30 punti per la psicologia italiana

di Leonardo Angelini

1. Son passati molti anni dalle scorse elezioni. Troppi! Molti di noi hanno denunciato ovunque era possibile la situazione assurda che si è andata creando nel tempo: da una parte un Ordine Nazionale sempre meno suffragato nella sua legittimità, ma pur tuttavia capace di sopravvivere a se stesso e di costringere alla sopravvivenza gli Ordini Regionali; dall’altra una professione che in questi ultimi 5 anni si è andata sempre più trasformando rispetto al suo tradizionale profilo. Tutto ciò ha creato un deficit di rappresentatività che il nuovo Ordine Nazionale dovrà colmare. E’ questo il primo compito che ci proponiamo di perseguire.

2. Per fare ciò è necessario riesaminare il campo della psicologia in Italia partendo dagli elementi di novità e di problematicità che oggi lo contraddistinguono, che a nostro avviso sono: a. i giovani; b. gli sbocchi; c. la formazione; d. i percorsi post – lauream; d. le esigenze della clinica; e. le esigenze degli altri comparti della psicologia. Il nostro programma non è altro che la definizione puntuale di questi problemi e l’insieme delle risposte che abbiamo approntato per ciascuno di essi.

3. I giovani : quest’anno l’Ordine ha raggiunto i quarantaquattromila iscritti. Ciò significa un grande balzo in avanti rispetto al 1999, anno delle ultime elezioni ordinistiche. Il che la dice lunga rispetto alla rappresentatività, all’esigenza di diversificazione degli sbocchi, ai percorsi post lauream etc.- Il quadro non è più quello di allora: tutto viene profondamente sconvolto dall’arrivo dei giovani. E ciò significa innanzitutto che vi è una esigenza di raccordo intergenerazionale che a questo punto non può essere sottovalutata e tanto meno esorcizzata demonizzando i giovani.

4. Per cui la prima cosa da fare è decidersi a considerare i giovani non come una minaccia, ma come una promessa. Noi infatti siamo convinti che se ci avviciniamo ad essi a partire dalle nostre paure di essere sopraffatti e svalutati dalla loro numerosità, dal loro semplice esistere non andremo da nessuna parte; se invece partiamo dalla premessa che il cambiamento nasce dialetticamente dall’incontro fra vecchio e nuovo, fra tradizione e innovazione allora potremo avvicinarci a loro con fiducia, contaminarci con loro e scorgere nei loro primi passi l’abbozzo di un futuro di crescita professionale.

5. Pertanto noi combattiamo con forza contro ogni tipo di politica restrittiva e vessatoria nei loro confronti e ci batteremo per permettere ai giovani vedere nell’Ordine non il doganiere pavido che si interpone fra loro e la professione, ma il primo tutore della loro professionalità. Proponiamo pertanto: – che la tassa per l’iscrizione all’Ordine sia ridotta; – che l’Ordine si impegni nella lotta contro il precariato, per la individuazione di sbocchi reali in base ai quali indirizzare la formazione e per un conseguente e congruo allargamento delle piante organiche sia nel pubblico che nel privato;

6. Proponiamo altresì: – che l’Ordine di impegni a rivedere profondamente l’ottica degli studi di settore in base alle reali possibilità di contribuzione dei singoli e specialmente dei giovani; – che sul piano del precariato e della disoccupazione giovanile l’Ordine, i sindacati e le associazioni di categoria si impegnino a trovare insieme agli altri rappresentanti delle professioni, agli altri sindacati e alle forze politiche un modello di ammortizzatore sociale che tuteli tutti i giovani nei momenti iniziali di precariato e permetta loro di ottenere, con l’aiuto dello stato, le tutele che attualmente mancano sul piano previdenziale e pensionistico (su questo piano una politica corporativa non avrebbe senso).

7. Ai fini della definizione di percorsi di raccordo intergenerazionale che avvengano sotto il segno della valorizzazione della cultura e della scienza psicologica e nell’ottica della colleganza proponiamo una profonda revisione di tutto l’iter formativo che va scardinato dai fini di profitto e incardinato intorno al principio del mutuo aiuto. Le concrete proposte su questo importante punto sono più sotto, nei paragrafi sulla formazione.

