata relazione del genitore con entrambi i suoi stessi genitori. Quando un bambino rag­giunge la fase pre-edipica, la sua identificazione con il genitore del suo stesso sesso è determinata non solo dal passato di questa relazione ma an­che dalla storia introiettata della sua interazione con il genitore dello altro sesso. (L’interazione dei genitori fra di loro, e specialmente quella con i loro bambini, è motivata dall’intero sviluppo passato di entrambi, il più semplice triangolo familiare, inizialmente nella fase anale e defi­nitivamente nella fase pre-edipica, è influenzato da 12 specie di intera­zione).

Fin da quando Freud scopr il significato della sensualità infantile è sta­to appurato che la fase edipica è una spontanea manifestazione del modello innato della pulsione sessuale. La partecipazione dei genitori a questo evento è stata considerata solo in presenza di istanze patologiche eccezio­nali. Lo studio dei modelli di interazione fra genitori e bambini e le mo­dificazioni che ne risultano sul piano dell’oggetto e delle rappresentazio­ni del sé evidenziano il ruolo dell’organizzazione dell’io nello sviluppo del conflitto edipico.

La recente letteratura sul significato del complesso di Edipo nella psicopatologia e nella struttura del carattere normale rivela sempre più convincentemente che i processi che erano solitamente attribuiti alle vicissitudini del complesso edipico sono originati dalle esperienze risalenti alle più remote fasi dello sviluppo. Sembra che il complesso edipico “abbia una importanza capitale non solo come nucleo della nevrosi, ma anche come nu­cleo della struttura del carattere normale”(Gitelson, o, pag.354). In que­sto scritto si assume che il complesso edipico sviluppato come conseguenza del saldo positivo dei processi di interazione fra genitore e bambino, a dispetto delle fluttuazioni transitorie, conduce il bambino con successo da un periodo critico all’altro. Di contro, se il saldo emozionale negati­vo fa persistere un corso di interazione negative, ciò comporta un falli­mento nello sviluppo e la dissoluzione del complesso edipico.

Questa tesi è significativa quanto basta per garantire la verifica dei re­ciproci modelli di identificazione fra genitore e bambino. Avviene così che le identificazioni del bambino con il genitore evolvano passo dopo pas­so in accordo con le esigenze pulsionali che il genitore soddisfa nelle varie fasi di sviluppo del bambino. Di conseguenza il genitore è all’inizio un oggetto parziale completamente investito dalla richiesta impulsiva del bambino e da lui introiettato attraverso la sua esperienza istintuale. Con­seguentemente alla crescita ed alla maturazione del bambino, il genitore diviene passo dopo passo un “oggetto totale” investito non solo dalle ri­chieste impulsive primarie del bambino, ma come una persona che è fuori dal sé del bambino, con cui il bambino forma relazioni di ordine, importan­za e valore di tipo differente.

C’è un atteggiamento corrispondente nella relazione oggettuale del genito­re con il bambino. Abbiamo visto come il feto ed il neonato siano gli og­getti totali dell’organizzazione pulsionale della madre culminante nella maternità. Il neonato è l’oggetto totale del narcisismo totale della madre. Per il padre il nuovo nato rappresenta la sopravvivenza e la speranza del­la realizzazione del sé; così il neonato è anche,un “oggetto totale” del narcisismo secondario del padre. Nel momento in cui il bambino attraverso ogni tappa della sua maturazione diventa sempre più una persona esterna al genitore, ed alla fine parzialmente indipendente dalle sue proiezioni, nello stesso momento diventa l’oggetto delle pulsioni parziali del genitore stesso.

Se questo implica solamente manifestazioni pulsionali inibite rispetto al­la meta come la tenerezza, l’empatia, l’essere gioviale, ecc., l’interazio­ne emozionale è positiva e soddisfacente per entrambe le parti.

Se invece il genitore diventa conscio degli impulsi sessuali verso il bam­bino, il suo senso di colpa può causare interazioni negative anche se non è accaduto niente. Ancora più disturbante è l’effetto quando il genitore riesce a negare la natura del suo impulso.

