Gli strumenti del gioco: i giocattoli

Goldrake_03di Leonardo Angelini

Reggio E. 13.5.96

 

 

 

…”Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno:

ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali.

Con questo burattino voglio girare il mondo,

per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino, che ve ne pare?”

da: Pinocchio, di Carlo Collodi

 

 

1. Gioco e giocattolo

Il gioco è l’attività principale (l’unica, in un certo senso) del bambino.

Il giocattolo è, invece, lo strumento che il bambino usa per giocare.

L’esempio del Giappone: in un luogo in cui una urbanizzazione intensiva adultocentrica abbia dimenticato di predisporre degli spazi in cui il bambino possa giocare i bambini diventano pingui, grigi, ‘seri’, incapaci di vivere nella dimensione ludica[1].

Ma, attenzione!, mentre il gioco è universale, ed è sempre esistito, il giocattolo, lo strumento del gioco, non ha la stessa caratteristica di universalità e di sovratemporalità.

E’ possibile, anzi, che il bambino giochi in assenza di giocattoli:

-se io mi bardo il petto e le spalle con un insieme di mollette per il bucato attaccate al mio maglione, poi prendo in una mano un coperchio e nell’altra una scopa, posso giocare a fare il cavaliere medievale e passare delle ore a giocare senza alcun vero giocattolo, ma usando come giocattoli degli oggetti che, in effetti, sono stati costruiti per rispondere ad altre necessità funzionali.

-E’ possibile, anzi, giocare anche in assenza di simili strumenti “impropri”: posso ad es. giocare immaginando insieme ad un gruppo di coetanei di trovarmi in una foresta, in cui ci sono leoni e bestie feroci, e che noi siamo un gruppo di esploratori che, dopo mille peripezie, raggiungono le sorgenti del Nilo, quando, in effetti, ci troviamo nella mia stanza e non abbiamo a disposizione nulla che vada al di là della nostra fantasia e dei nostri corpi.

Per cui, da una indagine sui giocattoli di oggi, possiamo fare una specie di graduatoria, che a mio avviso può evidenziare il grado di pesantezza che il giocattolo ha sulla scena del gioco.

Partendo dalla situazione di maggiore leggerezza avremo:

1.Il gioco in assenza di giocattolo: in questo caso, come dicevamo prima, tutto sarà legato alla fantasia ed alla corporeità dei soggetti coinvolti nel gioco. Gli strumenti del gioco (i giocattoli, in un certo senso) saranno la libera attività mentale e la plastica capacità dei corpi dei soggetti coinvolti nel gioco di adattarsi alle esigenze sceniche del gioco.

2.Il gioco svolto con oggetti predisposti per altre funzioni, che possono essere sussunti nella libera attività di gioco per decisione unilaterale ed arbitraria dei bambini che in quel dato momento decidono di fare così.

E’ la situazione descritta nel primo esempio. Nulla ‘obbliga’ il bambino in quella situazione a scegliere le mollette appiccicate sul maglione come emblema dell’armatura. E’ la sua unilaterale ed arbitraria decisione che riscrive quello strumento, le mollette, come portatore di un significato altro rispetto a quello principale: servire ad appendere il bucato.

In questa situazione, possiamo dire, la forza della fantasia del bambino sta nel fatto che tutto un mondo, quello degli adulti, quello del lavoro, quello in ogni caso esterno alla situazione ludica, può essere ridisegnato, ridefinito, reinventato arbitrariamente e leggermente (ricordiamo la definizione di Rovatti[2], a commento di un brano di Nietzsche: il gioco è leggero, la legge, il mondo del lavoro, il mondo degli adulti sono pesanti).

3. Il gioco con giocattoli artigianali: è il gioco con strumenti inventati non dai bambini, ma da altri (adulti) che artigianalmente costruiscono giocattoli che pensano possano essere utilizzati, in quanto tali, dai bambini.

Nella situazione precedente ci trovavamo di fronte a strumenti che avevano, per il bambino, un valore d’uso totalmente scisso dal valore di scambio (che nel mondo adulto era rappresentato dal prezzo che, in un dato momento, quella molletta aveva nel mercato).

Nella situazione attuale abbiamo uno strumento artigianale, cioè unico, che l’artigiano adulto ha immaginato e prodotto pensando di vendere su di un mercato, più o meno marginale, in cui l’acquirente una volta era in una condizione di monopsonio (cioè altrettanto unico), oggi non più.

Il costruttore del giocattolo deve essere in grado, in maniera intuitiva, non pianificata, di fare una indagine di mercato, di intuire cioè quali possono essere i gusti, le predilezioni del suo pubblico.

Vi è cioè in questo caso già una connessione più stretta fra valore d’uso e valore di scambio dello strumento che si va costruendo: il che modifica già la scena ludica, che comincia ad essere occupata dall’immaginario adulto.