8. Gli sbocchi : L’ottica secondo la quale l’Ordine Nazionale e regionale deve sviluppare una politica degli sbocchi a nostro avviso deve basarsi sui seguenti presupposti: la colleganza e il sapere funzionale al fare: Sapere per fare significa partire dal presupposto che la comunità professionale non può limitarsi, specialmente in questa fase di crescita vigorosa, all’amministrazione dell’esistente o, peggio, alla definizione di steccati che blocchino gli accessi ad ogni livello. E che anzi deve espandersi e diventare essa stessa una fonte di ricerca (abbiamo al nostro interno gli psicologi del lavoro, vivaddio!), di valutazione ponderata degli sbocchi che in base a questo atteggiamento razionale (e non immaginifico) siano emersi, di informazione delle entità interessate su questo piano, a partire dall’Università e dal Miur, e di negoziazione con esse di una politica degli sbocchi che parta dagli interessi reali ed attuali della categoria.

9. Occorre pertanto a nostro avviso su questo piano fare una politica di investimento sulla ricerca sia a livello centrale che locale. A livello centrale al fine di cogliere gli elementi di fondo in base ai quali poi impiantare una politica di ampliamento delle possibilità di impiego per la categoria, a partire dallo sblocco dei concorsi nel pubblico impiego. A livello locale per cogliere più in concreto ambiti e specificità , nelle pieghe del mercato del lavoro locale, ed ogni nostra possibilità di espansione e di consolidamento.

10. Più precisamente occorre: – anticipare “il fabbisogno di psicologia” del mercato ed essere pro-attivi e non re-attivi; tastare e testare costantemente il polso della situazione di “cosa serve” e di “cosa c’è”, così da poter individuare i gap e provvedere a costruire conoscenza e competenza sulle aree emergenti e di confine, che a breve termine – soprattutto se unite con promozione e tutela – possono offrire interessanti e nuove opportunità di lavoro; – sviluppare competenze trasversali a partire dal rapporto fra competenze più specificatamente psicologiche e aree limitrofe.

11. Occorre inoltre: – formare i giovani alla conoscenza e all’ingresso nel mercato sia durante il percorso di laurea, sia nel momento in cui si accingono ad entrare nel mercato del lavoro psicologico e , prima ancora, nella scoperta del proprio potenziale allorchè si iscrivono ai corsi di laurea in psicologia affidando tutte queste attività ad entità terze rispetto agli ordini e all’università, cioè a degli staff autonomi e altamente qualificati remunerati dall’Ordine ed essi stessi sottoposti a continue e reali verifiche di efficacia e di efficienza.

12. La formazione : il percorso di laurea va profondamente rivisto innanzitutto in base alle ricerche di cui sopra, in secondo luogo in base ad un lavoro di ridefinizione dell’iter formativo che si basi sui seguenti principi: – rilevanza scientifica dei percorsi e loro fondamento nell’oggi e nel domani della psicologia; – connessione della teoria con la pratica; – implementazione della qualità della formazione a partire da una continua opera di confronto e di scambio sia all’interno del nostro paese fra accademia e professione, sia all’esterno con le altre comunità scientifiche e professionali europee.

13. Su queste basi occorre: – come abbiamo già detto istituire ed affidare ad entità terze luoghi in cui il candidato studente in psicologia possa fruire gratuitamente di una analisi del proprio potenziale al fine di vedere confermata o meno la propria vocazione, senza alcun vincolo che non sia quello derivante dalla propria coscienza; – eliminare il percorso delle laurea breve dello junior ed iscrivere tutti gli studenti che ancora frequentano questo corso alla cosiddetta specialistica, fatto salvo il riconoscimento dei percorsi di tirocinio già effettuati; – battersi con ministero, facoltà, per l’istituzione di lauree brevi inerenti le professioni limitrofe a “psicologia” (quali logopedista, educatore della riabilitazione, psicomotricista, testista, etc) e tutti i percorsi che, a partire dalle indagini sugli sbocchi di cui sopra, risultino percorribili.

14. tutto ciò implica una profonda revisione dei corsi di laurea specialistica che a nostro avviso deve essere centrata sui seguenti criteri: rivedere il percorso di laurea: – superamento dell’ottica autocentrata in base alla quale si aprono oggi nelle facoltà i nuovi percorsi di specializzazione e loro subordinazione ad una continua opera di negoziazione sia con l’Ordine che questa terza entità che presiederà alla ricerca di mercato; – revisione dei curricula che portano alle varie specialistiche a partire da un nuovo rapporto fra teoria e pratica; – trasformazione del tirocinio da tirocinio post lauream e tirocinio in itinere in base ai principi qui sotto esposti:

15. I tirocini debbono costituire uno dei momenti centrali sul quale costruire una collaborazione stretta fra università e professione, nonché fra teoria e pratica. Per far ciò riteniamo fondamentale: – partire dalla concezione che i tirocini fanno parte integrante del percorso formativo universitario; – trasformare il tirocinio in momento di ” raccordo generazionale “ fra psicologi; – fare del tirocinio un momento di orientamento e di sostegno per il giovane laureando, in modo da amplificare, qualificare e “professionalizzare” la sua formazione; – c ollocare – come dicevamo sopra – il tirocinio all’interno del percorso che porta alla laurea, ma consentirne l’inizio solo dopo che lo studente abbia concluso gli esami; – integrare strettamente la tesi con il tirocinio; – s pingere l’università a pianificare la ricerca dei luoghi di tirocinio ed a considerare il tutor come un prolungamento del proprio corpo docente.

16. Per migliorare l’attività di tutoring : – i stituire i tutor di facoltà e, nelle situazione più complesse in cui ci sia la presenza di un numero consistente di tutor di tirocinio, la figura del coordinatore dei tirocini, con compiti di: reperimento, di raccordo, di programmazione e di contenimento; – prevedere che i tutor di tirocinio accompagnino il giovane tirocinante nei primi passi nella professione; considerare la disposizione mentale al tutoring come un bene della professione che va continuamente implementato ed anche per ciò rendere appetibile fare il tutor; – trasformare la commissione paritetica ordine-università in luogo di progettazione delle iniziative formative sia per i tutor di tirocinio che per quelli di facoltà; – prevedere che alcune iniziative possano vedere coinvolti tutti i tutor di un insieme omogeneo ed anche per queste iniziative ispirarsi ad una forma di raccordo intergenerazionale

17. Ancora sul tutoring: poiché non può essere che – almeno nell’immediato – l’università formi i tutor (semplicemente perché l’Università, fatte alcune eccezioni, non ha la competenza fondata sull’esperienza per farlo) prevedere che siano i tutor più esperti a formare i meno esperti non in una logica individuale, ma attraverso l’istituzione di percorsi di raccordo fra coloro che svolgono funzioni di tutoring già da tempo;- costoro dovrebbero maggiormente intervisionarsi e costruire processi di formazione per chi ha meno esperienza di tutorship. La commissione paritetica potrebbe essere il momento di referenza istituzionale di tutto ciò.

18. Sull’esame di Stato e la tesi: – legare la tesi e l’esame di stato al tirocinio; – coinvolgere i tutor di facoltà nella scelta della tesi e quelli di tirocinio nella sua stesura; – centrare l’esame di stato sul tirocinio e ricondurre il giudizio finale al tutor di facoltà ed ai tutor di tirocinio; – i ncrociare in entrambi i casi l’accademia con la professione nell’ottica della coniugazione fra sapere (laurea) e saper fare (esame di stato così ridimensionato)

19. I percorsi post lauream a nostro avviso dovrebbero essere incardinati intorno ai principi della preoccupazione per il paziente o il cliente e per la qualità delle prestazione erogate, dello scambio leale, del raccordo intergenerazionale, della colleganza.

20. In base a questi principi sul piano qualitativo occorre: – istituire dei percorsi rigorosamente autonomi di valutazione di “Qualità” delle scuole di specializzazione (accreditamento) in psicoterapia e psicologia clinica siano esse allocate ps l’Università che ps. il privato; – definire in base ad una continua opera di ricerca sugli sbocchi professionali gli ambiti di formazione post lauream (che non è detto debbano essere dei mastodonti quadriennali) in quei settori che da una parte risultino presenti sul mercato, dall’altra ancora non sufficientemente sostenuti sul piano formativo: la psicologia del lavoro, quella giudiziaria e, dello sport, etc; – istituirli fin dall’inizio in ottemperanza ai criteri di credibilità e di qualità attestati da istanze rigorosamente autonome;

21. Sul piano dello scambio intergenerazionale e della colleganza a nostro avviso è possibile istituire: – in ambito clinico dei percorsi di supervisione non obbligatori, ma certificati, per i colleghi più giovani da parte dei più anziani accreditati sempre da istanze terze; – gli ambiti professionali non clinici dei percorsi di consulenza, sempre ad opera dei più anziani, accreditati come sopra.