Normalmente l’idealizzazione del bambino da parte del genitore nutre il genitore di gratificazione. Il genitore non può aiutare ma rispondere agli sforzi pregenitali del bambino, aumentando l’amore per il bambino. Non c’è bisogno di grosse elaborazioni sulle risposte del padre all’ammirazione di suo figlio o alle civetterie di sua figlia di è anni. Come è ovvia la soddisfazione della madre quando sua figlia esprime il desiderio di diven­tare come lei o suo figlio di è anni le promette che la sposerà perché lei è la madre migliore e più bella. Queste innocenti espressioni di reciproca soddisfazione fra genitori e figli sono i precursori di quel cruciale pe­riodo di sviluppo che è la fase edipica.

Siccome il corredo ormonale e fisiologico del bambino non permette la realizzazione degli sforzi edipici, sorge il problema: che cosa giustifica l’intensità e l’importanza della paura di castrazione e di punizione per un delitto che non può essere commesso? Non il bambino, ma il genitore è in possesso del corredo mentale e fisiologico che stimola gli impulsi ses­suali e la paura delle loro conseguenze.

Nella nostra cultura l’io ideale ed il super-io del genitore richiedono una completa repressione dei desideri incestuosi del genitore verso il bam­bino. Accade molto spesso di ascoltare molte storie di casi o molte teorie che ci fanno vedere come l’analisi di individui dotati di super-io molto rigido riveli che varie forme di nevrosi risultanti da interazioni distur­bate fra genitori e figli hanno origine, per esempio, quando il padre di­venta conscio che la sua risposta a sua figlia è di tipo sessuale, o quan­do la madre è scioccata per l’attrazione che sente per il pene di suo fi­glio.

In questa sede però si dà rilievo ai processi normali ad allora va detto che la relazione gratificante pre-edipica fra genitore e bambino aumenta l’amore oggettuale e stimola la pulsione sessuale del genitore il cui og­getto è il bambino.

Normalmente ed in circostanze che favoriscono la neutralizzazione delle energie pulsionali coinvolte nel complesso edipico del genitore, il suo super-io ben integrato inibisce gli impulsi sessuali verso il bambino pri­ma che questi accedano alla coscienza. Questo non significa che il bambino non può essere intaccato dalle emozioni inibite del genitore. Discutendo della fase edipica, prendiamo come di abitudine il padre ed il figlio come esempio. Perché il padre’lo considera un rivale? L’atteggiamento del padre in questo periodo critico, così come era prima e come sarà dopo, è motiva­ta dalla storia del suo sviluppo e dall’interazione attuale con suo figlio. Le interazioni attuali con suo figlio sono influenzate dal suo sviluppo. L’intensità della paura di castrazione di quando era bambino, il risultato degli sforzi del suo super-io sono responsabili della sua severità verso suo figlio e verso i propri impulsi. Questo ci porta al problema: che cosa rende la paura della punizione così grossa per un delitto che non può esse­re commesso. La risposta a questa domanda può essere affrontata da molti punti di vista. Freud in Totem e Tabù ( h ) trova la risposta nelle origini mistiche della civiltà. Oggi noi abbiamo sufficiente materiale clinico per dire che il padre che invecchia considera necessariamente il figlio che cresce un rivale, e perciò gli trasmette l’invidia e la paura per la viri­lità. Ma perché nella nostra cultura di relativa piccola violenza fra padre e figlio un bambino di è o 5 anni viene considerato pericoloso e perciò viene trattato come un rivale?[8]

La comunicazione fra genitore e bambino facilita l’identificazione tra ge­nitore e figlio su di un livello di fantastica onnipotenza. Quando il pa­dre si sente in dovere di limitare i suoi impulsi verso sua figlia per una ragione e quelli verso suo figlio per un’altra il suo super-io trasmette al bambino l’opprimente e dannoso significato degli impulsi che ci sono in lui. Così la paura della castrazione del bambino corrisponde alla paura di castrazione che è incorporata nel genitore, negli sforzi del suo super-io.

Rangell (v, pag. 13) dice: “Il complesso edipico ha una linea di sviluppo continua e dinamica dalle prime origini attraverso le varie fasi della vi­ta dell’uomo”. Egli descrive l’inasprirsi del complesso edipico nei genito­ri come risposta alla pubertà e al matrimonio della generazione più giova­ne, e anche il ritorno della repressione quando il reale potere di repres­sione del genitore e l’integrazione del suo io declina, come avviene nella malattia e nella vecchiaia.