4. Il gioco ed i giocattoli industriali: ciò che cambia in questo caso sono, da una parte (a) le figure dell’inventore e del costruttore del gioco, dall’altra e conseguentemente, (b) il prodotto, cioè il giocattolo ed il suo rapporto con il fruitore, il bambino.

a- L’industrializzazione del giocattolo implica, lo abbiamo già preannunciato, che ci sia come una proliferazione di adulti che immaginano e costruiscono il giocattolo: l’inventore, l’industriale, il suo staff dirigente, lo staff tecnico che costruisce le macchine industriali che possano produrre il giocattolo in serie, gli operai che concretamente lo costruiscono e lo assemblano, l’apparato distributivo che lo confeziona e lo vende (o lo accantona), etc.

Tutto questo apparato deve stare attento al mercato, deve rendere appetibile il prodotto al bambino, deve costruirsi, in un certo qual modo, il proprio acquirente, oltre che il proprio prodotto.

Oggi, nell’epoca dei mass media, la campagna pubblicitaria per la vendita del giocattolo assomiglia terribilmente a quella di ciascun altro prodotto, ed l’infanzia è un target che occorre coltivare, adulare direttamente, o indirettamente (attraverso papà e mamme), tramite la pubblicità.

b- Ci sono così molti prodotti per bambini in cui il feed back, cioè la verifica viene svolta non su un utente da raggiungere tramite le lusinghe derivanti dal valore d’uso del giocattolo, cioè sulla sua intrinseca capacità di avvincere il bambino e di farlo giocare, ma sulla capacità dell’apparato di produzione e di vendita di ‘piazzare’ il prodotto su di un mercato che è stato preparato ad accoglierlo poiché è stato, in precedenza, trasformato in un target alienato e disposto a comprare per comprare (tramite quei treni pubblicitari che fanno si che si faccia una trasmissione televisiva che trascina un giocattolo, che trascina un giornaletto, che trascina un insieme di ammennicoli del giocattolo, che trascina ….. etc, etc.).

In queste situazioni la scena ludica risulta pesantemente occupata dagli adulti. E più precisamente da un mondo degli adulti che ha tolto quasi totalmente al bambino la possibilità di decentrarsi dall’universo pesante del lavoro e degli adulti e di reinventare, di ridefinire, etc. gli oggetti di gioco, così come la propria fantasia in ‘quel’ determinato momento suggerisce.

Il bambino, in questo caso rischia di non giocare più il mondo ed il tempo, come il bambino di Eraclito e di Rovatti. Ed anzi tende inevitabilmente ad essere risucchiato nell’universo adulto, di essere coltivato ed occupato, da questo universo che lo aliena prima ancora ch’egli possa conoscere se stesso.

5- Infine ci può essere un giocattolo per le elite: apparentemente questo giocattolo è simile a quello artigianale. In effetti invece esso è il prodotto fuori-serie partorito dall’industria del giocattolo con la stessa identica politica editoriale del giocattolo di serie, dal quale differisce per il prezzo e conseguentemente per il target speciale cui è destinato (così come una Ferrari è partorita con gli stessi criteri industriali di una Uno, dalla quale differisce solo per il target speciale di acquirenti adulti cui è destinata).

2. Giocattoli d’oggi e possibilità del bambino di reinventarli

Nel caso dei giocattoli industriali che, nella loro versione industriale o d’élite, rappresentano l’oggi del giocattolo, il bambino si trova in una situazione nuova:

– non vi è più scissione e libertà di interpretazione come nel primo e nel secondo caso da noi fatto nel paragrafo precedente, né vi è più connessione dialettica fra produttore (adulto) e fruitore (bambino) come era nel terzo caso;

– vi è invece una prevalenza del messaggio preordinato, programmato dal produttore adulto, o, meglio, dall’apparato produttivistico e consumistico adulto, che non lascia scampo al bambino, se non in termini minimi.

Si restringe paurosamente la possibilità del bambino di reinventare lo strumento, di ridefinirlo laddove, come avviene oggi, la funzionalizzazione prevalente e preordinata  del giocattolo e quella ad un ludus alienato, imbrigliato in percorsi mentali che sono stati non solo pensati, ma anche rappresentati, propagandati, esaltati dall’industria culturale specializzata a plasmare le piccole menti infantili alle esigenze del consumo.

Non è un caso che oggi il giocattolo sia velocissimamente consumato, cioè usato ed abbandonato con un ritmo inimmaginabile in una società pre-industriale.

I giocattoli, che nelle società preindustriali erano destinati ad accompagnare il bambino per tutta la sua infanzia, oggi sono accumulati, e giacciono come inutili trofei nelle grandi ceste che sono nelle camere dei bambini di tutte le classi sociali.