22. E, sempre sul piano dello scambio intergenerazionale e della colleganza, è possibile pensare alla istituzione di una doppia rete (reale e virtuale) di intervisione , cioè di aiuto reciproco fra pari, leggera sul piano istituzionale, ma ben pesante sul piano sostanziale. Tale rete dovrebbe, a nostro avviso, poggiarsi sulla disposizione gratuita paritetica (dissimmetria) o un po’ asimmetrica (mentoring) di colleghi curanti – curati che operino sul piano della holding professionale sotto il segno dell’intersostegno reciproco, della gratuità della spontaneità, della attivazione su richiesta e della rescissione della relazione di scambio quando una delle parti coinvolte decide autonomamente di farlo.

23. Le esigenze della clinica psicologica sono innanzitutto di definizione più marcata e più chiara delle necessità provenienti dai due ambiti, apparentemente antitetici, sui quali si fonda il sapere psicologico clinico: il sapere derivante dalle scienze della natura e quello derivante dalle scienze della cultura. Tali ambiti, come giustamente di recente è stato sottolineato dall’associazione dei docenti di clinica psicologica, poggiano – come quelli di ogni disciplina scientifica – sul controllo e la falsificazione dei propri asserti, e “sull’impiego pertinente sia dei metodi sperimentali ed empirici, sia di quelli semiologici e storico-ermeneutici”. In secondo luogo le esigenze della clinica psicologica sono nel contempo l’autonomia e lo smarcamento dai saperi limitrofi e, nello stesso tempo, di capacità di contaminazione sul piano scientifico e quella di negoziazione sul piano istituzionale e sindacale. Anche su questi piani l’ordine uscente è stato quanto mai reticente e passivo.

24. Proponiamo pertanto alcuni punti che ci sembrano consequenziali rispetto a questo duplice ordine di considerazioni: – la chiara iscrizione di tutti percorsi formativi di psicologia clinica e di psicoterapia all’interno dell’area psicologica ; – l’altrettanto chiara iscrizione nella nostra area di ogni profilo psicologico presente negli ambiti istituzionali pubblici e privati, con la conseguente esigenza a fini di impiego del compimento del curricolo che è previsto per gli psicologi clinici e per gli psicoterapeuti; – la continuazione da parte di coloro che risultino iscritti nei due albi (psicologo + psicoterapeuta) di percorsi di formazione permanente attestati secondo quanto detto sopra al punto 21 o, in ogni caso, da istituti competenti.

25. Ciò comporta anche un più chiaro impegno da parte dell’ordine di lotta sia contro l’esercizio improprio del mestiere di psicologo clinico e di psicoterapeuta, sia per l’estensione degli ambiti lavorativi in cui sia previsto obbligatoriamente la presenza di queste due figure.

26. Ci pare invece del tutto difensiva l’istituzione dei Servizi di Psicologia Clinica a meno che non siano ottemperate almeno due condizioni: – la multiprofessionalità (logopedista, educatore della riabilitazione, psicomotricista, testista, etc.) sotto la direzione dello psicologo, per garantire la maggior parte del lavoro di rete, che altrimenti ci verrebbe sottratto impropriamente; – e, prima ancora, la chiara definizione del campo della psicologia clinica al fine di porci in termini complementari e non concorrenziali con le professioni limitrofe.

27. Le esigenze degli altri comparti della psicologia. Mentre nel campo della clinica il problema è quello di una più chiara definizione di una identità in relazione ad ambiti limitrofi concorrenziali, nel caso degli altri comparti della psicologia il problema è ancora quello della definizione della propria identità.

28. Al contrario di ciò che avviene nella clinica però negli altri possibili ambiti di estensione del mestiere di psicologo, e soprattutto in molti ambiti aziendali, spesso l’abitudine al lavoro interprofessionale rende – almeno per ora, e forse anche perché lo spazio dello psicologo in questi ambiti non è ancora sufficientemente marcato – meno difficile la convivenza con mestieri limitrofi che perciò più facilmente si pongono sul piano della complementarità.

29. E’ in questi ambiti che, come dicevamo prima, occorre essere pro-attivi e non re-attivi; tastare e testare costantemente terreno del possibile impiego, sviluppare una politica di promozione conseguente. E’ in questi ambiti che occorre battersi perché l’affiliazione nel luogo di lavoro avvenga a partire dalla conservazione e dalla valorizzazione del proprio marchio di fabbrica : il mestiere di psicologo.

30. D’altro canto a nostro avviso questo lavoro è indispensabile: se vogliamo che i nostri giovani colleghi trovino lavoro occorre differenziare e qualificare sempre più l’offerta di lavoro. Per certi versi una attivazione non reattiva, ma razionale e trasformativa dell’offerta di lavoro da parte della comunità degli psicologi è uno dei compiti principali del prossimo decennio.

(RE, 30 Aprile 2005)