Nella letteratura o in casi clinici noi non consideriamo questi tragici incidenti come semplice ripetizione del passato e/dell’attuale amore ogget­tuale come un sostituto dell’originale.

Il padre sostituisce la propria madre con la figlia adolescente o sposata, la madre sostituisce il proprio padre con il figlio, ma il complesso edipi­co infantile non rivive con la veemenza patologica primitiva. Una strut­tura intrapsichica complessa, che si è formata nel genitore attraverso i processi di partecipazione durante lo sviluppo del suo bambino, subisce un periodo di deterioramento prima di guastarsi. Il crollo ci conferma che la struttura esisteva.

In questo scritto, comunque, ci siamo occupati dei normali processi di svi­luppo che causano la fase edipica nel bambino e riattivano un modello reci­proco di crescita nel genitore. Il nostro concetto sottolinea la linea con­tinua e dinamica del complesso edipico: 1) Il complesso edipico nasce a partire dalle dinamiche di scambio reciproco e inizia con l’esistenza indi­viduale. 2) Quando il bambino raggiunge la fase edipica il genitore è già stato partecipe di questo sviluppo, proprio come dopo sarà strumento della sua repressione e risoluzione. 3) Poiché il bambino è l’oggetto della li­bido del genitore, egli attiva nel genitore un nuovo processo di repressio­ne e di neutralizzazione delle energie canalizzate nel conflitto. è) Il conflitto nel padre, come nel bambino, è fra il suo impulso e le forze in­trapsichiche che tendono a reprimerlo. Nel genitore ciò è integrato nel suo super-io; nel bambino invece solo il precursore del super-io e la pau­ra della punizione spingono nel senso della repressione. 5) Dopo la repressione l’impulso introiettato è neutralizzato, è questo fatto che permette all’oggetto ed alle rappresentazioni del sé di essere integrate nel sistema del super-io. Così il bambino accede ad un nuovo livello del suo sviluppo.

– Nel genitore i processi dinamici connessi con l’esser genitore si avvalgono di una organizzazione del sistema psichico già stabilizzata. Ma il super -io del genitore evolve verso una nuova fase, che comprende le rappresenta­zioni di oggetto del bambino e le rappresentazioni del sé originate dalla matura esperienza derivata dall’esser diventati genitori.

I conflitti che furono incorporati nel super-io quando il genitore era un bambino sono “riportati a galla” attraverso l’esperienza della paternità e della maternità; ciò spiega la nuova fase della maturazione. Attraverso un buon legame con il proprio figlio o con i propri figli il super-io del genitore perde una parte della sua severità; e poichè ciò permette una più ampia e profonda capacità di esperienza, ciò rivela che un nuovo passo è stato fatto verso la dissoluzione dell’origine infantile del super-io. Può accadere anche il contrario. Una esperienza negativa del genitore con il proprio bambino indebolisce l’organizzazione del sé del genitore ed accre­sce la severità del suo super-io e così lo rende patogeno per sé e per il proprio bambino. Poiché è compenetrato nel sistema psichico del suo genito­re il bambino può mitigare o intensificare la severità del suo super-io.

Mi viene in mente ora il poeta austriaco Anton Wildgans (x) il quale in un poema meditando sulla nascita di suo figlio dice: “Tu puoi diventare il nostro giudice, anzi tu lo sei già”. Il poeta esprime in poche parole quello che i moderni genitori, privati della sicurezza propria dei genitori di una meno individualistica e più autoritaria cultura, così spesso sentono con più o meno grande ansietà.

Il bambino alla nascita è un enigma, egli rappresenta speranze e promesse per la realizzazione del proprio sé e allo stesso tempo preavvisa che egli può mostrare non solo le virtù ma anche i difetti dei genitori.

Questa minaccia alla stima di sé del genitore insicuro attiva lo sforzo del suo super-io ed intensifica i suoi sforzi per evitare gli errori e per sfuggire ai propri difetti, a volte fino ad un livello patologico.

Così il comportamento genitoriale è diretto dal super-io così come si è costruito nel tempo.