Ed anzi i genitori appartenenti alle classi più povere devono esibirli come testimonianza del fatto che anche loro – da perfetti consumisti – possono sprecare il denaro, e spendere per il gusto di riempirsi di tutti gli ammennicoli che dimostrano che anche loro fanno parte di questo nuovo regno della cuccagna che si chiama società dei consumi.

Allora – viene da chiedersi: tutti i giochi sono fatti? non c’è più scampo per il bambino? il suo destino è quello di allenarsi, all’interno di un’area alienata di gioco, ad entrare nella società adulta come un perfetto e acritico consumista?

La risposta, a mio avviso è: fortunatamente no. Esiste una possibilità, sia pur minima, come dicevamo prima, di salvezza e di definizione di un’area di gioco in cui il bambino abbia le possibilità di vivere la dimensione ludica (cioè la propria vita!) in una dimensione critica, autonoma, eccentrica rispetto ai messaggi invasivi, ai canovacci preordinati, alle suggestioni consumistiche.

Esiste ancora, resiste il gioco libero e leggero. Esiste e può resistere, però, qualora siano presenti alcune condizioni, alcune delle quali sono nel bambino e nel contesto educante, altre nel giocattolo, altre ancora nel rapporto del bambino e della famiglia con i media.

a. il bambino ed il contesto educante: qualora il bambino sia educato con spirito critico, qualora ci sia un rapporto fra adulto e bambino mediato dal gioco, qualora cioè l’adulto (genitore o educatore) sia disposto ad entrare nello spazio-tempo del gioco, allora il bambino sarà come vaccinato dalla pesantezza del messaggio prevalente che il produttore del giocattolo e tutta la catena distributiva consumistica hanno voluto imprimere al giocattolo stesso.

Può avvenire allora che Big Jim, Barby, etc. diventino qualcosa di diverso da quello che sono in base ai contenuti e alle identità che l’industria culturale del giocattolo hanno voluto imprimere loro. Esattamente come avveniva (avviene) quando il bambino poteva (può) trasformare le mollette in un’armatura, o in qualsiasi altra cosa.

b. Pensiamo, però, a quanto questo sia difficile quando il giocattolo è il telefonino di Barby che ha al proprio interno un dialogo preconfezionato, e pensiamo a quanto questo posa diventare devastante per la psiche del bambino. Deriva da ciò la seconda considerazione che possiamo fare e che è questa: c’è giocattolo industriale e giocattolo industriale.

C’è cioè giocattolo industriale in cui tutto è preordinato e nulla o quasi è lasciato al bambino, in cui cioè anima e corpo del bambino sono alla fine essi stessi elementi, sussidiari, della scena preconfezionata.

Ma c’è anche un giocattolo, altrettanto industriale, in cui al bambino è lasciato uno spazio di reinterpretazione, di invenzione o anche di semplice riflessione di un canovaccio di gioco che in questo modo – possiamo dire – prende più autonomamente anima e corpo: ad esempio un cartone visto al video registratore può permettere al bambino un lavoro di approfondimento e di riflessione attraverso l’uso dei telecomandi che permettono una ri-fruizione individuale (meglio ovviamente se a fianco del bambino c’è un adulto, in base a ciò che dicevamo prima).

c. Rapporto del bambino e della famiglia con i media: la dialettica fra bambino ed adulto di fronte ai media, la loro capacità di decodifica della vera natura dei messaggi, il loro dialogo rappresenta la terza possibilità di uscita dalla tirannia del giocattolo preconfezionato.

Dove l’aspetto prevalente è non tanto nella resistenza al mondo dei media, quanto in un loro uso in termini critici e interattivi, privilegiando ogni aspetto che permetta questa interattività, e l’uscita da una situazione di fruizione passiva ed acritica.

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[1] Esempio tratto dall’introduzione al testo: Cilento, Melucci Fabbrini, Perego, “Il giocattolo, il bambino, la società”, Emme Ed, Milano, 1975

[2] “Il mondo è un divenire: Il divenire è divenire nel tempo, è temporalità. Il tempo, il divenire hanno la figura di un fanciullo che gioca. Il gioco è leggero, mentre la legge è pesante: C’è in riva al mare un fanciullo che gioca spostando qua e là i pezzi del suo gioco. Immagine di leggerezza, di innocenza, di casualità felice: quest’immagine così quotidiana ha qualcosa di “divino”. Il fanciullo che “gioca” il mondo mostra un aspetto oltreumano”. In: Rovatti P.A., C’è un fanciullo che gioca in riva al mare (Appunti sulla metafora dell’infanzia in Nietzche), in: Aut Aut, N.191-192, pp.159-166