Il super-io dirige i processi psicodinamici della interazione tra genitore e bambino. I processi intrapsichici che risultano dalle relazioni interper­sonali nel corso dello sviluppo del bambino stabiliscono le rappresentazioni d’oggetto del bambino come una parte della struttura psichica del geni­tore. Considerando il processo interattivo della fase edipica e la sua ri­soluzione nel bambino e nel genitore noi ci azzardiamo a dire che le rap­presentazioni d’oggetto del bambino divengono una parte del super-io del genitore.

Così noi assumiamo che vi siano due livelli del super-io nel genitore del bambino che cresce, uno dei quali è compenetrato nella personalità del genitore attraverso il suo sviluppo dall’infanzia fino all’esperienza dell’esser genitore, e ciò guida il suo comportamento verso l’appagamento del­le aspirazioni del suo io, particolarmente per essere un buon genitore, e con ciò allevare un bambino che realizzando sé stesso realizzi anche le aspirazioni del genitore.

Nello sforzo per il raggiungimento di questa meta attraverso un continuo altalenare fra successi e minacciose sconfitte, la personalità del genito­re subisce cambiamenti che in circostanze normali sembrano giustificare il nostro assunto che la genitorialità è una fase dello sviluppo.

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(Traduzione di Leonardo Angelini e di Deliana Bertani)

Bibliografia

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(g) Freud, S. The Origins of Psychoanalysis; Letters to Wilhelm Fliess, 1887-1902, ed. Marie Bonaparte, Anna Freud, Ernst Kris. New York: Basic, Torino, 1961 ) .

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(i) Freud, S. On narcissism: an introduction (1914). Standard Edition, 14: 73-102. London: Hogarth Press, 1957. (Trad. it. “Introduzione al Narci­sismo”, Boringhieri, Torino, 1976.

(l) Freud,S.Mourning and melancholia (1917).Standard Edition,14:243-258 London:Hogarth Press,1957. (Trad.it.”Lutto e malinconia” nelle Opere, \lol . 8ø, Boringhieri, Torino ,1976 ) (m) Freud,S.The Ego and the Id (1923).London:Hogarth Press,1927, p.37 (Trad. it.”L’Io e l’Es”,Boringhieri,Torino,1976)

( n ) Freud, S . An Outline of Psychoanalys i s ( 1 938 ) . New York : Norton ,1 g49, p.23 (Trad.it. :”Compendio di psicoanalisi”nelle Opere Vol.11ø,Borin­ghieri, Torino ,1979 )

(o) Gitelson,M.Re-eva luation of the role of the oedipus complex.Int.J. Psychoanal ., 33 : 351-354 ,1952 .

(p) Grinker,R.R.On identification.Int.J.Psychoanal. ,38:379-390,1957.

(q) Jacobson,E. The self and the object world.The psychoanalytic Study of the Child,9:75-127.New York:International Univrsities Press.1954 (Trad.it. :”Il sé e il mondo oggettuale”, Martinelli,Firenze,1974)

(r) Johnson,A.M. Factors in the etiology of fixations and symptom choice. Psychoanal . Quart ., 22 : 475-496, I953 .

(s) Klein,) M. Envy and Gratitude.London :Tavistock,1957 (Trad.it. :”Invi­dia e gratitudine” Martinelli ,Firenze,1969)

(t) Lorenz K. King Solomon’s Ring.New York:CrowelL,¡952.(Trad.it.”L’anel­lo di re Salomone”,Adelphi,Milano,1967)

(u) Parsons,T. ,Bales,R.F.et al. Family socialization and interaction pro­cess. Chicago: Free Press ,1955. (Trad. it .: “Famiglia e socializzazione” Mondadori, Mi lano ,1974 ) .

[1] Presentata in forma ridotta al “Fall Meeting of the American Psychoa­nalytic Association”, New York, 7 Dicembre 1958. (N.d.TT.: la presente traduzione è stata fatta a partire dall’articolo della Benedek intitolato:”Parenthood as a Developmental Phase” apparso sul “J. Amer. Psychoanal Assn.”, 7, 389-è17, del 1959. Le note sono contrassegnate dai numeri in cifre, i rimandi alla bibliografia sono invece indicati con lette­re dell’alfabeto)

[1] Il concetto di identità dell’io di Erikson implica l’esistenza di un patrimonio culturale, di uno sviluppo maturativo e di capacità e impegni da adulti. Erikson ipotizza che questo “più o meno attualmente conquistato,ma sempre messo in discussione” senso di realtà del sé all’interno della realtà sociale è conseguito attraverso il processo adolescenziale di integrazione del sé (f).

[1] Uso il termine “sviluppo” e non maturazione poiché non mi riferisco al complesso neurologico, muscolare e ad altri aspetti della lenta crescita organica, ma ai processi intrapsichici attraverso i quali si sviluppa la consapevolezza della separazione ed, in continua inte­razione con questo fenomeno, il sé diviene una struttura mentale orga­nizzata.

[2] Il concetto di identità dell’io di Erikson implica l’esistenza di un patrimonio culturale, di uno sviluppo maturativo e di capacità e impegni da adulti. Erikson ipotizza che questo “più o meno attualmente conquistato,ma sempre messo in discussione” senso di realtà del sé all’interno della realtà sociale è conseguito attraverso il processo adolescenziale di integrazione del sé (f).

[3] Uso il termine “sviluppo” e non maturazione poiché non mi riferisco al complesso neurologico, muscolare e ad altri aspetti della lenta crescita organica, ma ai processi intrapsichici attraverso i quali si sviluppa la consapevolezza della separazione ed, in continua inte­razione con questo fenomeno, il sé diviene una struttura mentale orga­nizzata.

[4] Simili processi reciproci possono essere riconosciuti in ogni rela­zione interpersonale piena di significato (da un punto di vista dina­mico), ed in quel determinato tipo di relazioni in cui vi è un cam­biamento di rotta nell’investimento libidico. La prima volta che Freud descrisse questo processo fu in connessione con la dinamica dell’amore romantico (i). Da ciò scaturì la sua comprensione dei proces­si attraverso i quali l’io immagazzina “la traccia degli oggetti in­vestiti in passato”.

[5] ) I sentimenti originati nella libido dallo stato simbiotico (narcisi­smo primario) sono neutralizzati nel processo di formazione della fiducia primaria di base dell’io. Questo processo è graduale. Le ma­nifestazioni comportamentali della fiducia, per esempio, la capacità di aspettare, appaiono presto (tra i 3 e i 6 mesi). Ciò è testimonia­to spesso dalle frustrazioni passeggere e dai sentimenti mobilitati da tali frustrazioni verso lo stesso oggetto – madre – sé. Così la neutralizzazione della carica pulsionale necessaria al mantenimento della fiducia come parte dell’organizzazione dell’io si può sviluppare solo passo dopo passo attraverso un lungo periodo di crescita.

[6] “Normalmente il neonato, attraverso molti eventi della sua esistenza rappresenta il più significativo appagamento della tendenza ricettiva della madre. Con il suo bambino la madre si sente piena, completa, ma non senza di lui. (Molte giovani madri si sentono vuote dopo il parto; quando lasciano il bambino sentono un senso di depressione o si sentono spinte a mangiare. Queste sono manifestazioni minime di un “trauma di separazione” che alcune donne possono elaborare in fantasie di “divoramento” o di “rigetto” del bambino, anche se queste non possono essere considerate grosse regressioni)” (c, pag.397).

[7] Niente come “l’imprinting” degli animali può sembrare fascinosamente antropomorfico, l’imprinting non è identico all’imparare attraverso le identificazioni, è giusto l’opposto. L’imprinting rappresenta una fissazione mnestica di una esperienza traumatica. Poiché avviene pre­sto (in un periodo critico della vita) e quando ci sono limitate po­tenzialità per lo sviluppo mentale, non può essere cancellato attra­verso l’accumulazione di altre esperienze, e neanche attraverso l’ap­prendimento emozionale. Così l’imprinting può essere paragonato con l’inibizione del trauma, ma non con l’identificazione.

[8] Ciò sembra essere non immediatamente dipendente dall’influenza cultu­rale. Nella nostra cultura il comportamento autoritario del genitore in declino diminuisce l’intensità del conflitto e cosìl’impeto nell’organizzazione del super-io. Di conseguenza gli impulsi edipici e la paura ad essi connessa sottostanno ad altre vicissitudini nell’organizzazione intrapsichica.